A quattro mesi dalle elezioni i Paesi Bassi sono ancora alla ricerca di un nuovo premier, visto che il vincitore delle votazioni di novembre, il leader della formazione di estrema destra Pvv Geert Wilders, è stato escluso dai suoi futuri alleati di governo dal posto assegnato poi a Mark Rutte, dimessosi lo scorso luglio ma ancora in carica per gli affari correnti. Eppure, continua ad avere un ruolo centrale nella formazione del prossimo esecutivo, visto che senza i suoi trentasette deputati nella Tweede Kamer – la Camera bassa del Parlamento olandese – gli altri partiti cristiani e liberali conservatori, cioè il Partito popolare, il Partito dei contadini e il Nuovo contratto sociale, non possono formare il governo.
A trarne vantaggio sarebbe Frans Timmermans, ex vicepresidente della Commissione europea e oggi leader di Sinistra verde-Partito del Lavoro, coalizione arrivata seconda al voto di novembre. «Se il tentativo dei nostri partiti fallisce, toccherà a lui», ha dichiarato in Aula Dilan Yeşilgöz-Zegerius, leader del Partito popolare. Un’eventualità che lei e gli altri leader dei partiti sembrano voler esorcizzare a tutti i costi, anche al prezzo di formare un governo mai così a destra nella storia dei Paesi Bassi.
A mediare nell’ultimo mese tra le parti è stato Kim Putters, presidente del Consiglio economico e sociale ed ex politico di area laburista, conoscitore quindi delle dinamiche tra i partiti in Parlamento. Dopo una serie di colloqui il suo suggerimento è stato chiaro: formare un governo «extraparlamentare, con un mix equilibrato di ministri interni ed esterni alla politica, che renda giustizia al risultato elettorale», ha scritto Putters nel suo rapporto. Una soluzione che i Paesi Bassi non sperimentano dal 1918 ma che i partiti vorrebbero portare avanti lasciando tutti i leader in Parlamento.
A ciò si aggiunge un altro suggerimento di Putters, quello di «stilare un accordo di governo su alcune grandi linee, visto che i parlamentari avrebbero molto più libertà d’azione, ma di essere dettagliati su punti come la solidità delle finanze pubbliche, il rafforzamento della nostra posizione internazionale (in termini di economia e sicurezza) e dello Stato di diritto».
Un rapporto che non sembra essere molto piaciuto a Wilders. «Posso diventare il premier olandese solo se tutti i partiti della coalizione sono d’accordo su questo, e non è stato così», ha sottolineato il leader di Pvv su X. Un principio ulteriormente ribadito in Aula il 20 marzo, quando si è discusso il rapporto Putters. «Naturalmente avrei preferito diventare primo ministro, un’aspirazione consentita, come leader del partito che è arrivato primo in Parlamento. Ma il mio amore per questo Paese è più importante della mia posizione», ha dichiarato alla Tweede Kamer, rimarcando di volere «soltanto» posizioni importanti per i membri del suo partito.
Wilders ha però modo di consolarsi: così come è stato lui a scegliere chi prenderà il posto di Putters, cioè Elbert Dijkgraaf e Richard van Zwol (figure a lui non vicine), sarà sempre lui ad avere l’ultima parola anche sul futuro premier, una figura che politicamente gli è vicina e non ingombrante. Alla Camera i deputati di Pvv sono trentasette, e Timmermans in Aula li ha paragonati ai “Minions”. E non mancano esempi politici dall’estero a cui Wilders, il Gru della situazione, può ispirarsi, a cominciare dalle elezioni del 2018 in Italia che, in modo analogo, portarono alla ribalta Giuseppe Conte.
La figura di un possibile “Avvocato del Popolo” made in the Netherlands è stato il convitato di pietra di tutta la discussione del rapporto Putters. Una questione che non nasconde come le trattative tra i quattro partiti restino difficili, come emerge anche dal dibattito che ne è seguito, in cui tutti gli esponenti di opposizione hanno chiesto ai membri della futura maggioranza se sono pronti a scendere a patti con Wilders, con quest’ultimo che ha poi avvertito i suoi alleati: «Voglio un governo, ma non scenderemo a compromessi». D’altronde le differenze tra i partiti sono tante, a cominciare dalle grandi questioni internazionali, come la guerra in Ucraina, il rapporto con l’Ue e i migranti, fino alle questioni interne e alle finanze pubbliche.
Non è perciò detto che il termine di otto settimane, limite temporale dato da Wilders ai due nuovi mediatori per valutare la formazione di un governo su alcuni grandi temi, sarà rispettato. La stessa idea di un «governo extraparlamentare» sembra a molti membri dell’opposizione un modo per nascondere un normale governo di maggioranza con a capo un partito come Pvv che tutti cercano di mantenere a distanza ma con cui poi si fanno accordi sottobanco.
A chiedere un impegno maggiore ai suoi alleati è anche Pieter Omtzigt, leader del Nuovo contratto sociale, che preferirebbe una sorta di governo a «maggioranza variabile» e per questo chiede ai partiti di opposizione di non minacciare con l’uscita dalla maggioranza chi desidera prendere parte al governo. Sarebbe un tentativo di nascondere una possibile fronda di parlamentari di maggioranza con altri provenienti dall’opposizione. Allo stesso obiettivo punta probabilmente anche Wilders stesso, che ha scelto due mediatori legati a partiti come il Partito politico riformato e l’Appello Cristiano democratico, e dimostra così di avere piena volontà di mantenersi aperti su possibili collaborazioni esterne.
Eppure, per il momento l’opposizione mantiene il cordone anti-Wilders: adesso toccherà capire se anche le formazioni centro-democratiche e conservatrici sono davvero pronte a sostenere un governo con l’estrema destra. «È un dato di fatto che questo Paese ha scelto una strada di centrodestra», ha dichiarato Dilan Yeşilgöz-Zegerius rispondendo al leader dei Democratici 66, Rob Jetten. Se sarà fatto a tutti i costi è ancora da vedere.