Ci sono delle volte in cui, se sei me, questa pagina non la scrivi per palleggiarti un’idea e vedere se regge, che aggiustamenti le servano, come funzioni una volta scritta, se se ne possa fare un libro un kolossal un haiku.
Ci sono delle volte in cui, se sei me, questa pagina ti metti a scriverla come quello andava allo zoo a gridare «È scappato il leone». Con una differenza d’un secolo, però: con la soglia d’attenzione del pubblico di questo secolo, relitto d’un’alfabetizzazione di massa evidentemente fallita.
Ci sono delle volte in cui, se sei me, pensi a quelli che non sanno chi leggono (perché dovrebbero: leggono roba a caso che gli compare nel cellulare mentre aspettano il tram), a quelli cui mancano ogni contesto e storia personale e ideologica, a quelli cui basta il titolo (perché incapaci di leggere più di dieci righe senza affaticarsi, sì, ma anche – soprattutto – perché arroganti al punto da percepirsi come gente che capisce al volo).
Dunque la Francia ha inserito nella Costituzione la libertà per le donne di abortire (che, come ha spiegato ieri Carlo Panella, è una formulazione non accidentalmente diversa dal diritto di abortire). Ad approvare la riforma costituzionale anche la compagna Marine Le Pen.
Grande festa alla corte di Francia, grandi «ecco mica come da noi servi del Vaticano qui». Ora, avrei alcune obiezioni, che potete anche non leggere, usando invece questo tempo per andare su un qualche social a scrivere «Soncini vuole obbligarci a figliare».
La prima obiezione è: e quindi? Cioè, nella Costituzione italiana c’è scritto che la repubblica è «fondata sul lavoro»: vi pare che lo sia? Da dove vi viene questa convinzione che se una cosa viene inserita nella Costituzione allora sia una tavola della legge di Mosé e ci si adeguerà tutti? Non vi pare di somigliare agli invasati americani che guai a dirgli di non tenere venticinque mitra in casa perché la Costituzione tutela il mio diritto a essere armato puntesclamativo?
Oltretutto ho come l’impressione che, così come le riforme, esistano le controriforme: una cosa che inserisci in Costituzione oggi puoi toglierla domani, se non rispecchia più lo spirito del tempo. No?
Certo, diranno le mie piccole lettrici con la sfiga d’essere fertili: intanto, però, in Francia attualmente sono messe meglio di noi con l’aborto (sì, dico «messe» perché sono abbastanza pratica di italiano e di biologia da sapere declinare il femminile, quel genere sessuale che ha la disgrazia potenziale della gravidanza; se vedo un’altra subfemminista di Instagram fare tirate a favore dell’aborto declinando coloro che devono poter abortire in forme neutre o in maschili sovrestesi, non rispondo delle mie reazioni).
In Francia sono messe meglio di noi, come pressoché ovunque, avendo noi la 194, una legge di cui le donne di sinistra (parlandone da vive) vogliono l’abolizione, e la segretaria del principale partito di sinistra (parlando anche di esso da vivo) vuole la «piena attuazione». La più intelligente delle mie amiche, quando le chiedo se ci sarà mai un politico italiano abbastanza lucido da dire che la 194 è una legge beghina e superata dalla storia, mi risponde: è più plausibile che diventiamo prime ballerine della Scala.
Comunque. In questo derelitto paese puoi abortire fino al terzo mese e non fino al sesto come in Inghilterra e un po’ in tutti i paesi civili; in questo derelitto paese non puoi abortire nel privato se vuoi e se te lo puoi permettere; in questo derelitto paese la 194 è stata approvata quarantasei anni fa e – si presume – coloro che già facevano i ginecologi e che si erano specializzati quando non esisteva l’aborto legale, e andavano tutelati con l’opzione dell’obiezione di coscienza, si suppone che questi signori divorati dall’etica siano ormai in pensione, e quindi a cosa diamine serve l’obiezione di coscienza, epperò lì sta, un po’ come fossimo piene di cabine a gettoni. Altrove sono messe meglio, sì.
Epperò. Epperò questa cosa la posso dire io, che ritengo che si passi da vita potenziale a essere umano quando si diventa capaci di fare conversazione, cioè dopo i trentacinque anni (e neppure tutti), e che quindi si debba poter abortire non fino alla fine del terzo mese ma fino alla fine del trentacinquesimo anno (del feto). Voialtre, invece.
Voi che l’aborto è sempre un trauma. Voi che guai a mettervi nel letto di fianco a qualcuna che ha partorito perché io sono qui a piangere il figlio che non sto volendo avere e tu mi traumatizzi con quello che qualcuna ha avuto. Voi che se ti fanno sentire il battito del cuore del feto poi avete bisogno di vent’anni di analisi perché mica volevate rendervi conto della cosa orribile che state facendo a voi stesse per disperazione (non si capisce quale disperazione: siamo strapiene di anticoncezionali, continuiamo a parlare dell’aborto come vivessimo negli anni Quaranta e fosse l’unica opzione).
Voi che quando si parla di reparti avete sempre una storia straziante su quella volta che avete abortito e dalla vostra stanza si sentivano i pianti dei bambini in fondo al corridoio. Voi che quando si parla di aborto vi giocate sempre l’asso pigliatutto dello stupro e quello del feto deforme, e mai mai mai l’opzione più ovvia, più semplice, più frequente: che siete incinte, siete incinte da rapporto consensuale con marito o fidanzato, siete incinte di quello che diventerebbe un bambino sanissimo, e tuttavia non volete essere incinte.
Certo che le donne devono poter abortire, per una ragione così ovvia che mi viene anche da ridere a doverla rimarcare: qual è l’alternativa? Una società che costringe le donne a portare avanti gravidanze indesiderate? Gilead? Nove mesi di prigionia fino al parto?
E tuttavia, nella colossale imbecillità del dibattito sull’aborto, da una parte ci sono quelli che bisogna solo spiegarti che dove si mangia in due si mangia anche in tre e aspettare che ti scatti l’inevitabile istinto materno (si vede che non avete mai passato del tempo con me, se pensate ce l’abbiano tutte); dall’altra ci sono quelle che lo stupro, le malattie, i traumi, la rava, la fava, e mai mai mai un’argomentazione adulta e razionale.
E infatti, nell’irrazionalità, eccole in piazza (o sui social) a festeggiare l’aborto in Costituzione. Ma non è un trauma pazzesco? Non siete quelle che se sentono il battito si percepiscono assassine o almeno insensibili? Ma quindi cos’avete da festeggiare?
E ora scusate, devo mettermi comoda a guardare tutti quelli elencati prima, che mi spiegheranno che sono una ciellina che vuole l’obbligo riproduttivo, una fascista che vuole togliere il diritto all’aborto alle italiane, una vegliarda che ora che le sue ovaie si sono rinsecchite non pensa ai diritti delle giovani donne, una beghina contraria alle libertà e zelante nel volere tantissimi bambini, anche nati a forza, purché poi siano nei tavoli vicini al mio al ristorante, e prendano i miei stessi aerei. E, per fare il suo editoriale contro l’aborto, quella stronza ha scelto proprio l’8 marzo.