Scrive Giuliano Ferrara sul Foglio di ieri: «Se il presidente Herzog definisce un pogrom la caccia violenta a famiglie palestinesi…».
Se una parola d’uso sbagliato finisce nello scritto bello e sincero di un grande amico di Israele e del popolo ebraico (Giuliano Ferrara, appunto), significa che in modo doppiamente efficace l’insinuazione propagandistica ha fatto il suo lavoro. Quella parola è “pogrom”, e se ne fa uso sbagliato quando la si mette in bocca al presidente di Israele, Yitzhak Herzog, che non ne ha fatto uso per commentare e condannare le criminali aggressioni anti-palestinesi perpetrate, nei giorni scorsi, da alcuni coloni israeliani. E la precipitazione di quella parola in un discorso che non dovrebbe esserne contaminato denuncia il lavorìo duplicemente fruttuoso di quella propaganda perché chi la usa non solo non si accorge che Herzog non l’ha usata, ma non si accorge di ciò che significa accreditare il falso secondo cui, invece, l’avrebbe usata.
Significa – ovviamente oltre e anzi contro le intenzioni di uno come Giuliano Ferrara, ma ben ben dentro le intenzioni di molti – rifinire l’immagine contraffattoria di un Paese, Israele, impegnato a fare genocidio e pulizia etnica a Gaza e a preparare in Giudea e Samaria una soluzione finale di cui il “pogrom” dell’altro giorno sarebbe l’inequivocabile conato. Ma come parlare di genocidio e pulizia etnica non ha nulla a che fare con qualsiasi esigenza di protezione della popolazione palestinese, e serve semmai a mascariare Israele con l’imputazione della colpa incancellabile che non delegittima il modo con cui si difende a Gaza, ma il suo diritto di difendersi in qualsiasi modo, così, identicamente, parlare del “pogrom” denunciato dal presidente che non ha definito in quel modo quell’aggressione terroristica non serve a definire le colpe di quei criminali, ma a tinteggiare di ignominia supplementare la responsabilità di chi le lascerebbe impunite.
Il tutto – come non considerarlo? – in favore di un’opinione pubblica assai ben abituata, se non autonomamente ben disposta, a disconoscere l’essenziale: e cioè che il pogrom, quello vero, sta nelle pratiche, nelle franche rivendicazioni e nelle ambizioni di ripetizione again and again dei nemici di Israele, mentre l’oscena aggressione omicidiaria portata da quei coloni è condannata duramente dal ministro della Difesa e dal presidente dello Stato che non hanno bisogno di chiamarla in quel modo, e che non la chiamano in quel modo, per condannarla.
Non considerare a che cosa si presti l’adozione indebita di certe formule, e cioè al sigillo della retorica equiparativa secondo cui i torti, come i “pogrom”, stanno da entrambe le parti, a me sembra il regalo più prezioso fatto alle forze del male in vista dell’anniversario del Sabato Nero.