Sblocco navaleSui migranti Meloni fa il gioco delle tre carte (l’opposizione, invece, pure)

L’accordo con Tirana somiglia all’ennesimo pasticcio, ma il Pd, prima di protestare, deve chiarirsi le idee su quel che ha fatto in passato e su cosa intende fare in futuro. Perché per un profugo finire in Albania sarà comunque preferibile al tornare in un lager libico

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Nell’accordo siglato dal governo italiano con l’Albania ci sono molti punti poco chiari, varie questioni ancora aperte e alcuni aspetti decisamente inquietanti, su cui non è solo utile, ma anche doveroso, che le forze di opposizione vigilino e incalzino la maggioranza. L’idea di esternalizzare la gestione dei profughi in territorio albanese mette in gioco il rispetto di diritti umani fondamentali, sanciti dalla nostra Costituzione e dal diritto internazionale, nonché i nostri rapporti con l’Unione europea, di cui l’Albania non fa parte.

L’opposizione ha mille ragioni per accusare Giorgia Meloni di fare il gioco delle tre carte, prima rifiutandosi di fare una seria battaglia sulla revisione del Trattato di Dublino (per non mettersi contro gli amici sovranisti), poi tentando di estendere anche alla Tunisia il deprecabile modello libico (con la complicità dell’Unione europea) per giunta senza nemmeno riuscirci, quindi spostando ancora una volta l’obiettivo con quest’ultima trovata dell’hotspot italo-albanese (o quel che sarà).

È giustissimo sottolineare tutti i problemi giuridici, pratici e politici dell’operazione. Per esempio, chi gestirà quei centri e secondo quale legislazione, italiana o albanese? I migranti in attesa di risposta alle proprie richieste di asilo potranno allontanarsene o saranno a tutti gli effetti tenuti prigionieri? E i migranti le cui richieste di asilo saranno rifiutate dove finiranno, in Italia o in Albania (o magari, alla chetichella, in altri paesi d’Europa, come già lasciamo che accada con i migranti che dovremmo registrare qui)?

È assai probabile che col passare delle settimane, chiusa la fase degli annunci e delle dichiarazioni solenni, molte di queste incertezze si dimostreranno assai difficili da chiarire, e l’accordo oggi tanto sbandierato si rivelerà l’ennesimo pasticcio. Se così fosse, gli avversari avrebbero buon gioco nel denunciare il modo di procedere del governo, che ancora una volta vende all’opinione pubblica risultati che non ha ancora raggiunto come frutto di decisioni che in realtà non ha ancora preso, salvo poi dover correre ai ripari non appena le scelte effettivamente compiute cominciano a produrre effetti del tutto diversi da quelli annunciati. Una strada tutta in discesa – per le opposizioni, s’intende – se non fosse che lungo questo piacevole declivio propagandistico il Partito democratico rischia di inciampare su due non piccoli ostacoli.

Il primo, a dire la verità, riguarda più la sua componente riformista, ed è rappresentato da quegli accordi con la Libia siglati nel 2017 dal governo guidato da Paolo Gentiloni, con Marco Minniti al Viminale e Matteo Renzi al Nazareno, che sono l’eterna pietra d’inciampo di qualunque discussione, a sinistra, sui problemi dell’immigrazione. Quanto accade nei veri e propri lager in cui i migranti vengono ricondotti dalla famigerata guardia costiera libica, anche con mezzi e soldi forniti da noi, toglie legittimità e credibilità a qualsiasi argomentazione riformista in proposito.

Va detto che quegli accordi Elly Schlein li ha sempre criticati (per la verità ai tempi di Nicola Zingaretti la sinistra interna che oggi la sostiene si è ben guardata dallo sconfessarli, ma questa è un’altra storia) e con la sua segreteria il Partito democratico si è finalmente schierato contro il loro rifinanziamento.

Resta in ogni caso piuttosto problematico, per i democratici, denunciare a gran voce gli accordi con Tirana, per quanto discutibili e pieni di incognite possano apparire. Per la semplice ragione che, quali che siano le risposte ai numerosi interrogativi sopra accennati, finire in un centro di identificazione in Albania, per un richiedente asilo, sarebbe comunque di gran lunga preferibile al venire rimandato in un lager libico.

Quanto al secondo ostacolo su cui il Partito democratico rischia di inciampare lungo questa strada, si tratta di un problema che Schlein non può scaricare su nessun altro, perché dipende in tutto e per tutto dalle sue scelte, presenti e future. L’ostacolo ha infatti un nome e un cognome ben precisi: Giuseppe Conte. Lo stesso nome che figura in calce ai vergognosi decreti sicurezza del 2018.

Prima di lanciarsi in una (sacrosanta) campagna contro le scelte del governo sull’immigrazione, il Partito democratico deve insomma chiarire a se stesso e al paese la sua posizione su questi due punti non secondari: quel che ha fatto in passato (con i suoi precedenti governi) e quel che intende fare in futuro (in particolare con certi alleati, che mai hanno davvero rinnegato le scelte compiute ai tempi della loro fruttuosa collaborazione con Matteo Salvini). Fino a quel momento, la luna consiglia: prudenza.

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