Un catalogo aberrante, ogni giorno si aggiunge una frase, un gesto, un episodio, segno che il clima è inquietante e potrebbe diventare mefitico. Troppi casi, significa che chi li compie li ritiene normali e sente di non incorrere in rischi di alcun genere.
Riepilogo. Settimane fa manganelli contro studenti a mani nude e volto scoperto a Pisa, poi il Vannacci pensiero che si scaglia contro i disabili – meglio infilarli in classi separate – e inneggia alla Decima Mas, poi un sindaco veneto che nega il ricordo di Matteotti e mantiene la cittadinanza a Mussolini, poi il servizio sui giovani del Fronte assetati di braccia tese e vocabolario del Ventennio, poi il primario ospedaliero che invoca i forni per i gay, poi il peana ai forni crematori, poi il francobollo in onore dello squadrista Italo Foschi, picchiatore fedelissimo del ras Farinacci, poi lo sfregio al monumento in ricordo di Matteotti a Riano, dove il corpo del deputato socialista venne ritrovato il 16 agosto del 1924, poi la rissa indecente in aula (un deputato attaccato da un plotone di parlamentari della destra), poi, e lo scrivo con tutta la delicatezza del caso ma evitando ipocrisie, la riforma costituzionale che assegna al Presidente del Consiglio una dose inaudita di poteri tale da provocare il rischio di un disequilibrio nella separazione delle funzioni oltre alla violazione dell’art. 67 della Carta (divieto di mandato imperativo del parlamentare). Risultato: danni irreparabili alla democrazia parlamentare.
Ho citato soltanto i casi più eclatanti quando le cronache locali rigurgitano ben altro. Tuttavia, basta questo per alzare le antenne.
È come se un pezzo d’Italia fuoriuscisse da un fiume carsico nel quale è rimasta sepolta per decenni. In letargo, anzi in attesa di tempi migliori. E ora che i “tempi migliori” sono arrivati, esonda rinnovando un passato da dimenticare. Ho buoni motivi per affermare che la storia non è maestra di vita, come sosteneva Cicerone. La storia tende a ripetersi, gli attori siamo noi, con le stesse pulsioni, con le stesse emozioni di secoli fa, e soprattutto con gli stessi moventi – potere e passioni – di secoli fa. Dunque, Dante più di Cicerone: «Dietro a’sensi/ vedi che la ragione ha corte l’ali».
Se chi sta al vertice non condanna con decisione e continuità fatti che si affastellano quotidianamente, il silenzio verrà scambiato per complicità o, quanto meno, per un tacito via libera a proseguire sulla strada imboccata. Di fronte a tanto spettacolo, non è sufficiente indignarsi. Tra la gente e in Parlamento, non vedo altra via.