L’11 gennaio di due anni fa l’Europa veniva sconvolta dalla prematura scomparsa del presidente del Parlamento europeo David Sassoli, grande europeista e politico di spessore. Sassoli proveniva dalla cultura cattolica e democratica di Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani e proprio da quel tipo di formazione derivava la sua «rara capacità di combinare idealismo e mediazione che lo ha reso protagonista di uno dei periodi più difficili della storia recente» per dirlo con le parole di Mario Draghi. Ha interpretato il suo ruolo di presidente dell’Eurocamera con un approccio garbato e gentile cercando un confronto sempre costruttivo, come ricordano anche i suoi avversari politici. In circa dodici anni e mezzo trascorsi tra Bruxelles e Strasburgo – gli ultimi dei quali a capo dell’emiciclo – ha fatto della tutela dei diritti e della difesa delle libertà garantite dall’UE la guida della sua azione politica. Era però anche fermamente convinto che qualcosa nel funzionamento della macchina europea si potesse migliorare.
Dialogo e mediazione, sì, ma anche grande determinazione su alcuni principi per i quali Sassoli non era disposto a scendere a compromessi, come il rispetto dello stato di diritto e dei principi fondamentali dell’UE. Nei suoi anni da presidente del Parlamento europeo questa risolutezza lo ha portato ad avere diversi attriti con alcuni leader a cui la democrazia, la stampa libera e lo stato di diritto non sono mai andati a genio. Vladimir Putin e Viktor Orbán per esempio.
Era oggettivamente difficile non accorgersi che le politiche del Governo ungherese non avessero niente a che vedere con i principi europei o che la Russia ormai da diverso tempo non fosse più una democrazia. Ma Sassoli non si è limitato alle dichiarazioni ed è passato alle azioni concrete. Come nell’estate del 2021, quando su mandato dell’Eurocamera ha avviato il percorso per citare in giudizio la Commissione europea a causa per la mancata applicazione del principio di condizionalità sullo Stato di diritto a Polonia e Ungheria (il principio che prevede che l’erogazione dei fondi sia legata al rispetto dei valori e del diritto dell’Unione europea). Una presa di posizione forte nei confronti di palazzo Berlaymont che però, a giudicare da come si sono poi sviluppati i rapporti con Varsavia e Budapest, ha solo anticipato un percorso che sembrava annunciato.
Sempre nel 2021 da presidente del Parlamento europeo ha consegnato il premio Sacharov ad Aleksej Navalny, tra i principali oppositori al regime di Putin arrestato per estremismo politico e condannato a diciannove anni di carcere (che da qualche settimana sta scontando nella colonia penale di Polar Wolf). Nello stesso anno Sassoli venne inserito da Mosca nella lista delle persone non gradite in Russia, in risposta alle sanzioni decise dell’Europa nei confronti dei funzionari russi legati all’arresto dello stesso Navalny. Ma sulla difesa dei diritti umani, della libertà di espressione e di stampa l’ex presidente del Parlamento non era disposto a fare passi indietro e se questo significava essere inserito nella blacklist di Putin, pazienza. Era sicuro che una stampa libera fosse uno dei sistemi più efficaci per controllare chi governa: «la democrazia e la libertà non sono indistruttibili e non vengono dati una volta e per sempre. Ciò che rende l’Europa un modello, non è la perfezione morale, ma sono regole e meccanismi che ci permettono di controllare chi sta al potere. Uno dei meccanismi più potenti è proprio il giornalismo indipendente e libero».
Sassoli era anche convinto che l’Europa avesse bisogno di migliorare il funzionamento di alcuni processi decisionali. Pensava che il Parlamento dovesse avere più centralità, anche nelle scelte economiche di maggiore importanza e che si dovesse livellare lo squilibrio rispetto a Commissione e Consiglio. Riteneva inoltre necessaria una revisione di quel meccanismo dell’unanimità con il quale vengono prese le decisioni più importanti: «una democrazia può funzionare con il diritto di veto? –Si domandava retoricamente già nel 2019– Neanche un condominio funziona con un sistema che richiede l’unanimità». Un concetto quantomai attuale espresso ben prima che Orbán bloccasse il Consiglio europeo sugli aiuti all’Ucraina o sulle sanzioni nei confronti della Russia.
Sassoli ha avuto il coraggio di mettere in evidenza alcune incongruenze che già qualche anno fa sembravano troppo palesi ed evidenti per essere ignorate, anche se questo significava andare contro la Commissione europea. Ed è proprio questa l’eredità politica che ha lasciato. A due anni dalla sua scomparsa è facile capire quale sarebbe stata la sua idea rispetto alle grandi sfide che l’Europa si è trovata di fronte recentemente. David aveva una propensione per la mediazione, un acume politico e una capacità di leggere le situazioni in anticipo che erano fuori dal comune. Queste caratteristiche, abbinate a un forte europeismo ben ancorato ai principi fondamentali dell’Unione, hanno fatto sì che tantissime persone conservino di lui lo stesso ricordo: una brava persona, un politico coraggioso e di grande spessore. Merce rara.