Io e Giorgia. Cioè, io contro Giorgia. Se si vuole una bussola per orientarsi nei meandri dello Schlein-pensiero eccola qui: tutto va nel senso dello scontro frontale con la presidente del Consiglio. O la va o la spacca. Tanto la leader del Partito democratico ha tutto da guadagnare, a meno di un disastro epocale, visto che parte largamente dietro la premier.
Intanto ha conquistato, e proprio grazie a Giorgia Meloni, il ruolo dell’antagonista relegando Giuseppe Conte in tribuna ad assistere al match tra le due donne, così che l’avvocato schiuma rabbia e lo vedremo scatenato contro Elly. E poi, anche nel surreale seminario di Gubbio, raccontato da chi c’era come una specie di “Todo modo” di Sciascia ancora meno allegro, Schlein ha fatto capire che delle chiacchiere dei deputati le interessa, sì, ma fino a un certo punto. Sennò non si sarebbe peritata di chiarire che alla prima giornata non c’era perché è andata al cinema a vedere Kripton, «un film stupendo». Vi immaginate Enrico Berlinguer che si presenta solo al secondo di giorno di convegno con quella motivazione?
Anche l’improvvisa, inattesa, mai discussa uscita contro la vendita di armi italiane a Israele perché «c’è il rischio che vengano usate per crimini di guerra» è certo un modo per riacchiappare il rapporto con i settori filopalestinesi del partito – e soprattutto dell’opinione pubblica – prendendola da un lato strano, la vendita delle armi, come se Israele dipendesse dalla nostra industria militare, peraltro non risulta che il nostro Paese venda armi allo Stato ebraico, per evitare di dire chiaramente che il Partito democratico non sta più con Israele o giù di lì.
I soliti slittamenti progressivi che già il Partito democratico ha fatto vedere ad abundantiam nel recente pasticcio sull’Ucraina, con dissensi e strambe astensioni su tutti i documenti. A Gubbio la segretaria ha presentato tutto un cahièr molto di sinistra probabilmente anche per recuperare un po’ di calore da parte dei vari Andrea Orlando, Gianni Cuperlo, Giuseppe Provenzano (il sostegno di Dario Franceschini per ora regge). Ma poi tutto serve per incrementare la distanza con il governo e con Meloni personalmente («peggio di Berlusconi» sulle tv, anatema che alle orecchie del popolo dem è musica). La segretaria aspetta la “nemica” là, al già leggendario scontro televisivo che sarà su Raiuno – moderato da un non moderato come Bruno Vespa ma evidentemente è il prezzo da pagare per un’audience infinitamente più alta rispetto a quella che farebbe altrove.
Se tutto questo ha un senso, è chiaro che Schlein è pronta a candidarsi ovunque alle elezioni europee per ostacolare il trionfo di Giorgia, e già questo sarebbe un risultato giacché non può certo pensare di vincere in termini assoluti sul numero delle preferenze, e in qualche modo – lei spera – mettere il Partito democratico davanti a Conte e al riparo dell’ennesima batosta, dunque potendosi rilanciare come la più accreditata sfidante per il big match, sempre contro Meloni, alle politiche, quando ci saranno.
D’altronde “l’americana” Schlein non vede grandi subordinate, tipo il federatore o il papa straniero (avvertire Paolo Gentiloni), ma vive come il capo dell’opposizione che in quanto tale è chiamato dalla storia a sfidare la leader della destra: «Dopo Giorgia, a Palazzo Chigi ci vado io», ha detto a qualche interlocutore. Quindi il “conclave” è stato un passaggio un po’ così, con quell’aria un po’ così che abbiamo noi quando arriviamo a Gubbio, per discutere si è discusso, e al netto del disastro comunicativo è stato un passaggio innocuo tra i tanti.
I pensieri di Elly sono altri, anzi, uno solo: il duello televisivo e poi quello con le urne. Contro Giorgia Meloni, la padrona d’Italia che l’ha innalzata sul palcoscenico della storia italiana. Dove intende restare, se il popolo è d’accordo.