Anche a New York si può inventare qualcosa di nuovo, o quasi. Nella Grande Mela c’è tutto lo scibile umano delle proposte gastronomiche, financo un locale che propone la cucina degli Uiguri, la minoranza cinese mussulmana perseguitata dal regime di Xi Jinping. Eppure uno chef italiano ha deciso di buttarsi in un mondo che se non è sconosciuto poco ci manca: il pesce invecchiato, come si dice qui a proposito delle grandi bistecche di lunga frollatura “dry aged”. Una proposta che in Italia ha già diversi protagonisti.
Il suo nome è Riccardo Orfino. È arrivato a New York nel 2014, chiamato per l’apertura di Eataly a Flatiron, poi è stato executive sous chef a La Pecora Bianca, per diventare infine executive chef e partner del ristorante Osteria 57, vincendo, tra l’altro, la sfida di un locale senza carne nel menu: molti pensavano che a New York non avrebbe avuto successo.
Il suo mantra, da quando ha potuto finalmente avere la totale responsabilità di una cucina, è il rapporto con i produttori che incontra al mercato di Union Square. Perché, come ama ripetere, il suo mentore è Aimo Moroni, forse il cuoco italiano più devoto alla materia prima.
Oggi esplorare il mondo del pesce “invecchiato” rientra proprio in una attenzione moderna al prodotto. In quest’ottica si inserisce la collaborazione con i fornitori, le cooperative dei pescatori di Montauk all’estrema punta di Long Island.
«Non invento niente, sia chiaro» racconta in anteprima Orfino a Linkiesta Gastronomika presentando in esclusiva il nuovo spazio, che aprirà il 28 marzo preceduto dalla presentazione ufficiale alla stampa. «Ho studiato molto, ho letto i libri fondamentali, a cominciare da tutti quelli dell’australiano Josh Niland, il guru. Qui in città il dry aging del pesce è una materia pressoché sconosciuta, fa parte della cultura giapponese e si ritrova in qualche locale di sushi, recentemente ha aperto Theodora a Brooklyn che ha in menu diversi piatti preparati con l’ingrediente trattato con questa tecnica, ma ha un’impronta mediterranea con ispirazione mediorientale. Noi faremo una cucina italiana moderna».
Per Orfino e i suoi soci il Covid è stata l’occasione per rilevare i locali di uno storico ristorante italiano, Gradisca, dove è nato Alice, con una cucina sempre senza carne, in un locale più fancy che per esempio è stato scelto da Madonna per festeggiare la festa della mamma. Lo spirito della cucina non cambia: prodotto e italianità. È innegabile che tra i pochi ristoranti di New York dove si mangi italiano senza pensare «chi me l’ha fatto fare» ci siano Osteria 57 e Alice.
Quest’anno si è aggiunta una nuova avventura che comprende, appunto, il locale dedicato al pesce invecchiato che aprirà tra poco all’interno degli spazi di Travelers Poets and Friends, nome che sancisce lo spirito da avventurieri dei soci. Il desiderio di accontentare il famoso detto «non c’è due senza tre» girava da tempo, le idee e i tentativi di trovare un luogo si rincorrevano da un po’ fino a quando, in un grande spazio apparentemente abbandonato sulla Sixth Avenue, tra decima e undicesima Street, è comparso un cartello di affitto.
Cinque vetrine oscurate nel West Village nascondevano un posto disastrato che hanno richiesto molti più mesi di lavoro del previsto per la ristrutturazione, con aperture dilazionate. Per prima ha alzato la serranda la gelateria Pamina con gelato totalmente naturale, poi il cuore di TPF che sono la caffetteria, la rosticceria, un laboratorio di pasta che si affaccia su una vetrina e un piccolo market con prodotti italiani selezionati.
Dalla colazione all’aperitivo una offerta senza soluzione di continuità in un’area (la stessa degli altri ristoranti) che si è fatta presto notare dagli abitanti di una delle zone iconiche della Grande Mela. Tra i clienti abituali c’è Susan Sarandon. Tutto quello che si vende è prodotto “in da house”, i panini sono notevoli, le lasagne di pesce e i supplì di pasta cacio e pepe si fanno notare.
Il ristorante del pesce dry aged è nei locali di TPF: il suo nome è Ala Luna. «Sarà il fiore all’occhiello del gruppo, naturalmente per la proposta originale, per tutta la cura del menu» racconta Orfino. «Il lavoro di studio e preparazione è stato lungo e impegnativo, tanti gli errori prima di pensare di essere pronti, ma sbagliare in questo percorso è stato importante. Sono entrato in contatto con Jacopo Ticchi della Trattoria Da Lucio, è stato molto disponibile e spero un giorno di averlo qui per una quattro mani».
Il menu, che avrà comunque anche piatti di pesce tradizionale, come i cannelloni di astice, e vegetali, avrà una piatto seacuterie (salumi di mare) con bresaola di tonno, pastrami di trota e bacon di ricciola, la pasta ripiena sarà con coda di ricciola affumicata condita con una riduzione di panna, bottarga e finita al tavolo con uno spray di aceto balsamico, ci sarà una tartare di bonito invecchiato sei giorni e condita con gli stessi ingredienti di una tartare di manzo, infine il cliente potrà scegliere da un vassoio di presentazione il trancio o il pesce intero che verrà cotto sulla brace.
«Non vedo l’ora di cominciare, grazie ai miei soci Emanuele Nigro, Michele Bosco e Wael Deek, sono pronto a una nuova sfida».
Tutte le fotografie sono di Stefano Vegliani