Al di là della piacevolezza di trascorrere due giorni in Alto Adige, circondati da un paesaggio mozzafiato e ottimi prodotti, l’evento di Summa promosso dalla famiglia Lageder in concomitanza al Vinitaly è una grandissima occasione relazionale, commerciale b2b e formativa. Nell’ambito delle degustazioni promosse a tutto tondo sulle diverse linee della cantina e negli spazi dedicati ai friends & family selezionati dalla famiglia, sono le verticali a regalare le maggiori soddisfazioni. La possibilità di spaziare tra vent’anni di produzioni, monovitigno, e con chi quel vino lo ha prodotto per tutto questo tempo è un’occasione più unica che rara.
L’approccio olistico al mondo della viticoltura promosso dai Lageder si fa tangibile in ogni singola bottiglia e nel complesso nell’essenza della manifestazione in sé. Ogni vino è prodotto in biodinamica, dal greco bios = vita e dinamikòs = movimento, è un metodo nato per rinnovare l’agricoltura e basato sui principi dell’antroposofia. L’ideatore di questa concezione del mondo fu l’austriaco Rudolf Steiner, filosofo, secondo la quale un’azienda agricola funziona come un microcosmo organico, dove oltre all’uomo convivono piante e animali in grande quantità. «Noi, come tenuta vinicola, ci siamo posti l’obiettivo di conservare e difendere questo ecosistema complesso.
Sul piano pratico, ciò significa bandire del tutto fitofarmaci chimici di sintesi, erbicidi, fungicidi, insetticidi e concimi minerali, utilizzando invece preparati e infusi omeopatici che favoriscano i cicli naturali. Nei nostri vigneti incrementiamo la biodiversità con essenze erbose e floreali, arbusti e piante, animali e concimi a base di compost, creando così un humus naturale che migliora la qualità del terreno e la fertilità delle vite». E in cantina? Ci si attiene ai criteri stabiliti dall’associazione biologico-dinamica Demeter Italia, che con i suoi principi rigidi e la sua estrema serietà in materia, funge da doppio sigillo di garanzia.
Uno dei principali obiettivi della biodinamica è il ciclo naturale completo, che l’azienda porta avanti attraverso il progetto Buoi, di cui vi abbiamo parlato in fase iniziale, e il progetto Grandorto. «In mezzo ai nostri vigneti abbiamo realizzato un orto nel quale si coltivano verdure delle più svariate tipologie, frutta, erbe aromatiche e cereali». Nemmeno a metterlo in dubbio, la produzione è chiaramente biologica e l’arrivo costante del raccolto di stagione, con un sapore autentico e inteso, è fonte di ispirazione enorme per tutta la cucina del Paradeis, il ristorante della tenuta. Questa visione, così in linea con l’andamento naturale di clima, stagioni, tempi della natura, si ritrova appieno nelle linee di produzione care alla tenuta.
Da qui si spiegano gli innumerevoli tentativi portati avanti di anno in anno, gli esperimenti, le combinazioni insolite e talvolta azzardate da cui derivano spesso vini inaspettati, etichette oniriche, edizioni limitate e brevissime nel tempo. Negli anni Ottanta, il Löwengang Chardonnay è stato protagonista di una felice accelerazione dell’azienda, in quanto primo vino bianco altoatesino ad affermarsi sui mercati internazionali. Territorio quello dell’Alto Adige storicamente votato agli uvaggi scuri – con i quali veniva rifornito con regolarità l’impero austriaco. Grazie alle particolari condizioni climatiche che l’area di Magrè preserva, ci volle poco tempo per capire che questo vigneto aveva potenziale da vendere e da incanalare nei giusti risultati.
La linea Löwengang raccoglie al suo interno una selezione di uve Carmenère, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon – vitate su otto ettari differenti, con suolo particolarmente calcareo. «Ogni annata ci chiediamo come approcciarci alla produzione. Cerchiamo di tenere fisso un passaggio in barrique – che nel tempo è stata ridotta – e una fermentazione sui lieviti di almeno undici mesi, selezionando la raccolta ogni anno in modo diverso. A seconda del clima, della resa, del terreno, dei cambiamenti nel suolo» racconta Alois Lageder. Degustando annate dal 1990 sino al 2016, si nota come nonostante cambino i livelli di acidità e tannino, in bocca e al naso resti sempre una grandissima eleganza.
Ci sono carattere e identità, una bella immediatezza e una persistenza apprezzabile anche nelle annate più giovani. Le prime annate testate vertono decisamente al dolce, con un aroma di miele spiccato, una bella setosità ma nonostante questo un gusto drink e crispy. Complessivamente, c’è gentilezza e armonia in tutte le bottiglie, tenendo presente che solo dal 2007 l’azienda ha ottenuto la certificazione biodinamica. Arrivando ad anni più recenti il legno si fa sentire con una nota più marcata, arrivano più fiori e una discreta freschezza, l’acidità facilita la salivazione e la personalità della bottiglia fa pensare ad abbinamenti che possono spaziare senza problemi da carni bianche o rosse al pesce, alle affumicature leggere così come a piatti vegetali e dessert.
Tutte le immagini courtesy Alois Lageder