La telenovela della pista da bob di Cortina d’Ampezzo, destinata alle Olimpiadi invernali del 2026, è tristemente emblematica. Non è una notizia da cronaca locale, ma una vicenda che spiega perfettamente molte dinamiche alla base del rapporto tra uomo e natura. È la storia di come la politica italiana non sia ancora in grado di ripensare il turismo montano in ottica sostenibile. È la storia di una sbronza da profitto immediato che annebbia la vista sul futuro di un impianto che, probabilmente, prima o poi cadrà in disuso. È la storia dell’incapacità di impostare un grande evento con lungimiranza, visione e rispetto per le generazioni che verranno. È la storia di uno stravolgimento travestito da riqualificazione, di alberi abbattuti e di risorse sprecate. È la storia di un ingiustificato e pretestuoso orgoglio italiano, che ha avuto la meglio sulle alternative disponibili all’estero. Ed è anche la storia della negligenza italiana (e veneta) dinanzi agli allarmi, ai dubbi e ai richiami delle autorità internazionali.
«È necessario condurre ulteriori consultazioni al fine di comprendere se i piani proposti per lo Sliding Center (l’impianto della pista da bob, ndr) possano fornire le eredità attese, piuttosto che creare sfide per le generazioni a venire. […] Trovate in allegato le informazioni tecniche a supporto dei modelli di business infruttuosi dei precedenti Olympic Sliding Centre», sono le parole scritte nell’ottobre 2020 dalla presidenza del Comitato olimpico internazionale (Cio) in una lettera, visionata da Linkiesta, indirizzata al presidente veneto Luca Zaia. «Le nostre opinioni (sulla pista da bob, ndr) differiscono notevolmente. […] Il costo opportunità per un contributo pubblico del genere non è favorevole», tuonava invece Christophe De Kepper, direttore generale del Cio, in una lettera inviata nel gennaio 2021 a Maurizio Gasparin, direttore generale programmazione della Regione Veneto. Si tratta di comunicazioni avvenute a più di un anno di distanza dall’ufficialità del verdetto che ha aggiudicato i Giochi invernali a Milano-Cortina (giugno 2019).
Il Cio, quindi, si è opposto fin dal principio al progetto della ristrutturazione e dell’ammodernamento della pista intitolata al bobbista Eugenio Monti, chiusa dal lontano 2008. Nell’ottobre 2023, il presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), Giovanni Malagò, ha persino annunciato che le gare bob, slittino e skeleton non si sarebbero svolte a Cortina, a causa degli enormi costi ambientali e di gestione del nuovo impianto veneto. In fretta e furia, però, è stato trovato l’accordo per un nuovo piano, apparentemente più “light”, elaborato dal gruppo Pizzarotti (meno gradinate, meno parcheggi e meno servizi, tra cui l’infermeria).
È una vicenda talmente intricata – a tratti paradossale – che meriterebbe un libro che in effetti è nato: si intitola “Scivolone olimpico” (People) ed è curato dall’antropologo e scrittore Pietro Lacasella. C’è poi un’altra persona che, ben prima che il caso assumesse una rilevanza nazionale e internazionale, è stata in prima linea per opporsi alla pista da bob: è la consigliera regionale veneta Cristina Guarda, candidata alle elezioni europee per Alleanza Verdi Sinistra (Avs) come capolista nella circoscrizione Nord-est. Con lei, che accusa Luca Zaia di aver nascosto inizialmente la contrarierà del Cio sull’impianto di Cortina, abbiamo “riavvolto il nastro” di una vicenda che potrebbe avere ancora qualche pagina da riempire.
I lavori della pista da bob sono iniziati a febbraio. Il ministro per lo Sport e i Giovani, Giovanni Abodi, ha detto che il cantiere è «fantastico» e procede bene («otto giorni in anticipo sul piano di lavoro»). Nel frattempo, guardando le immagini, il bosco pare ormai compromesso. E il tempo stringe. Cosa sta succedendo?
«Questa non è una ristrutturazione della vecchia pista, ma un totale rifacimento. Lo denunciamo dal 2021. E l’attuale progetto light non è light: ho fatto anche una denuncia al corpo forestale, perché hanno tagliato più alberi di quelli che il nuovo piano diceva di salvaguardare, dietro la zona dell’anfiteatro. Oggettivamente, è un progetto light solo sulla carta per arrivare a marzo 2025 con la pista pronta: è l’ultima data concessa dal Cio all’Italia. Hanno tolto delle infrastrutture, dall’infermeria agli spalti, ed eliminato alcuni lavori di qualità sulla questione stradale, così da ridurre i costi e i tempi di realizzazione del secondo stralcio dell’opera, perché il primo stralcio consisteva nella rimozione della pista esistente. Non c’era l’obbligo di fare fuori la pista, ma sembra che con queste Olimpiadi si possa fare qualsiasi cosa. Il bosco attorno al parco giochi era stato probabilmente declassificato a bosco urbano, quindi non aveva le stesse tutele di un’area forestale, ma quegli alberi non dovevano essere tagliati».
La pre-omologazione della nuova pista è fissata per il marzo 2025. È una questione ormai chiusa?
«La pista doveva essere pronta a ottobre 2024, stando alle previsioni iniziali del Cio. Poi hanno dato il beneficio del marzo 2025. Christophe Dubi, executive director dei Giochi, mi ha detto che oltre quella data non si può andare. L’unica cosa che potrebbe succedere? Rendersi conto ora della necessità di fermarsi. I lavori sono già in ritardo. È davvero l’ultima chiamata. Il danno dal punto di vista ambientale è stato in parte già fatto. Adesso, quindi, non so nemmeno cosa augurarmi. Se spendiamo i soldi e a marzo 2025 non siamo pronti, si palesa un danno erariale. Altrimenti è necessario parlare seriamente di come trovare i fondi per tenere in vita la pista dopo le Olimpiadi invernali».
Esiste un piano economico per il futuro della pista da bob di Cortina?
«No. Non esiste una chiarezza relativa a chi e come pagherà le perdite di gestione di anno in anno. All’inizio si parlava di una una lettera d’intenti – sottoscritta dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dal Veneto – in cui ci si impegnava a utilizzare i fondi dei Comuni confinanti. Se fossi un Comune confinante, però, direi: “Anche no!”. Scartata questa ipotesi, su cui mi sono battuta, Cortina ora si reputa sicura perché la Regione ha firmato un atto in cui si prenderebbe la responsabilità di stanziare i fondi. In realtà è soltanto un atto di indirizzo senza alcun valore finanziario, legale e normativo: è solo un impegno. Chi te lo dice che nel 2027, magari senza Zaia, i soldi ci saranno per davvero? È un problema che i politici si porranno quando ci sarà. Si tratta della stessa logica delle politiche ambientali: si reagisce alla siccità quando ci siamo in mezzo».
Cosa è andato storto?
«Ci sono diverse concause. Dal 2018 a fine 2020, quando ho cominciato a occuparmene, il tema non esisteva, non ne parlava nessuno. Nel 2018, nel dossier olimpico di presentazione della candidatura, il presidente della Regione Veneto sottoscriveva questa frase: “Al momento è in corso di realizzazione lo studio di fattibilità tecnico-economica della pista da bob”. La pista, in teoria, all’epoca era di competenza regionale. Ma non esisteva nessun atto, nessuna delibera che assegnasse lo studio di fattibilità tecnico-economica o che indicasse l’avvio dei primi rilievi. Solo a novembre 2021 sono stati segnati i primi lavori di rilievo dal punto di vista geologico, propedeutici allo studio di fattibilità tecnico-economica. Ma abbiamo buttato via completamente tre anni e mezzo. Questa è la cosa peggiore».
Nell’ottobre 2021, Luca Zaia ha detto: «Va considerata l’importanza delle gare da realizzarsi su tale pista nell’accettazione della candidatura di Cortina per le Olimpiadi. Senza di queste la partecipazione veneta sarebbe stata irrilevante». Quali sono le colpe del presidente e, in generale, della Regione Veneto?
«Zaia e i suoi – prima di proporre Cortina per fare bob, skeleton, slittino, curling, sci alpino femminile, eccetera – non hanno praticamente parlato con nessuno tra i cortinesi. Lui continua a parlare di “tecnici ed esperti”, ma non ci dice chi sono queste figure. Servivano delle verifiche in grado di capire realmente se si trattasse o meno di una ristrutturazione. Solo alla fine è emersa la necessità di realizzare un progetto completamente diverso: la pista vecchia non era adeguata in termini di sicurezza, servivano curve più larghe e altri interventi. Qual è il problema? Sono tutte cose su cui i tecnici non si sono espressi prima. Non hanno fatto le verifiche. L’errore fondamentale è stato quello di mancare totalmente nella comunicazione con i cittadini di Cortina che non fossero soltanto quelli che danno la pacca sulla spalla a Zaia. La maggior parte degli ampezzani è contraria, perché vede il rischio futuro. Qualcuno, però, mi dice: “Se a Cortina arrivano investimenti milionari, io dirò sempre di sì, a prescindere dai progetti”. Questa cultura dell’opulenza non fa parte degli ampezzani, ma di una categoria di persone vissute nell’epoca di maggior benessere, che non vogliono guardare in faccia gli SOS di questo periodo. È una questione di etica politica».
È un po’ l’emblema della gestione italiana delle opere e degli eventi così importanti. In questo caso, però, ne varrà la pena?
«Per Milano-Cortina, oggi la Ca’Foscari parla di guadagni pari a cinque miliardi, ma già ora ne stiamo spendendo di più. E sono soldi pubblici. Non è meglio pensare a qualcosa che dia un valore aggiunto e che lasci eredità positive? Bisogna fare le cose con lungimiranza e non farsi incantare. Cortina avrà una pista da bob che, secondo le stime, avrà costi di gestione pari a un milione di euro l’anno. Inoltre, è un progetto che non stimolerà la mobilità pubblica, perché sono stati previsti solo interventi per la mobilità privata. Ci sarà poi un villaggio olimpico da trenta-quaranta milioni di euro usa e getta, fatto di container; potevano recuperarne uno esistente, come da richieste della popolazione e della provincia. Quest’ultima, ad esempio, proponeva di recuperare l’ex villaggio Eni. Altrimenti si poteva realizzare un alloggio diffuso da restituire alla comunità, facendo prima un sondaggio tra i sindaci».
Il Comitato olimpico internazionale (Cio) si è sempre opposto al progetto. Nel concreto, qual è stato il suo ruolo in questa storia?
«Stando alle parole del presidente Zaia, sembrava che il Cio avesse benedetto Milano-Cortina 2026 per via della presenza della pista da bob. A quel punto, però, ci venne un dubbio. Chiesi di fare accesso agli atti, nello specifico alle comunicazioni intercorse tra la Regione e il Comitato olimpico internazionale riguardo le Olimpiadi. Lì mi arrivarono tre lettere della Regione, firmate da Zaia o dal suo segretario della programmazione, e due lettere del Cio. Dalla prima lettera del Cio emerse sostanzialmente questo: “Fin dal principio, noi vi abbiamo espresso le nostre preoccupazioni riguardo la pista da bob. C’è il rischio di lasciare un peso sulle spalle delle future generazioni”».
Il Cio ha inviato anche delle documentazioni basate sulle esperienze delle vecchie piste da bob olimpiche. Cosa c’era negli allegati e qual è stata la reazione della Regione?
«Erano documentazioni sottoscritte anche dalle federazioni sportive. Dimostrano, in pratica, che questi impianti non sono convenienti in termini di costi di realizzazione, costi di mantenimento e tempo di funzionamento. Secondo le federazioni, una nuova pista olimpica non ha mai avuto impatti positivi sul numero di sportivi che praticano queste discipline. In quel momento è deflagrato il caso: il Cio era contrario alla pista da bob, e Zaia lo aveva nascosto. Questa è la cosa più grave».
Il presidente Zaia, quindi, avrebbe ignorato fin dal principio la posizione del Comitato olimpico internazionale.
«Il Cio disse che le Olimpiadi dovevano essere sostenibili anche socialmente, attraverso la partecipazione dei cittadini: una cosa mai fatta. In generale, il Cio ha sempre mantenuto una versione del tipo: “Non siamo d’accordo, ma se avete trovato dei soldi pubblici non possiamo metterci in mezzo. L’importante è che la pista sia sicura e che la finiate nei tempi”. Tuttavia, il Comitato ha più volte chiesto di verificare l’utilizzo di piste da bob esistenti e funzionanti. Ed è la stessa cosa che chiedevamo noi. Il Parlamento aveva anche votato la mozione di Avs che chiedeva di fermarsi con Cortina, procedendo con delle alternative, che sia St. Moritz o Innsbruck. Inoltre, noi verdi siamo andati a bussare alla porta del sindaco di Innsbruck, che ci ha mostrato la proposta da fare all’Italia per il noleggio della pista. Questo è stato un altro punto chiave, perché si è capito che – al posto di spendere centoventi milioni – era possibile spenderne dodici, di cui 1,8 per il noleggio».
Per chiudere, cambiamo argomento. Quali temi ambientali vuole portare nelle aule del Parlamento europeo?
«La questione del suolo: fertilità, tutela e salvaguardia. Poi la questione dei trasporti, locali e interconnessi con l’Europa. Mi occuperò per forza di energia, oltre a trattare quelli che sono i miei temi centrali qui in Veneto. Il primo è quello della revisione della normativa Reach sui Pfas (sostanze perfluoro alchiliche, ndr). Ho nove anni di competenza ed esperienza propositiva che voglio portare in Europa nel momento in cui si discuterà questo regolamento. Prima di essere una politica, ho deciso di diventare agricoltrice, e credo ci sia bisogno di lavorare davvero per invertire la rotta rispetto a come le politiche ecologiche si pongono di fronte all’agricoltore».
Cosa propone?
«Bisogna far toccare il beneficio con mano, riconoscendo un’entrata economica. Così come vende il cibo che produce, l’agricoltore deve essere pagato per il servizio ecosistemico che offre (se fa agricoltura fatta in un certo modo). Mi spiego meglio. Al posto di coltivare un ettaro di mais, un agricoltore può implementare un ettaro di area forestale – in zona di ricarica di falda – per trattenere l’acqua quando piove molto. Come? Attraverso delle canaline in cui conservare la risorsa idrica: quando si abbassa la falda, l’acqua percola. Così, nel giro di un anno, puoi creare un servizio ecosistemico ricaricando la falda. Cosa si chiede all’agricoltore? Se tu rinunci a questo ettaro di mais per “fare foresta” e curarla in quel modo, io ti pago per il servizio che hai offerto al territorio».