Confine naturaleL’intelligenza artificiale è nemica della creatività?

L’artista sino-canadese Sougwen Chung, che ha fondato lo studio Scilicet e da dieci anni usa i robot come compagni e copiloti del proprio lavoro, riflette sulle relazioni tra la macchina e la fantasia umana

AP/Lapresse

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Dove inizia l’Intelligenza Artificiale? E dove finisce? È da molto tempo che penso a questa questione, alla linea tra le macchine e la creatività umana. Nella mia arte, le linee sono gli elementi che dominano le immagini. Ma che cosa succede quando queste linee sono realizzate da una macchina?

Nel 2015 ho iniziato il mio viaggio nella co-creazione. Mi ci sono voluti due anni per scansionare meticolosamente più di vent’anni di disegni in un sistema che ho sviluppato per addestrare una rete neurale ricorrente. La rete neurale guida i movimenti di D.O.U.G. (acronimo di Drawing Operations Unit: Generation 2), un robot che ho costruito per disegnare con me. Abbiamo debuttato nel 2017. Oggi continuo a esplorare le tecnologie emergenti: biosensori, computer vision, realtà virtuale e macchine personalizzate. È passato quasi un decennio. Mi chiedo: con tutti questi adattamenti tecnologici, che cosa ne sarà della mano umana?

Negli anni successivi alla pandemia di Covid-19, ho visto alcuni colleghi farla finita con la propria attività artistica per disillusione, per pragmatismo o, spesso, per una combinazione di entrambe le cose. Però, con lo sviluppo del mercato dell’arte digitale, avvenuto grazie ai non-fungible tokens (Nft), alle criptovalute e ai sistemi generativi di Intelligenza Artificiale (I.A.) che sono in grado di produrre immagini, ho visto nascere una nuova generazione di artisti digitali e ho visto emergere e fiorire nuovi atelier.

È un periodo strano in cui fare arte. Nel 2023 vari settori dell’industria culturale hanno vissuto delle rivolte, dallo sciopero degli sceneggiatori negli Stati Uniti, che è durato 148 giorni, agli artisti che giustamente hanno protestato perché le opere da loro prodotte venivano usate senza il loro consenso come “dati” con cui addestrare l’I.A. E i ricercatori hanno sottolineato, un’altra volta, che bisogna stare in guardia perché c’è il pericolo che l’I.A. sviluppi dei pregiudizi: ormai questo sembra quasi scontato.

Un altro problema è determinato dal fatto che non tutti conoscono i costi nascosti connessi all’accumulazione dei dati che sono necessari per dare un senso a dei modelli linguistici massicci come il GPT-4 di OpenAI. Allo stesso tempo, il collegamento dei prompt con la generazione e la programmazione di immagini ha reso popolare una nuova relazione tra il testo e l’immagine. Ora sempre più persone possono comunicare attraverso un mezzo visivo e questo è un nuovo punto d’accesso per imparare a programmare. ChatGPT può fungere da assistente con cui parlare, contribuendo a creare la sensazione di un rapporto tra i sistemi di I.A. e gli esseri umani.

Con tutto l’hype che circonda questi argomenti, è facile dimenticare che non esiste un’unica intelligenza artificiale per lo stesso motivo per cui non esiste un’unica intelligenza naturale. Io sono arrivata a considerare il mio approccio all’apprendimento attraverso i sistemi (che siano essi ritenuti intelligenti o meno) come un catalizzatore creativo. Nei dati c’è un significato, ma questo significato non è in quello che ci viene fornito, bensì in quello che siamo noi a fare.

Per me, la creazione di significato e la sperimentazione vanno di pari passo. In Process Study – Structure from Motion sto sperimentando un nuovo modo di catturare un ambiente. Questa tecnica per ricreare scene in 3D si chiama gaussian splatting ed è in grado di ricavare la struttura dal movimento, ottenendo una rappresentazione densa degli oggetti che, ai miei occhi, produce anche degli artefatti visivi pittorici e spettrali. Sono attratta da questo approccio sia per le sue possibilità future – nuove applicazioni dell’I.A. Incarnata – sia per il suo effetto nel presente: esso mostra l’incompletezza della rappresentazione digitale e l’aspetto stesso del sistema come un proprio tipo di bellezza.

Il tema della bellezza e quello della fragilità ispirano le mie sperimentazioni che spesso implicano la condivisione del tempo e dello spazio del fare arte con le macchine. Ho raccontato questa evoluzione attraverso performance, film e brevi video dal mio studio. Per me il disegno è un modo di stare al mondo. Quando disegno e creo con le mie macchine, questo processo creativo mi permette di relazionarmi sia con la tecnologia sia con i miei istinti fisici per formare una sorta di relazione gestuale. E mostrare il processo in corso offre spazio all’introspezione.

Nel mio viaggio nel mondo dei robot, ho da poco terminato la quinta generazione [le prime quattro sono state: D.O.U.G._1 (Mimicry); D.O.U.G._2 (Memory); D.O.U.G._3 (Collectivity); D.O.U.G._4 (Spettrality), ndr]. Tuttavia, mi sembra che siamo solo all’inizio di questo tipo di arte e della nostra comprensione del ruolo della tecnologia nell’arte. Dall’imitazione alla memoria e dallo studio della collettività in un ambiente urbano alla spettralità del biofeedback, ogni generazione di robot ha sbloccato una nuova serie di abilità tecniche, creando relazioni più forti tra l’uomo e la macchina. E a ogni ulteriore sviluppo, mi ritrovo con più domande che risposte.

Mentre dipingo nel mio studio collaborando con le unità robotiche, mi auguro che alcune di queste tensioni si trasformino nella linea dipinta, nell’artefatto visibile sulla tela.

Quando le persone osservano il mio lavoro, spesso mi chiedono: «L’Intelligenza Artificiale può essere creativa?». Ma ultimamente non sono più sicura che sia questa la domanda che dovremmo porci. Gli artisti hanno il privilegio di poter reagire al momento sociale e politico del loro tempo. Io ho progettato delle forme alternative di macchine ispirate alla natura, considerando il legame tra l’uomo e le macchine come qualcosa di ecologico.

Nello sviluppo di queste mie configurazioni in divenire, la linea tracciata è una costante che rimane sempre al centro. È una linea che esplora il potenziale della collaborazione tra l’uomo e la macchina, in base all’ipotesi che la macchina possa agire da catalizzatore, copilota e compagna di lavoro.

Se c’è qualcosa che ho imparato da questo viaggio durato ormai dieci anni, è che l’arte può aiutarci a porre delle domande migliori. È possibile far convivere nella nostra mente la paura e la speranza? Come possiamo cogliere contemporaneamente le promesse, le minacce e le paranoie connesse ai cambiamenti tecnici? Dov’è che finisce l’Intelligenza Artificiale? E dov’è che iniziamo noi?

© 2023 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND SOUGWEN CHUNG

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Turning Points 2024 in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui.

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