Cenone di Natale 2023, una normale casa borghese romana, amici e parenti, orientamento genericamente di sinistra. «Qui l’unico è Conte». Lo dice uno bravo, informato, sindacalizzato. Ma come, Conte? «È l’unico che fa opposizione a questa (Meloni-ndr). Sul Mes al governo gli ha fatto fare una figuraccia». Ma se ha votato come questa, come loro… «Però gliene ha dette di tutti i colori, ho visto il video su Twitter». Un amico fa: «La Schlein è una brava persona ma non sfonda. Hai visto che ha detto Makkox?». Makkox, no, che ha detto? «L’ha paragonata a quel calciatore che in allenamento palleggiava benissimo ma che in partita non vedeva la porta». Invece Giuseppe Conte è diretto, arriva, insistono anche i parenti. «È preparato, parlava con la Merkel e con Trump, un altro livello dài». Ma Elly è più di sinistra, voi siete tutti di sinistra, votavate Berlinguer e D’Alema, no? Come fate a difendere Conte che ha fatto i decreti sicurezza con Salvini? «Il Pd di sinistra? E manda le armi all’Ucraina? E difende Netanyahu?».
Ora l’aria è pesante. Mi butto contro Putin e contro il Sette ottobre. Passo abbastanza bene sull’Ucraina, su Israele no. Intervengono altri commensali. I bambini di Gaza. Ventimila morti. I coloni. Reggo, distinguo, ribadisco. Ma è come parlare a un muro. Torno a Giorgia l’insopportabile. Atreju. La Russa. Donzelli. Lollobrigida. «E la sinistra che fa? A parte Landini». Eccone un altro. «Ma credi sul serio che Landini possa vincere e governare?». No. «Ma almeno è sinistra! Chi difende i lavoratori? Mario Draghi?». Non raccolgo e viro su Conte: è un trasformista, altro che sinistra. «La politica è così. Conte fa politica». E Di Battista, Paola Taverna, è tornato persino Luigi Di Maio. «Meglio di Fratelli d’Italia senza dubbio».
Infine: «Però mi sa che questa ce la teniamo chissà fino a quando». Mentre scendeva lo sconforto tipo quello del ’94 quando non si parlava che di Berlusconi per fortuna sono arrivati gli spaghetti al tonno, come da tradizione. Poi si è passati a Chiara Ferragni ma non ascoltavo più.
Meloni, Conte, Schlein: la politica gira intorno a questo “triello”, gli altri non esistono. Almeno a questa tavola. Quindi, ricapitolando: nello spaesamento totale di una sinistra che da dopo Matteo Renzi, comunque la si pensi su di lui, è andata in bambola, riemerge l’avvocato post-grillino che sta riuscendo in un miracolo: sommare due profili che in teoria dovrebbero escludersi a vicenda, il Masaniello e lo statista. Solo i grandi reazionari riescono ad amalgamare due ingredienti così opposti. Sembra incredibile che uno sconosciuto sia riuscito in pochi anni a incarnare alla perfezione un certo spirito ribellistico di estrazione meridionale ammantandolo di latinorum dandosi pure arie da leader europeo. L’uomo sente di avere il vento a favore dopo che tanti, anche noi, l’avevano dato per finito.
La lettera a Repubblica sostanzialmente contro Stefano Cappellini – con i giornalisti si polemizza, non li si insulta, avvocato – reo di averlo criticato per il suo voto sul Meccanismo europeo di stabilità che numeri alla mano ha salvato il governo, esprime qualcosa di più della legittima difesa delle proprie ragioni: e cioè il disprezzo per gli oppositori e il grado parossistico della propria autostima, che appare speculare a quello che spande ovunque Giorgia Meloni: i due Grandi Arroganti della politica italiana.
A Conte si perdona tutto. Di non avere alcun rapporto materiale con il popolo, proprio lui che ne sarebbe «l’avvocato», essendo il Movimento 5 stelle un gruppo ormai presente solo in Parlamento e mai diventato un partito vero radicato sul territorio; di dire una cosa e farne un’altra come sul Meccanismo europeo di stabilità: di sfuggire a un confronto politico reale, complessivo, non solo sui famosi temi con le altre opposizioni; di aver speso per gli armamenti come nessun altro e di essere oggi contro le medesime spese per gli armamenti. E si potrebbe continuare all’infinito.
Tuttavia egli pare il migliore per mettere in difficoltà Giorgia Meloni. La coerenza non conta, non conta il passato. Conte è il più incredibile caso nemmeno di trasformismo ma di doppia personalità che si sia mai visto: appunto Masaniello e statista. Inabile, ovviamente, a capeggiare la rivolta popolare come a dirigere il Paese. Però è questo il vero inciampo politico per Elly-la-mite, convinta che il tempo, la pazienza, le famose proposte concrete, la gente dei mitici territori daranno ragione a lei, e tuttavia la Mite deve fare i conti con questa anguilla politica che ancora non ha capito come prendere, perché se lo attacca sbaglia e se lo asseconda sbaglia ugualmente. Senza di lui, addio governo. Ma con lui, addio governo serio.
Il grande vantaggio dell’avvocato è che lui all’opposizione ci sta benissimo, che gliene importa, invece per la Mite no, ha bisogno di governare per dare un senso alla propria avventura che, semplicemente, è quella di prendere il posto di Giorgia Meloni ma senza dirlo, perché l’Anguilla si innervosirebbe. Forse l’unica possibilità per Elly-la-mite sarebbe un confronto a quattr’occhi: «Giuseppe, che vuoi fare davvero?». Ci starebbe, come dicono i commensali di Natale, l’unico che può battere Meloni, a discutere con la Mite del Pd? O l’Anguilla sguscerebbe via, come fa sempre lui? Probabile. Ma almeno sarebbe tutto più chiaro: provaci, Elly, perché questo è il tuo problema.