Il sigillo OnuQuando il potere legittima la persecuzione non importa se partono schiaffi o spari

Un anno fa António Guterres, il segretario delle Nazioni Unite ha pronunciato una frase inumana, con effetti che somigliano agli atteggiamenti che portarono alla cacciata degli ebrei dal Portogallo e alla rieducazione forzata dei loro figli

Jerónimo Osório, illustre storico cinquecentesco, vescovo di Faro, racconta che Manuele I di Portogallo passò dall’essere tra i più riluttanti, o almeno tra i poco entusiasti, nella persecuzione degli ebrei, al rivelarsi il più feroce loro persecutore quando si trattò di dare attuazione al piano di cacciata.

Non gli piaceva, quando non aveva potere, l’idea di buttarli a mare, né gradiva la legislazione che lo prevedeva salvo che scegliessero di convertirsi e diventare schiavi; pure, salito al trono, non solo mantenne quel regime persecutorio, ma lo rese più efficace con misure esecutive di rinforzo. Tra queste, quella consistente nello strappare alle famiglie degli ebrei tutti i figli minori di quattordici anni affinché fossero deportati in luoghi di rieducazione alla religione cattolica.

Montaigne (I, XIV) scrive che «il naturale affetto fra padri e figli e in più l’attaccamento alla loro antica fede si opposero a questa dura sentenza». Non si conosce con esattezza – ma pare sia stato notevole – il numero dei genitori che si tolsero la vita per rinuncia a viverla sotto il giogo quei provvedimenti.

Che cosa ci insegna (che cosa dovrebbe insegnarci) quella cronaca? Che quando un principio inumano e discriminatorio è sigillato, le pratiche che vi rendono omaggio e si prestano a farne attuazione moltiplicano e aggravano le occasioni di ingiustizia. Si potrebbe obiettare che l’osservazione è banale: se io legittimo la violenza fisica contro l’inerme, sbriglio la capacità offensiva di quello che gli molla un ceffone ma anche di quello che gli spara. Ma ciò che rende più grave il colpo di pistola rispetto allo schiaffo è solo incidentalmente l’idoneità letale dell’atto: in realtà è quella legittimazione a monte che lo rende più grave nel momento in cui lo include in un mazzo di fungibili attuazioni del principio discriminatorio.

L’ho presa alla lontana perché è vicina, e peggio per chi non lo capisce.

Come arriviamo dai fatti di quel sedicesimo secolo ad oggi, e in particolare a un giorno – il 24 ottobre del 2023 – in cui il segretario generale delle Nazioni Unite dice che i massacri del Sabato Nero non vengono dal nulla? Ci arriviamo per il tramite dello stesso procedimento. Il principio è che gli ebrei non possono ulteriormente usurpare quella terra e, se pure non piace necessariamente a chi se ne fa garante, sgozzare i bambini ebrei nelle culle e piantare pali di ferro nei genitali delle donne ebree è ciò che viene ineluttabilmente dalla violazione di quel principio.

In questo quadro (ed è un quadro che ha disegnato quello sconsiderato, con tutti quelli che non ne hanno denunciato gli spropositi) il pogrom del 7 ottobre non è neppure la continuazione con altri mezzi delle retoriche di principio dell’Onu: ne è una forma di attuazione, legittimata proprio nel momento in cui si fa le viste di ripudiarla.

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