L’andamento di questa campagna elettorale in Regno Unito non desta sorprese: alla vigilia c’era un grandissimo favorito per il voto del 4 luglio, il nuovo Partito laburista di sir Keir Starmer, che da allora ha consolidato sempre di più la sua leadership nei sondaggi. Al contrario, i conservatori del primo ministro uscente Rishi Sunak sono andati in crisi e ora rischiano una sconfitta senza precedenti, sotto i colpi dei sovranisti di Reform Uk e dei liberaldemocratici di sir Ed Davey.
Lo scenario sembra dunque roseo per Starmer e i suoi, che stanno già assumendo uno stile «ministeriale», comportandosi quasi da governo in carica: sui media britannici, le discussioni più accese, oltre a quelle sulle proporzioni della sconfitta dei Tories, riguardano proprio le prime mosse che potrebbe compiere Starmer una volta arrivato al numero 10 di Downing Street. Tra i vari dossier c’è quello della Brexit e più in generale dei rapporti con l’Unione europea: un tema su cui il nuovo Labour non si è espresso molto (volutamente), ma che potrebbe rivelarsi dirimente per il futuro governo.
Per arrivare dov’è adesso, a un passo dal mandato di premier, Starmer ha dovuto adottare un atteggiamento rassicurante anche sulla Brexit, parte della sua «rivoluzione gentile» con cui ha ricostruito il partito dalle macerie lasciate dall’ex segretario Jeremy Corbyn, che a sua volta aveva creato caos, cambiando linea e indebolendo la postura del partito.
Nel 2016, insieme a Starmer, quasi tutti gli attuali vertici Labour si erano opposti alla Brexit: David Lammy, probabilmente il prossimo ministro degli Esteri laburista, aveva definito la Brexit una «tragedia nazionale». Rachel Reeves, la prossima ministra dell’Economia, ripete spesso quanto lasciare l’unione abbia danneggiato l’economia britannica. Nonostante questo passato, Starmer ha ammorbidito la posizione del partito per riconquistare seggi e voti tra chi aveva scelto il Leave, marginalizzando il dibattito sul tema e ricompattando tutti.
«Perché nessuno parla della Brexit?», si è chiesto il Guardian, sottolineando come questo dossier così centrale nell’ultimo decennio sia apparso a malapena nella campagna di quest’estate. Anche Rishi Sunak è riluttante a parlare di Brexit, perché sempre meno cittadini ritengono che lasciare l’Europa sia stata una buona idea. Un lungo articolo del giornalista britannico Tim Shipman sul Sunday Times ha messo in evidenza quanto poco la Brexit sia stata menzionata, definendola «l’elefante nella stanza» di questa campagna.
Anche in questo caso, poi, Starmer ha optato per la cautela, procedendo per gradi. Nel 2022 ha promesso di mantenere la Gran Bretagna fuori dal mercato unico europeo in caso di vittoria, cercando di riconquistare terreno tra i sostenitori dell’uscita dall’Ue. «Durante il referendum ho sostenuto il Remain», aveva detto in un discorso a Leeds, nel nord del paese. «Ma non posso essere in disaccordo con l’argomento basilare che molti elettori del Leave mi hanno presentato: volevano più controllo sulle loro vite, più controllo sul loro paese».
Adesso, sir Keir è pronto a passare alla prossima fase del suo progetto: «una partnership geopolitica» con l’Europa, che punta a ristabilire, passo dopo passo, i rapporti con Bruxelles dopo otto anni tumultuosi e spesso acrimoniosi. In caso di vittoria, il leader laburista non dovrà aspettare a lungo per il suo primo approccio in Europa, perché il 18 luglio il Regno Unito ospiterà il summit della Comunità politica europea, dove saranno presenti circa cinquanta leader da tutto il continente, compresi il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e anche la premier Giorgia Meloni. In questi mesi, i vertici del Labour hanno provato a costruire una rete di rapporti per il futuro, puntando ad esempio a una maggiore collaborazione con i socialdemocratici tedeschi, da affiancare a relazioni più profonde con l’Eliseo e con il nuovo leader polacco Donald Tusk.
Bloomberg nelle ultime ore ha riportato, citando fonti vicine a Starmer, che il Labour vorrebbe sfruttare il vertice per iniziare a stabilire un «nuovo partenariato geopolitico» con l’Ue, riducendo gli attriti commerciali post-Brexit, rafforzando la cooperazione e facilitando le condizioni lavorative per i cittadini britannici in Europa, purché non ci sia alcun accenno a invertire il voto del 2016.
La prima fase del piano prevede un nuovo patto di sicurezza: l’Ue ne aveva offerto uno nell’ambito dell’accordo sulla Brexit ma non se ne era fatto nulla; ora in Europa c’è desiderio di una maggiore cooperazione in materia di difesa, soprattutto dopo il conflitto in Ucraina, per cui potrebbe essere un ottimo punto di partenza per riallacciare i rapporti. Da qui si potrebbe ampliare il discorso fino a coprire aree come le migrazioni, la gestione delle emissioni per affrontare il cambiamento climatico o accordi congiunti sulle materie prime. La sicurezza militare potrebbe diventare sicurezza economica e climatica.
Altri temi di interesse sono un accordo sui prodotti alimentari freschi, un visto per gli artisti in tour e il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali in modo che medici, architetti e avvocati possano esercitare sia nel Regno Unito che nell’Ue: nessuno stravolgimento, ma piccoli progressi per rilanciare la cooperazione. I funzionari europei si aspettano che il Labour si concentri inizialmente sulla sicurezza, la difesa e i controlli agroalimentari, lasciando questioni più complesse come gli accordi doganali per un potenziale secondo mandato.
Di sicuro, come ha scritto il Financial Times ad aprile, Sir Keir perseguirà una strategia «ambiziosa» su due binari per costruire legami commerciali e di sicurezza più stretti tra il Regno Unito e l’Ue se il Labour vincerà le prossime elezioni, ma senza oltrepassare i suoi tre «punti fermi» sulla Brexit: niente ritorno nel mercato unico, nell’unione doganale o nella libera circolazione.
C’è anche chi ha ipotizzato per il Regno Unito un accordo simile a quello della Norvegia, membro del mercato unico attraverso l’Associazione europea di libero scambio (Efta), che importa beni senza dazi dall’Ue, con l’eccezione dei prodotti agricoli e ittici. L’accordo, che rende Oslo parte dello Spazio economico europeo, consente al paese di mantenere la sovranità formale delegando al contempo la sovranità effettiva in questo settore a Bruxelles. Sembra difficile che questo possa accadere anche per Londra, ma a Bruxelles in ogni caso c’è entusiasmo intorno al nuovo Labour, anche per le possibili proporzioni della sua vittoria, che sembrano incoraggianti per costruire un dialogo di lungo periodo.