La fusione nucleare è una bella gatta da pelare. Esistono vari modi per riprodurla artificialmente: il più comune prevede l’utilizzo di varianti dell’idrogeno come combustibile e un altissimo innalzamento delle temperature. Il tutto dentro reattori a forma di ciambella – noti come tokamak – per creare plasma, una specie di pappetta molto speciale. Il potenziale è enorme perché l’energia prodotta in questo modo è totalmente pulita: non vengono generate né scorie né residui radioattivi, come accade invece per la fissione nucleare.
I reattori a fusione non inquinano e sfruttano appunto l’idrogeno – risorsa pressoché inesauribile – come combustibile. Per questo vengono considerati da decenni una possibile alternativa alle fonti fossili e persino alle energie rinnovabili. In realtà, come già sottolineato in passato, la fusione nucleare non può rappresentare la soluzione definitiva per la lotta alla crisi climatica, un’emergenza attuale caratterizzata da sfide e target ben più a breve termine rispetto allo sviluppo su larga scala di questa tecnologia. Tuttavia, la potenziale diffusione di centrali dedicate aprirebbe a una vera decarbonizzazione della società umana, seppur in un futuro prossimo.
Qualche giorno fa i ricercatori del laboratorio di Fisica del plasma dell’università di Princeton, nel New Jersey, hanno riferito a Nature di aver trovato il modo di servirsi dell’intelligenza artificiale (IA) per prevenire le instabilità che si creano all’interno dei reattori durante questo processo. Una novità che potrebbe fare tutta la differenza del mondo.
Per capire la portata di questa scoperta, bisogna avere ben chiaro il presupposto scientifico. In breve: la fusione nucleare avviene quando due o più nuclei atomici si combinano per formare un atomo più grande e pesante. L’atomo risultante dalla fusione presenta una massa minore rispetto alla somma degli atomi di partenza: questa differenza di massa, nel processo, si trasforma in energia.
L’energia di fusione è la stessa che fa brillare il sole e le altre stelle e ha rappresentato uno dei principali filoni di ricerca nel campo dell’energia fin dai primissimi esperimenti negli anni Cinquanta (dopo le scoperte sull’opposta fissione nucleare durante la Seconda guerra mondiale, in relazione allo sviluppo della bomba atomica). Si tratta, in pratica, di veri e propri tentativi di trovare un modo per riprodurre la reazione che avviene internamente agli astri. Per dirla in maniera romantica, “replicare una stella in laboratorio”.
Naturalmente, non è un’operazione semplice. I nuclei degli atomi sono composti da particelle subatomiche più piccole, i protoni e i neutroni, che generano una forza elettrica di tipo repulsivo: ciò causa un allontanamento dei nuclei atomici che complica il processo di fusione. Lo stato della materia tipico delle reazioni di fusione è il cosiddetto plasma: a temperature molto alte le singole particelle di un gas tendono a dissociarsi negli elementi costitutivi (ioni ed elettroni) e il gas si trasforma in questa miscela di particelle cariche, che si muovono alla rinfusa. Il plasma è difficile da controllare in laboratorio, perché è soggetto a diversi tipi di instabilità che lo portano a raffreddarsi e disgregarsi in maniera estremamente rapida.
La strada che porta alla fusione nucleare è, insomma, irta di ostacoli: bisogna generare più energia di quella necessaria per alimentare il sistema (altrimenti è inutile), sviluppare materiali da costruzione a prova di reattore, mantenere il reattore libero da impurità e contenere il combustibile al suo interno (vincendo la forza repulsiva di cui abbiamo parlato prima).
È qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale. I ricercatori del Princeton Plasma Physics Laboratory hanno sviluppato un modello di IA in grado di risolvere quest’ultimo problema. L’algoritmo prevede e capisce come evitare che il plasma diventi instabile e sfugga ai forti campi magnetici che lo trattengono all’interno dei reattori.
Le instabilità possono portare a conseguenze catastrofiche: tutta l’energia immagazzinata nel plasma può essere rilasciata a livello termico e danneggiare la parete del reattore. Oppure, ancora peggio, un cambiamento improvviso nella corrente magnetica può distruggere l’intero dispositivo. L’intelligenza artificiale sviluppata dall’università statunitense è in grado di prevedere queste instabilità circa trecento millisecondi prima che si verifichino. Non un gran tempo, ma è sufficiente per tenere il plasma sotto controllo, come dimostrato nello studio. La prova del nove è stata fatta testando il software su un reattore reale, il DIII-D National Fusion Facility di San Diego: i ricercatori hanno osservato che la loro IA era in grado di controllare la potenza immessa nel reattore e la forma del plasma, tenendo così a bada quel vorticoso inferno di particelle. Un potenziale miracolo scientifico.
Il co-autore dello studio, il ricercatore Azarakhsh Jalalvand, ha spiegato che il successo del modello di apprendimento automatico deriva dal fatto che è stato addestrato su dati reali provenienti da precedenti esperimenti di fusione, piuttosto che su modelli fisici teorici. «Non insegniamo al modello tutta la complessa fisica di una reazione di fusione», ha detto Jalalvand. «Gli diciamo qual è l’obiettivo – mantenere una reazione ad alta potenza – e cosa evitare – un’instabilità della modalità di rottura – e le manopole che può girare per ottenere questi risultati. Con il tempo, impara il percorso ottimale per raggiungere l’obiettivo».
Le instabilità di tipo tearing («a strappo») sono solo uno dei modi in cui il plasma può “scardinarsi” nel corso di una fusione nucleare. Le variabili che possono portarlo a impazzire sono tantissime. Aver trovato una soluzione efficace a questo problema, tuttavia, rappresenta un passo avanti senza precedenti per il controllo e il mantenimento delle reazioni a fusione. «C’è un enorme potenziale per ottenere un controllo migliore e capire come far funzionare questi dispositivi in modo più efficace», ha dichiarato a Live Science Federico Felici, un fisico del Politecnico federale svizzero. Visti i costanti e spaventosi progressi delle intelligenze artificiali moderne, sarebbe assurdo non dargli ragione.