Dopo mesi di attesa e incertezza, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha annunciato le elezioni anticipate per il prossimo 4 luglio. L’annuncio di Sunak, sotto la pioggia, con le note dell’inno laburista del 1997 «Things can only get better» («Le cose possono solo migliorare») riprodotte da un ironico contestatore in sottofondo, ha regalato al pubblico inglese un’immagine ironica e sorprendente fino a pochi anni fa. Per la prima volta dopo decenni i Tories si preparano a una disfatta elettorale, mentre il Partito laburista sembra comodamente lanciato verso il successo con un vantaggio enorme nei sondaggi. Uno scenario fantapolitico fino a pochi mesi fa.
E pensare che nel 2021, l’attuale leader dei laburisti sir Keir Starmer stava considerando di dimettersi dalla guida del partito, dopo aver subito un’umiliante sconfitta nelle elezioni locali contro i conservatori. In quel momento, aveva appena perso Hartlepool, una città portuale nel nord-est dell’Inghilterra che per decenni aveva rappresentato una roccaforte Labour. Tre anni dopo, Starmer ha invece sanato molte delle divisioni nel suo partito e lo ha messo sulla strada per tornare al potere dopo un’assenza lunghissima.
Lo ha fatto sfruttando la crisi dei Tories, che da molto tempo ormai navigano nel caos più totale, ma anche ristabilendo la disciplina tra i suoi, avvicinando i laburisti al centrismo e mostrando una leadership stabile ed equilibrata. I critici lo hanno accusato di mancare di carisma, ma probabilmente è proprio lo stile sobrio di Starmer a essere un punto di forza, poiché gli scandali, le inversioni a U e le cospirazioni interne hanno portato i Tories allo sfacelo.
«Siamo nati per essere un partito di governo», aveva detto Starmer nella sua prima grande intervista a un media straniero, rilasciata nel 2023 a Time. «Il Partito laburista è nato solo per formare governi laburisti e portare il cambiamento. Non dobbiamo mai, mai perdere di vista questo obiettivo», aveva rimarcato, ricordando le ragioni che portarono la nascita del Labour nel 1900 da parte del politico scozzese e sindacalista Keir Hardie.
Una visione opposta a quella del suo predecessore, Jeremy Corbyn, che aveva portato il Labour a diventare un movimento di protesta radicale di massa. La rivoluzione riformista di Starmer è partito dalla rinuncia a molte politiche del passato e a Corbyn stesso, che è stato sospeso nel 2020, dopo che l’ex leader sembrava scaricare la responsabilità per la gestione delle accuse di antisemitismo all’interno del partito. Un anno fa, oltretutto, Starmer ha confermato che Corbyn non avrebbe potuto candidarsi alle prossime elezioni.
Il nuovo Labour ha rinunciato anche a pilastri programmatici come la nazionalizzazione dei servizi pubblici, concentrandosi sulla crescita economica: Starmer ha posizionato i laburisti in modo nuovo, invitando al dialogo con i leader aziendali; in politica estera, si è mostrato apertamente atlantista. Ha riportato entusiasmo affidandosi anche all’impegno di donne come Rachel Reeves e Angela Rayner. Reeves arriva dalla Bank of England, ha impressionato e conquistato le imprese e sarà probabilmente la futura ministra del Tesoro, la prima cancelliera dello Scacchiere della storia. Rayner potrebbe essere la vicepremier, centrale per realizzare cambiamenti socio-economici, sui temi del lavoro ma anche per quanto riguarda l’edilizia abitativa.
Il loro apporto ha contribuito a disegnare il nuovo laburismo, così come quello di Labour Together, il think tank affiliato al partito. Sotto la guida di Starmer, Labour Together ha plasmato silenziosamente la direzione delle nuove politiche. Politico qualche tempo fa ha raccontato che, dopo l’ascesa di Corbyn, i fondatori del centro di ricerca hanno deciso di trasformarlo in un mezzo per salvare il partito. Lo scopo non ufficiale era tenere unito il Labour dissuadendo i deputati moderati dall’avviare una scissione e, alla fine, riconquistare il controllo della formazione.
Cosa avvenuta con il successo di Starmer, che ora sembra pronto a fare il passo decisivo. Nei giorni scorsi, ha presentato i sei punti di partenza della sua proposta politica, per uscire dal marasma conservatore: garantire la stabilità economica, puntare sull’energia green, ridurre le liste d’attesa nella sanità, lanciare un comando di sicurezza delle frontiere, rafforzare la lotta alla criminalità e assumere migliaia di insegnanti.
La presentazione è stata fatta con uno storico strumento Labour: le «pledge cards», delle carte programmatiche che raccolgono le principali promesse elettorali del partito. I laburisti non dominano spesso le elezioni, ma di solito quando stravincono compaiono queste card: in una di queste occasioni era il 1997 e Tony Blair fece cinque promesse; tre di queste (investire più soldi nelle scuole, nel sistema di giustizia penale e nel Servizio sanitario nazionale) sono abbastanza simili a quelle avanzate oggi. Altre due promesse di Starmer sono progettate per tranquillizzare gli elettori riguardo a specifiche preoccupazioni sul Partito laburista (stabilità economica e sicurezza ai confini), un intento comune al blairismo.
Dopo le elezioni del 1970, il politico conservatore Reginald Maudling disse che il Regno Unito è «un Paese conservatore che a volte vota Laburista». La storia mostra che il Labour riesce a interrompere il dominio conservatore quando non spaventa le persone con misure radicali. In questo senso, Starmer ha invertito la rotta a colpi di riformismo, facendo suo il meglio dell’esperienza di Tony Blair, a partire dalla posa nelle foto, in camicia bianca con le maniche rimboccate, che a noi italiani ricorda un po’ anche il Matteo Renzi presidente del Consiglio. «Beh, la prima cosa che direi su Tony Blair, oltre al fatto che si toglieva la cravatta agli eventi importanti, è che ha vinto tre elezioni consecutive» ha scherzato sir Keir su questo paragone.
A differenza di Blair, però, Starmer è arrivato tardi alla politica, entrando in parlamento solo nel 2015, quando aveva cinquantadue anni. Ha dedicato la maggior parte della sua carriera a difendere i diritti umani in qualità di avvocato: tra le altre cose, ha contribuito all’abolizione della pena di morte nei Caraibi e in alcune parti dell’Africa e ha assistito Greenpeace contro McDonald’s nel caso McLibel, il processo più lungo nella storia legale inglese.
Molto è stato detto riguardo alla sua transizione verso il centrismo: è stato criticato per aver abbandonato diversi impegni presi durante la campagna per la leadership, tra cui l’aumento dell’imposta sul reddito, la nazionalizzazione della maggior parte dei servizi pubblici e l’abolizione delle tasse universitarie. «A volte devi essere spietato per essere un buon leader», ha detto al riguardo Starmer un po’ di tempo fa. «Ho cambiato il Partito laburista. Se mi verrà concessa l’opportunità, cambierò anche il Paese».