C’è piaga per teBabbo Salis e l’impresentabilità dei genitori smascherata da Maria De Filippi

Il padre della neoeletta eurodeputata continua a puntesclamativare e faccettare su Twitter, ricordandoci - come fa la trasmissione che spiega l’Italia meglio di ogni altra cosa - che mamme e papà, e anche i figli, non sono sempre speciali come si vuole far credere

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Nel programma che meglio ha raccontato l’Italia negli ultimi decenni, “C’è posta per te”, c’è un modulo ritornante che mi affascina sempre moltissimo. Casomai foste così disperati da uscire o leggere buoni libri il sabato sera, e non aveste quindi mai visto “C’è posta per te”, spiego brevemente il meccanismo di base.

Qualcuno scrive a “C’è posta per te” perché vuole recuperare un qualche rapporto, a quel punto il programma manda uno dei suoi postini dalla persona con cui il rapporto s’è incrinato, non dice da chi provenga la richiesta ma solo che la De Filippi vuole il destinatario in studio, e ovviamente le persone accettano (non so se ogni tanto qualcuno rifiuti, ma immagino di no: Maria De Filippi non ha neppure bisogno di teste di cavallo perché le sue offerte siano non rifiutabili).

A quel punto destinatario e mittente vengono convocati nello stesso studio televisivo, il destinatario vede chi è il mittente in un gigantesco schermo a forma di busta, e decide se ascoltare cos’ha da dire. Sì, l’espressione «apri la busta» viene da lì, lo preciso se siete lettori di Tolstoj o di Erin Doom parimenti propensi a dire cose ridicole quali «Non guardo i programmi della De Filippi».

Il modulo che mi appassiona è fatto da genitori di figli adulti che chiedono alla De Filippi di aiutarli a recuperare il rapporto col figlio o la figlia che non vogliono più rivolger loro la parola. Sempre, sempre, i genitori sono convinti che il loro bambino o la loro bambina li amerebbero tanto, ma purtroppo ci si è messo di mezzo quello stronzo del genero (quella stronza della nuora) che glieli ha messi contro.

Sempre, sempre, dal confronto nello studio televisivo emerge una costante: i figli odiano i genitori d’un odio talmente inscalfibile che neppure i reiterati tentativi di mediare della moglie o del marito – che non sono i cattivi immaginati dai suoceri, ma anzi gli unici che perorano la loro causa – sono riusciti a convincerli a fare ai genitori almeno gli auguri a Natale.

È un modulo che mi piace perché dice una delle cose più vere della natura umana: la vita è fatta di determinazione a raccontarsela. Uno può schifarti per anni, decenni, e tu per anni, decenni, puoi continuare a raccontarti che di suo ti vorrebbe tantissimo bene, ma purtroppo le malefiche influenze, le circostanze sfavorevoli, le cavallette gl’impediscono di esprimertelo.

Ma mi piace anche perché vìola il grande tabù italiano, che è l’impresentabilità dei genitori. A ogni festa del papà, della mamma, a ogni 25 aprile, a ogni occasione ogni Brocco81 ci canta le specialissime virtù del padre prematuramente defunto novantanovenne ma che prima di allora coi suoi insegnamenti infinite qualità addusse alla prole.

Riserviamo un’eccezione al figlio di Totò Riina, che se va in tv a difendere il padre ci costerna e c’indigna, ma per il resto siamo tutti, noialtri popolo di evasori fiscali, parcheggiatori in doppia fila, percettori di bonus, tutti figli di gente che ci ha insegnato il duro lavoro, l’etica, la fatica, il rispetto delle regole, e a scolare la pasta al dente.

Ogni volta che qualcuno, resistendo persino a quel regolatore di legge morale che è lo sguardo della De Filippi, dice che no, spiacente, lui il Natale coi genitori non intende farlo neppure ora che sono andati a frignare alla tele, ogni volta io penso che quel qualcuno sia un eroe, anche solo perché è disposto ad accollarsi la fatica di decine di amici e conoscenti che nelle settimane successive gli diranno frasi come «Eh ma sono sempre i tuoi genitori» col tono di chi sta dicendo una cosa profonda, mica un’ottusità da calendario di Frate Indovino.

In questa repubblica fondata sul vantare qualità inesistenti dei genitori convinti che esse qualità si rifletteranno su di noi (la stessa ragione per cui i genitori si convincono che ad avere qualità siano i figli, ovviamente), l’unico desiderio che andrebbe espresso in culla sarebbero genitori discreti: considerato che statisticamente saranno imbecilli, che almeno stiano schisci.

Tutta questa premessa ovviamente non c’entra col padre di Ilaria Salis, che passa le giornate sui social a promettere querele a tutti e io non sarei mai così spericolata da dubitare della sua intelligenza rischiando poi di intasare i tribunali. Però devo dire che ogni volta che mi compaiono i puntesclamativi di Roberto Salis, i disegnetti di Roberto Salis, gli «invidia» di Roberto Salis (non riesco mai a decidere se «siete invidiosi» si collochi prima o dopo «vergogna!», nella classifica della scarsezza dialettica), ogni volta io penso che le carceri ungheresi passano, ma gli «è sempre il tuo papà», quelli non passano mai, e ora ci sono pure i voli low cost e neanche Bruxelles è una scusa sufficiente per passare molto tempo lontani.

Sabato l’Ansa ha riferito che, riportata la figlia a Monza, Roberto Salis avrebbe detto «Ora io do le dimissioni da portavoce di Ilaria ed esco completamente di scena». Ieri però era ancora su Twitter, o come si chiama ora, a puntesclamativare e faccettare e usare forme d’espressione che i padri delle quarantenni nel Novecento (quel secolo remoto in cui esisteva il senso del ridicolo) avrebbero lasciato ai nipoti.

Naturalmente non è responsabilità individuale di Roberto Salis se il brodo di coltura è questo, se gli anziani sono tutti vecchie pittate di Pirandello, se i telefoni con l’internet hanno fatto di tutti noi degli esibizionisti senza i mezzi tecnici per la gestione dell’esibizione, e se l’internet non è scritta a matita e ora lo sport preferito d’ogni Vongola75 è recuperare penzierini di quando a Salis padre la sinistra faceva più orrore che a Belpietro.

Non è colpa di nessuno, è andata così, credevamo che uno dei problemi principali della nazione fossero i parenti delle vittime, e ora ci tocca renderci conto che pure quelli delle non vittime sono una piaga social[e] non da poco. Per fortuna che, in caso di bisogno, Maria De Filippi c’è.

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