Kyjiv ha aperto un nuovo fronte nella resistenza contro l’invasione russa su vasta scala attaccando direttamente la principale fonte di entrate di Mosca, le esportazioni di petrolio. La settimana scorsa un drone ucraino ha raggiunto per la prima volta la regione Leningrado, dove si trova la città di San Pietroburgo, a circa mille chilometri dal confine con l’Ucraina. Le autorità russe hanno detto che il drone, diretto verso un terminal petrolifero, è stato abbattuto senza causare danni.
Domenica però c’è stato un secondo attacco nella stessa regione, che i media russi non hanno confermato come tale limitandosi a dare notizia delle sue conseguenze, ma riportato da vari media ucraini – in base a citazioni di fonti anonime – come di un’operazione dei servizi di sicurezza di Kyjiv.
Il drone stavolta è andato a segno causando un grande incendio e la chiusura temporanea di un terminal di gas condensato della Novatek a Ust-Luga, da dove partono le forniture di carburante per le forze armate russe, e nelle vicinanze di una delle più importanti strutture di raffinazione per le esportazioni petrolifere della Russia.
Il quotidiano russo Kommersant, citando le autorità locali, ha riferito che due serbatoi di stoccaggio e una stazione di pompaggio sono stati danneggiati a causa dell’incidente. Domenica le esportazioni di greggio sono state interrotte, ma i dati di tracciamento delle navi rilevano che sono riprese lunedì mattina. L’impianto dovrebbe tornare pienamente operativo entro alcune settimane, nella peggiore delle ipotesi tra qualche mese.
Al momento quindi il rischio di un blocco totale delle esportazioni dal Baltico sembra minimo, ma gli attacchi alle infrastrutture petrolifere russe in una regione così lontana dal teatro bellico aprono un altro fronte della resistenza ucraina. La stabilità delle esportazioni di petrolio per Mosca è fondamentale, poiché da esse arrivano circa il trenta per cento delle entrate totali dell’industria energetica nazionale, indispensabili per finanziare la guerra e il resto della spesa pubblica della Federazione Russa.
In base ai dati elaborati da Bloomberg, da gennaio a novembre dell’anno scorso gli impianti petroliferi nel Baltico di Ust-Luga e Primorsk hanno spedito circa un milione e mezzo di barili al giorno, più del quaranta per cento del totale delle esportazioni via mare di greggio russo.
Secondo i dati della società di market intelligence Kpler gli impianti caricano oltre il settantacinque per cento del greggio Urals, la principale miscela di greggio russo esportata in decine di nazioni ma ormai soprattutto in Cina e India.
Se gli attacchi diventassero frequenti e ripetuti, Mosca non potrebbe reindirizzare l’intero volume di barili esportati sugli altri porti.
Le alternative sono i terminal nell’Artico, ma sono impervi e limitati nella capacità infrastrutturale. Ci sono quelli nel Mar Nero a Novorossiysk, che oltre a essere ancora più vulnerabili ai droni ucraini (compresi quelli marini) verrebbero anch’essi portati a saturazione da un trasferimento dei volumi dal Baltico. Rimangono i porti del Pacifico e gli oleodotti che vanno in Cina, ma sono infrastrutture poco capienti, già impiegate al massimo della capacità.
Gli attacchi nella regione di San Pietroburgo arrivano a pochi giorni da quello del 18 gennaio nella regione di Bryansk, a cinquanta chilometri dal confine russo-ucraino, dove un drone ucraino ha colpito un deposito petrolifero della Rosneft causando un incendio che ha avvolto quattro grandi serbatoi, causando ingenti danni su un’area di oltre mille metri quadrati. «Queste operazioni dimostrano che la difesa aerea russa, nei fatti, non copre l’intero spazio aereo, e che alcune aree sono più protette di altre», ha detto a Euractiv un analista militare russo, che non ha rivelato il suo nome perché non è autorizzato a lasciare commenti ai media. «L’Ucraina ha dimostrato di essere in grado di raggiungere San Pietroburgo con un drone dotato di un piccolo carico esplosivo. Sebbene non sia un’arma sufficiente per scopi strategici, l’attacco ha causato abbastanza danni da far capire al Cremlino e ai russi che non possono sentirsi completamente al sicuro, neanche in luoghi così lontani dal confine ucraino».
Secondo l’analista, se l’industria ucraina padroneggiasse la produzione di massa di droni d’attacco a lungo raggio, questo potrebbe diventare un serio fattore di sfida per l’intero sistema di difesa aerea russo.
Ilya Abishev, osservatore militare per il servizio russo della Bbc, sottolinea che in Russia ci sono molti obiettivi come quelli colpiti in questi attacchi, e nessuna difesa aerea sarà sufficiente per proteggerli tutti.
«Dall’inizio della guerra l’Ucraina ha cercato di sviluppare la propria capacità di colpire in profondità la Russia», ha detto a Euractiv l’esperto militare israeliano David Sharp. «L’obiettivo è infliggere danni economici e militari al complesso militare-industriale russo, e costringere il nemico a dirottare all’interno della Russia le risorse militari per la difesa aerea». Ora gli ucraini hanno dimostrato di aver raggiunto questa capacità.