Gerusalemme, Tel Aviv e l’antica capitale ucraina Kharkiv sono state attaccate da droni Shahed iraniani lanciati da due regimi genocidari alleati, la Repubblica islamica degli Ayatollah e la Russia imperialista di Putin, al fine di uccidere indiscriminatamente la popolazione civile israeliana e ucraina, di sterminare metodicamente gli ebrei e gli ucraini e di cancellare la loro identità culturale, etnica e religiosa.
La combinazione di droni Shahed e di missili balistici e cruise sparati dagli iraniani sulle città israeliane è molto simile a quella sperimentata quotidianamente negli ultimi mesi dai russi per sovraccaricare i sistemi antimissilistici e penetrare la difesa aerea ucraina.
Gran parte di questi attacchi russo-iraniani, compresi quelli lanciati quotidianamente da Hamas, dalla Jihad islamica e dagli Huthi, vengono neutralizzati dai sistemi di protezione occidentale e dall’Iron Dome israeliano, e soltanto per questo motivo non si contano decine di migliaia di morti civili al giorno.
Nel caso dell’attacco a Israele di sabato notte, i missili e i droni iraniani sono stati abbattuti anche grazie all’intervento militare degli alleati arabi e occidentali dello Stato ebraico. Una formidabile esibizione di solidarietà internazionale in difesa di Israele e contro le mire apocalittiche degli Ayatollah, che va oltre le tradizionali alleanze internazionali.
Israele e Ucraina condividono i nemici, subiscono la medesima carica distruttiva e affrontano la stessa tattica militare. Sono entrambe democrazie e stati di diritto, con opinioni pubbliche vibranti e libere di criticare e di controllare chi li governa temporaneamente.
L’unica differenza tra i due paesi è che Israele è in grado di difendersi da solo, perché vive sotto attacco da settantacinque anni, è preparato alla guerra, e sa di essere protetto dagli Stati Uniti, mentre l’Ucraina no. Ora è vero che Israele è costretto a confrontarsi con le ubbie dei talk show italiani e i boicottaggi delle università occidentali, ma si accontenta di ricevere la solidarietà degli antichi nemici arabi che da tempo hanno deciso di fare la pace e di concentrarsi sulla comune minaccia iraniana e dei suoi agenti regionali Hamas ed Hezbollah.
L’Ucraina, invece, non ha mezzi propri per difendersi, perché è un paese giovane e povero, e soprattutto perché nel 1994 è stato demilitarizzato dagli americani che hanno convinto Kyjiv (col memorandum di Budapest) a consegnare alcune migliaia di testate nucleari alla Russia in cambio della propria integrità territoriale, politica e culturale.
La Russia ha violato palesemente quell’accordo e gli americani lo hanno rispettato soltanto parzialmente, centellinando gli aiuti militari che peraltro al momento sono bloccati dalle manovre della cricca trumpiana alla Camera di Washington.
L’invio di armi americane all’Ucraina è fermo da mesi su richiesta esplicita di Trump, l’ex presidente già incriminato dal Congresso, insieme con molti dei suoi collaboratori sul piano penale, per sospetta complicità con la Russia e le sue attività di guerra ibrida contro le istituzioni democratiche americane. Mentre i missili e gli aerei restano in America, i russi bombardano, gli ucraini muoiono e gli iraniani possono usare i droni che avanzano anche contro Israele.
I comizi di Trump sono frequentati da militanti filo russi pronti a regalare l’Ucraina a Putin e da fanatici convinti che Biden sia complice del genocidio dei palestinesi, perché la Casa Bianca non ferma con le maniere forti il piano militare di Benjamin Netanyahu di liberare gli ostaggi e di eliminare i responsabili del pogrom antisemita del 7 ottobre.
Tutto questo accade proprio mentre gli iraniani usano i droni – che prestano ai russi per colpire i civili ucraini senza più sufficiente protezione occidentale – per uccidere quanti più ebrei possibile nel tentativo di ripetere il volenteroso massacro degli ebrei del 7 ottobre, ma questa volta su larga scala.
L’attacco iraniano al sistema politico dei diritti e della libertà – sia quello di sabato notte, sia quello del 7 ottobre via Hamas, sia quello degli Huthi nel Mar Rosso, sia quello di Hezbollah dal Libano, sia quello contro le ragazze di Teheran che si sciolgono i capelli, sia quello con i droni che colpiscono le città ucraine – è parte della stessa guerra dichiarata da Mosca alla democrazia liberale, come dimostra la telefonata di sabato tra i ministri degli esteri di Iran e Russia per sottolineare la «cooperazione diplomatica» e «gli interessi comuni» dei due paesi.
L’America, l’Europa, nessuno di noi ha interesse a entrare in una terza guerra mondiale, ma nella terza guerra mondiale ci entreremo se non aiuteremo l’Ucraina a sopravvivere e Israele a difendersi, come hanno ben capito i paesi geograficamente più vicini all’Ucraina e a Israele. L’Ucraina va aiutata a resistere, Israele va aiutato a non reagire in modo proporzionato al tentativo di cancellazione, dal fiume al mare, dello Stato ebraico.
Se si vuole evitare la terza guerra mondiale, non c’è niente di più urgente che fermare l’offensiva russa (con armi iraniane) in Ucraina, fornendo all’esercito di Kyjiv tutte le armi necessarie a cacciare l’Armata imperialista di Mosca dai territori occupati e facendo pagare i costi politici ed economici al Cremlino, anche attraverso l’uso degli asset finanziari congelati in Occidente. Senza la Russia al suo fianco, anche l’Iran ne uscirebbe indebolito, oltre che ancora più isolato di quanto lo sia già in un Grande Medio Oriente che con i Patti di Abramo ha dimostrato di voler intraprendere una via pacifica allo sviluppo della regione.
La speranza è che l’attacco iraniano di sabato notte abbia svegliato il mondo libero e stimolato l’urgenza di agire presto, ora, subito. La risposta occidentale passa anche attraverso le urne europee dell’8 e 9 giugno e il voto americano del 5 novembre ma prima, per arrivarci preparati e con meno ansia, l’Ucraina va messa in sicurezza e Israele va protetto con maggiore attenzione.