Antisemitismo profondoL’Italia di oggi non è molto diversa da quella razzista di ottant’anni fa

La presunzione di vivere in un Paese più civile, educato e tollerante, è solo retorica. Non è un caso che sia toccato alle comunità ebraiche organizzare l’unica manifestazione contro l’odio verso gli ebrei

Una bandiera palestinese alla manifestazione della Cgil di sabato
Cecilia Fabiano /LaPresse

Assomiglia a una specie di giudiziosa beneducazione la solidarietà al popolo ebraico registrata nel giro dei quattro mesi ormai passati dal Sabato Nero. Sulle prime, e anzi per buon tempo, ci compiacevamo di quel pur routinario attestato di partecipazione amicale: era cosa comunque notevole, un piccolo ma significativo naviglio di contraddittoria decenza nel mare di merda gonfiato dal Segretario Generale che non trova il modo di deplorare i massacri senza ricordare che non vengono dal nulla.

Era un errore compiacersene. Perché era come compiacersi di un like su Twitter o come si chiama adesso. E a dirla tutta, a dirla vera, era come compiacersi della riserva mentale del tedesco che caricava gli ebrei sul vagone.

Direi in qualunque Paese, ma almeno in quello che ha scritto e applicato le leggi razziali, avremmo voluto vedere qualcosa di più fattivo e ascoltare qualcosa di più risonante davanti al liceo in cui un professore prende a tema la coscienza del ragazzo ebreo di cui si denuncia l’appartenenza alla schiatta genocida. Sul muro recante la stella di David e il numero dell’appartamento in cui vive l’ebrea non avremmo voluto vedere cancellature, ma una scritta sostitutiva firmata da tutti i condomini e rivolta ai bastardi: “Vi preghiamo, tornate, che vogliamo rompervi le ossa”. Alla stronza che gridava «fuori i sionisti da Roma» non avremmo voluto vedere opposti gli editoriali democratici che indugiano sull’inevitabilità di qualche eccesso in un innocuo corteo vibrante di pace: avremmo voluto vedere opposta, subito, immensa, una foresta di cartelli co’ scritto sopra “Semo tutti sionisti cosììììì!”. E soprattutto non avremmo voluto fiutare il puzzo vero di quella mancanza, e cioè che è scontato che non si è d’accordo, figurarsi, è ovvio che è “inaccettabile”, ma sicuro che non ci rappresenta, ma certo che va condannato: forse non concordiamo tutti sul fatto che mettersi le dita nel naso è maleducato?

E porca di quella puttana, ma se le comunità ebraiche consigliano agli ebrei di non farsi riconoscere, di non portare la kippah, com’è che a migliaia, a decine di migliaia, a centinaia di migliaia gli italiani non se ne comprano una e non se la mettono? Se agli ebrei si suggerisce di non sostare troppo e in troppi davanti alle sinagoghe, alle scuole ebraiche, ai “loro” posti, come è possibile, perdio, che gli italiani non vi si assembrino a centinaia, a migliaia, per dire che quelli sono i posti degli italiani, e che gli italiani vogliono stare lì al posto degli ebrei se lì gli ebrei sono in pericolo?

Per un barlume di consapevolezza che, evidentemente, quel mio iniziale compiacimento non riusciva a inibire, ho scritto qualche tempo fa che se è toccato alle comunità ebraiche organizzare l’unica manifestazione contro l’antisemitismo dilagante – l’unica, Cristo! – vuol dire che in profundo l’Italia di oggi non è molto diversa rispetto a quella di ottant’anni addietro. E io dico che da un certo punto di vista è anche peggio, perché a differenziarla da quella di ottant’anni fa è perlopiù un manto di disgustosa retorica, quella che condanna l’antisemitismo guardando il film di Roberto Benigni. Perché a farla uguale è la testa girata dall’altra parte. Perché a farla diversa c’è soltanto la presunzione di essere diversa: una presunzione semplice, annullata dalla prova contraria.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter