Lo abbiamo raccontato con perizia di particolari giorni fa: il caffè freddo, se fatto male, è un’offesa al buongusto e al palato, proprio e altrui. Eppure da decenni scegliamo consapevolmente di ignorare il sapore tra l’acido e l’amaro dei thermos di caffè che portiamo in spiaggia, permettendoci di offrire anche tristi bicchierini congelati a compagni di ombrellone, o consigli non richiesti su quando sia meglio zuccherare il risultato di quelle tre caffettiere shakerate tra asciugamani e secchielli: prima o dopo il passaggio in frigorifero? O addirittura poco prima di degustare il caffè?
Lo abbiamo fatto tutti, riconosciamolo, e spesso con orgoglio.
Oggi però i gusti stanno cambiando, o quantomeno c’è qualcuno che prova a sradicare le cattive abitudini dei caffeinomani in vacanza e non, proponendo qualcosa di completamente diverso, e l’estate è il miglior momento per farsi tentare. Perché se tra gli italiani la tazzina al banco continua a essere il metodo più diffuso di consumare caffè, nel bene e nel male e in qualsiasi stagione, è proprio fra giugno e settembre che circolano più alternative all’espresso classico. Trionfano infatti versioni fredde, cremose, aromatiche, estrazioni e varietà, grazie alle quali il caffè smette di essere un intercalare quotidiano, e diventa un prodotto a cui dedicare tempo, attenzione, curiosità.
Proprio ciò di cui hanno bisogno gli specialty coffee, una categoria di caffè che dagli anni Novanta include quelle produzioni di qualità superiore, frutto di un cambio di passo, di uno studio più lento e accorto della materia prima, della filiera – quella del caffè è tra quelle più difficili da controllare visto il gran numero di piantagioni, la grandissima richiesta e basso costo di una tazzina per il consumatore – ma anche dei luoghi in cui il prodotto viene distribuito e saggiato.
Tre elementi – qualità, attenzione alla materia prima e alla filiera, e interesse per la distribuzione – che sono alla base del cambiamento che negli ultimi tempi, i professionisti del caffè stanno cercando di realizzare, ispirandosi a ciò che è accaduto con il vino negli anni Duemila, quando si è trasformato da companatico a ospite eccellente di una buona cena, da abbinare e a piatti elaborati e aperitivi.
Puro marketing? Non proprio. Si tratta di un cambiamento che si inserisce nella generale ricerca di una maggiore etica alimentare, a livello locale e globale, necessario sia per tutelare i produttori, le loro condizioni di lavoro, sia il consumatore stesso, che dovrebbe essere quantomeno consapevole di poter pretendere qualcosa di più rispetto al gusto banale, o peggio bruciato, di una qualsiasi tazzina di caffè.
Principi, quelli degli specialty coffee, adottati nella loro totalità da 1895 Coffee Designers by Lavazza, progetto nato nel 2020 nella Factory 1895 di Torino del Gruppo Lavazza, per scoprire e valorizzare le piccole piantagioni sostenibili site nelle aree del mondo più vocate alla produzione del caffè, grazie a esperti coffee designers.
Attualmente la collezione comprende tre specialty blend, tre monorigini e un microlotto, e proprio questa estate è stata inaugurata l’ultima sperimentazione: Paraiso, esclusiva monorigine prodotta a Finca El Paraíso, nella regione del Cauca, in Colombia. Qui i chicchi vengono sottoposti a una doppia fermentazione anaerobica durante la fase di lavaggio, che conferisce al prodotto finale un aroma dolce e fruttato, di vaniglia e mango, esaltato in particolare in versioni come il cold brew, e per questo pensato per essere sorseggiato durante i mesi più caldi, ma anche in Chemex.
Parliamoci chiaro però, Chemex e cold brew sono termini molto lontani dal thermos casalingo da cui è partita questa riflessione, che potrebbero allontanare il fruitore più frettoloso, ma rappresentano anche la direzione che imprese e professionisti stanno cercando di imprimere al mercato per cambiare il modo in cui consideriamo il caffè e anche il luogo dove lo consumiamo. Perché se è comprensibile che non tutti desiderino cimentarsi in lunghe estrazioni domestiche per godere di un buon calice, perché no, di caffè freddo, allora per non svalutare lo sforzo di produzione degli specialty coffee dovremmo trovare luoghi adatti al loro consumo e professionisti capaci di lavorare il prodotto per esaltarne tutte le sue potenzialità.
Un esempio è Horto Restaurant, a Milano, dove la monorigine Paraiso ha già trovato spazio nella proposta per la prima colazione a cura del giovane pastry chef Matteo Teolato. Qui Paraiso è abbinato a proposte dolci come pain au chocolato veneziane alla crema, ma anche a piatti di frutta fresca, che valorizzano le note aromatiche della monorigine.