Nessuna soluzione legaleIl Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica minaccia la Francia

Con una conferenza stampa clandestina, il gruppo militante ha rivendicato gli attentati dell’ottobre scorso e la classe politica isolana sembra fin troppo timorosa di ostacolare i terroristi

AP/Lapresse

Undici uomini armati coperti dal passamontagna. Imbracciano mitra e fucili d’assalto mentre posano in piedi dietro un tavolo sul quale, con attenta cura scenica, pistole e microfoni poggiano sulla bandiera con la testa di moro. Sullo sfondo la sigla FLNC. Le immagini sono quelle rilasciate alla stampa dal Fronte di Liberazione Nazionale Corso che, nell’arco della conferenza stampa clandestina riportata dai quotidiani locali Corse-Matin e France 3 Corse, ha nuovamente minacciato il governo francese, annunciando la ripresa della guerra per la «liberazione» dell’isola.

Il Fronte compare per la prima volta nel 1976 e nei decenni successi, seguendo il modello dei repubblicani nordirlandesi, ha agito su due binari ben distinti: la politica elettorale e la lotta armata. È così che ai ciclostilati su ecologismo, difesa della terra e identità nazionale si affiancano le sparatorie, gli attentati (sia nell’isola che nel continente) e un dialogo sempre più stretto con la malavita locale.

È proprio sulla criminalità organizzata che i terroristi corsi si spaccano per la prima volta: una frangia consistente inizia a rivendicare gli omicidi di alcuni spacciatori locali sulla scia delle azioni compiute dall’Ira in Irlanda del Nord, mentre una parte del Fronte cercherà l’alleanza organica con la mala in funzione antifrancese. Il risultato sarà una serie di scissioni che renderanno il Fronte di Liberazione Nazionale Corso una nebulosa difficilmente identificabile, ma su questo torneremo dopo. La sigla storica annuncia la cessazione della lotta armata nel 2014, ribadendo la promessa due anni dopo e per un decennio la sigla è apparsa sporadicamente, spesso utilizzata da lupi solitari e mitomani. Una situazione che resta tale fino a poche settimane fa. Questo moto revanscista non è casuale: a partire dallo scorso settembre, il presidente Emmanuel Macron ha discusso pubblicamente la possibilità di concedere maggiore autonomia alla Corsica.

Il discorso non è nuovo, ma i provvedimenti finora adottati dallo Stato centrale, considerando la rigidità del sistema francese, non si sono mai tradotti in un vero e proprio status di autonomia. Qualcosa, oggi, sembra muoversi come testimonia il discorso di insediamento del neopremier Gabriel Attal che, tra i temi toccati durante la presentazione del programma di governo, ha parlato del «percorso di autonomia della Corsica nella Repubblica». È così che il ministro dell’Interno Gérald Darmanin viene inviato sull’isola per «un aggiornamento sui progressi» relativi alla possibile riforma costituzionale e raccogliere «il contributo di tutti i soggetti interessati».

Una svolta annunciata che non poteva non scatenare le manie di protagonismo del Fronte di Liberazione Nazionale Corso. «Non c’è alcuna alternativa legale» per contrastare la «colonizzazione dei coloni», dice il portavoce dei miliziani che nega qualsiasi intesa con i partiti nazionalisti legali e la destra insulare, rei di non «fornire soluzioni alla scomparsa del nostro popolo». La poco velata accusa riguarda Gilles Simeoni, presidente del Consiglio esecutivo della Corsica, impegnato da diciotto mesi in una lunga trattativa con il governo centrale; il ricatto dei terroristi nei suoi confronti e semplice: la maggioranza arranca, divisa tra le diverse anime nazionaliste dell’isola, e, nel caso il presidente decidesse di condannare pubblicamente il Fronte di Liberazione Nazionale Corso, una parte (consistente) di simpatizzanti all’interno delle istituzioni regionali potrebbe togliergli l’appoggio.

Il confronto tra politica locale e terroristi è preso molto sul serio dalle istituzioni corse, tanto che l’eurodeputato nazionalista François Alfonsi non minimizza la portata della conferenza stampa clandestina e traccia un parallelismo con il 1982. «I sostenitori della lotta di liberazione nazionale vedevano nel primo statuto speciale una trappola», spiega Alfonsi. «Con il senno di poi, dobbiamo ancora riconoscere dei progressi, anche l’attuale progetto di autonomia che può permetterci di invertire il corso delle cose e cambiare il destino della Corsica». Il commento lascia trasparire un certo grado di timore reverenziale verso i terroristi, ma non si tratta di un caso isolato. Invece delle condanne, le dichiarazioni della classe politica sono infarcite di giustificazioni nei confronti del Fronte di Liberazione Nazionale Corso che non crede al «riconoscimento del popolo corso, né all’ottenimento dello status di residente», dice il senatore Paul-Toussaint Parigi che assicura, come se si stesse rivolgendo a un interlocutore politico a tutti gli affetti, «la partita sarà sicuramente difficile, ma una cosa è certa: in questo processo non svendiamo le nostre rivendicazioni storiche più fondamentali. Per me non importa come chiamiamo le cose, purché venga rispettato ciò a cui legittimamente aspiriamo. L’autonomia non sarà possibile, non sarà più nemmeno una vittoria ideologica, ma una necessità assoluta».

L’unica voce discordante in questo clima ossequioso verso il Fronte di Liberazione Nazionale Corso è quella di Jean-Christophe Angelini, segretario del Partito della Nazione Corsa, che denuncia «una comunicazione che riflette una profonda divisione all’interno del movimento nazionale […] e la strategia del Fronte di Liberazione Nazionale Corso non fa altro che aggravare questa divisione» ribadendo che «oggi più che mai è tempo di dialogo con lo Stato».

Nonostante l’alta comprensione (eufemismo) dimostrata dai partiti legali, per il Fronte di Liberazione Nazionale Corso le giustificazioni non bastano. I partiti legali, collaborando con lo Stato centrale, accetterebbero di fatto l’idea di essere cittadini francesi, riducendo i corsi a comunità insulare invece che popolo. È su questa distinzione che poggia la retorica anti-Parigi dei miliziani che non perdono occasione per buttarsi in un paragone con tutti i popoli vittima del colonialismo, esprimendo il loro sostegno «alla causa palestinese».

Un passaggio talmente scontato da non sorprendere e che, come nel caso della New Ira, dona un tocco vintage a tutta la messa in scena. Al di là degli stereotipi rivoluzionari e delle reazioni politiche, molto più interessanti dei proclami del gruppo paramilitare, c’è un passaggio che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica: il Fronte di Liberazione Nazionale Corso ha rivendicato quarantacinque attentati avvenuti lo scorso ottobre.

La cifra è solo una delle tante ombre che avvolgono il terrorismo indipendentista. Infatti, oltre ad assumersi tutte le responsabilità delle azioni di ottobre, i rappresentanti del Fronte di Liberazione Nazionale Corso ne approfittano per denunciare «l’usurpazione della nostra sigla che, nonostante stupide manipolazioni, non riuscirà a screditare la nostra lotta».

Qui nasce l’equivoco: nel momento in cui il Fronte si presenta in maniera ufficiosa alla stampa e ai cittadini corsi, altri gruppi compiono attentati e regolamenti di conti sfruttandone il nome, ma al momento è impossibile distinguere la mano dietro le singole azioni. Altri Paesi che hanno subito il terrorismo politico difficilmente cedono al ricatto degli imitatori e dei nostalgici della lotta armata, ma in Corsica è diverso. La classe politica isolana forse riuscirà a ottenere l’autonomia, ma nessuno gli perdonerà l’aver istituzionalizzato il terrorismo.

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