Ammorbidirsi Il pragmatismo dei Verdi europei per fermare le destre e tornare protagonisti

Con ventuno seggi in meno al Parlamento europeo, il gruppo ecologista è consapevole che è passata la fase storica dei grandi movimenti ambientalisti: oggi servono realismo e tattica, che – tradotto – significa più attenzione al green tech e alla competitività industriale

Terry Reintke e Bas Eickhout (AP Photo/LaPresse, ph. Laurent Cipriani)

Tra le sottotrame del voto di giovedì in cui il Parlamento europeo potrebbe confermare Ursula von der Leyen per un secondo mandato, c’è sicuramente il nuovo ruolo dei Verdi nella prossima legislatura. Fortemente ridimensionati nel proprio peso parlamentare dopo le ultime elezioni, gli ecologisti stanno provando a inserirsi nei giochi per formare una maggioranza. 

Nell’ultimo anno della scorsa legislatura, Ursula von der Leyen ha guardato molto a destra, ma il voto ha certificato che è necessario guardare prima ai socialisti e poi ai liberali per formare una maggioranza, tanto più che Giorgia Meloni, in Consiglio europeo, non ha votato per l’accordo raggiunto sulle nomine europee, e in Parlamento il gruppo Ecr, guidato da Fratelli d’Italia, non sosterrà von der Leyen. 

In questo scenario, i Verdi sono intenzionati a ricavarsi un ruolo aggiungendosi ai gruppi che voteranno per il secondo mandato, rendendo più solida la maggioranza ma potendo intervenire su un serie di dossier dei prossimi anni, nella prospettiva di non smantellare il Green deal (che ha subito dei colpi significativi nell’ultimo anno di legislatura, quando i popolari volevano costruire ponti verso la destra).  

Chiunque pensasse che nelle loro posizioni non ci sia differenza tra oggi e il 2019, però, farebbe un errore di analisi grossolano. I Verdi sono da tempo consapevoli che è passata la fase storica dei grandi movimenti ambientalisti che li portarono al miglior risultato mai avuto, e che oggi serve più realismo e tattica. Già da prima delle elezioni, i temi ambientali e climatici sono stati spesso legati a quelli industriali nelle dichiarazioni dei leader. 

Qualche giorno fa, il gruppo ha pubblicato un documento programmatico in cui si chiede un piano industriale da realizzarsi nei primi cento giorni per decarbonizzare i settori chiave dell’Unione europea, come le industrie ad alta intensità energetica e hard-to-abate (quelle più difficili da decarbonizzare, come le acciaierie, i cementifici o le vetrerie), incrementando la produzione di tecnologie rinnovabili (pompe di calore, batterie, fotovoltaico, eolico) e riallocando i sussidi per i combustibili fossili. 

Oggi più di ieri, la transizione ecologica europea non si realizzerà senza un piano industriale: i Verdi ne sembrano sempre più consapevoli, e sembrano disposti a cedere su alcuni punti per potere influenzare la maggioranza su altri, e arginare l’estrema destra. «Siamo disposti a un passo indietro su alcuni temi per il bene della democrazia, perché non vogliamo che i partiti democratici lavorino con l’estrema destra», ha dichiarato ad esempio Jutta Paulus, una eurodeputata tedesca, a Politico Europe. 

Più che su nuove normative, i Verdi insisteranno dunque sulla competitività industriale e sul green tech, un ambito in cui le convergenze con i settori produttivi potrebbero essere sostanziali, perché coniuga sostenibilità e innovazione industriale. 

Bas Eickhout e Terry Reintke, co-leader dei Verdi al Parlamento europeo, hanno affermato di aver avuto un incontro «costruttivo» con Ursula von der Leyen a margine della presentazione del documento, con Eickhout che ha poi affermato come stiano «verificando un impegno chiaro a non retrocedere, ma nella consapevolezza che servono nuove discussioni sull’implementazione delle norme», mentre per Reintke la presidenza ungherese dell’Ue e il rischio di una rielezione di Donald Trump negli Stati Uniti rendono necessario costruire a livello europeo una maggioranza stabile e progressista. 

Se è vero che dialogare troppo con i Verdi è pericoloso per Ursula von der Leyen, perché potrebbe indispettire alcune frange dei popolari, è altrettanto vero che per formare una maggioranza al Parlamento europeo servono trecentosessantuno seggi. L’alleanza tra popolari, socialisti e liberali ne conta quattrocentouno: non abbastanza per mettersi al riparo da eventuali franchi tiratori. In questo scenario, i cinquantatré seggi dei Verdi potrebbero essere una stampella utilissima. 

Propositivi, più pragmatici, interessati a entrare in maggioranza per fermare la destra e difendere il nucleo del Green deal: i Verdi usciti dal voto, seppur ridimensionati nei seggi, stanno provando a essere tra i protagonisti della prossima legislatura così come nella scorsa; ma «non a qualsiasi costo», ammonisce l’eurodeputata francese Marie Toussaint. 

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