Figlio del diavoloLa straordinaria storia di Mosab Hassan Yousef, l’ex Hamas che ha aiutato Israele

Il primogenito di uno dei fondatori del gruppo terrorista islamico che per anni ha collaborato con lo Shin Bet parla con Linkiesta: «Questa organizzazione non è un problema solo degli ebrei, degli israeliani: è un pericolo per tutto il mondo libero»

AP/Lapresse

Mosab Hassan Yousef è un nome che non dice molto al grande pubblico, ma la sua storia è straordinaria. Nato a Ramallah nel 1978, è il figlio di Hassan Yusuf, uno sceicco tra i fondatori di Hamas. Da ragazzino è uno dei tanti che viene arrestato durante la Prima Intifada e farà, come i suoi coetanei, molte volte avanti e indietro dal carcere. 

Hamas punta molto su di lui, è il primogenito, dotato di intelligenza politica e capacità operative, viene portato al cospetto di Ahmed Yassin e degli altri capi dell’organizzazione che investono molto sulla sua giovane leadership. 

Il percorso interiore di Mosab Hassan Yousef tuttavia inizia a entrare in rotta di collisione con le idee del padre e dell’organizzazione a diciott’anni, quando viene arrestato per essere stato intercettato al telefono prima di un passaggio di armi. In carcere cambia prospettiva: la brutalizzazione del conflitto, l’utilizzo di bambini come scudi umani e la crescente radicalizzazione islamista della società palestinese lo portano a una crisi di coscienza che si manifesta durante un periodo di detenzione in carcere, prima in regime di massima sicurezza e successivamente di sorveglianza potenziata. 

Da quel momento inizia la sua collaborazione con i servizi segreti dello Stato d’Israele e contribuirà, tra le altre cose, all’arresto di Marwān Barghūthī, leader di Fatah in Cisgiordania. 

Fu organizzato un finto tentativo di arresto nei suoi confronti per fortificare la sua copertura. Questo gli permise di entrare nella plancia di comando di Hamas e di aiutare a sventare numerosi attacchi kamikaze e azioni suicide contro civili israeliani. 

Il suo percorso di collaboratore dei servizi israeliani continua fino al 2007 quando decide di interrompere la collaborazione con lo Shin Bet per avere una vita “normale”. Lascia la West Bank ed emigra negli Stati Uniti, viene ripudiato dalla sua famiglia che scopre la sua storia e la conversione al cristianesimo avvenuta su una spiaggia di Tel Aviv nel 2005. 

Abbiamo incontrato Mosab Hassan Yousef a Strasburgo. 

Dopo un anno di conflitto esteso tra Israele e Hamas, in che situazione si trova l’organizzazione terrorista?
La crisi di Hamas è profonda, sono state distrutte la maggior parte delle infrastrutture militari dell’organizzazione, il suo arsenale è stato quasi completamente neutralizzato e il loro sistema di tunnel non riesce più a raggiungere in modo capillare tutte le zone. La leadership dell’organizzazione vive un momento di crisi, dopo l’assassinio di Ismail Haniyeh ci sono idee diverse su come guidare l’organizzazione, molte fazioni litigano per la strategia da tenere. Spero che le operazioni di distruzione di Hamas e della sua leadership continuino con la stessa intensità. 

L’Europa è un territorio fecondo per Hamas e la sua propaganda. Quali sono sue basi in Europa e come raccoglie soldi?
La presenza di Hamas in Europa è radicata e nuova, ovunque ci siano i Fratelli Musulmani c’è Hamas, sono speculari, e il “partito di Dio” è davvero nascosto molto bene tra fondazioni, associazioni e molto altro. Anche i principali leader di Hamas ma anche dell’Olp (basti pensare a Yasser Arafat) avevano la loro base economica in Francia. La pratica è vecchia e il nome dell’organizzazione è nascosto o da una moschea, o da un’associazione che si occupa di beneficenza o una genericamente usando il nome “Palestina” giocando sul sostegno alle vittime, agli orfani, agli oppressi. Un meccanismo che crea riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo. La proliferazione di questa rete non è stata fermata nei decenni precedenti e ora Hamas è presente in tutti i paesi europei, dal Regno Unito fino alla Germania passando per Francia e Italia. Ma vorrei soffermarmi anche sul ruolo che l’Autorità Palestinese ha in questa vicenda di assoluta complicità. Il lavoro dei servizi segreti europei è stato potenziato dopo il 7 ottobre, molte delle organizzazioni sono state chiuse, i soldi sequestrati e alcuni terroristi in Germania e Austria arrestati, ma c’è ancora da fare molto. 

Nel nostro dibattito pubblico è passata l’idea che Hamas sia un partito che fa resistenza e non un’organizzazione terroristica. Questo arriva dalle piazze, questo leggiamo sui social, sui giornali. Che rischio corre l’Europa?
Considerare Hamas come un movimento di resistenza è di per sé un crimine. Occorre far comprendere che questa organizzazione non è un problema solo degli ebrei, degli israeliani è un pericolo per tutto il mondo libero. Il loro è un linguaggio barbaro anche nel regolare i conti internamente, gli oppositori dei vertici dell’organizzazione vengono uccisi, la popolazione civile è completamente schiava di questa violenza. I bambini sono sistematicamente usati come scudi umani, i crimini di guerra sono continui, la violenza è l’unica strategia di Hamas e non è mai esistita un’ala militare e un’ala politica. Chi oggi considera in un’Europa Hamas un movimento di resistenza deve innanzitutto delle scuse ai palestinesi che sono le prime vittime della logica terroristica dell’organizzazione, dovrebbero chiedere scusa a tutti coloro che sono usati come bersagli. Se non iniziamo a chiamare le cose col loro nome la pace non ci sarà mai. 

Dopo Ismail Haniyeh l’organizzazione viene retta da Yahya Sinwar, che attualmente è nei sotterranei e vive braccato. Cosa significa la sua leadership per Hamas e cosa cambia rispetto al passato?
I leader di Hamas si sono alternati nel tempo ma la sostanza è rimasta la stessa. Quando verrà ucciso anche lui troveranno un altro nome. La verità è che fino a quando soldi, armi, finanziamenti internazionali continueranno a confluire nelle casse dell’organizzazione ci saranno altri capi che manderanno a morire il popolo palestinese. Occorre tagliare tutte le loro risorse finanziarie, le loro proprietà immobiliari, le loro connessioni, non dargli legittimità, non dargli approvazione e prosciugare ogni conto corrente. 

David Grossman parlando del conflitto israelo-palestinese qualche anno fa disse «è una guerra che non si può vincere». Che speranze di pace ci sono dopo un anno di conflitto?
Nel corso della storia dell’umanità il conflitto è sempre esistito, è insito nella natura dell’uomo e attraversa le questioni pubbliche come le vicende private. Quello che stiamo vivendo è uno scontro tra la barbarie e la civiltà. E Hamas che prende di mira i civili indiscriminatamente, che stupra le donne, che sostiene di essere un movimento di resistenza o un movimento religioso nasconde la sua vera essenza criminale. Dobbiamo unirci, tutti coloro che credono nei valori dell’umanità, nei valori della civiltà e portare fuori da questo pantano le generazioni che verranno. Oggi, un anno dopo, non abbiamo altra scelta se non quella di usare la forza, perché il nemico è radicato nella società e non possiamo permettergli di sopravvivere perché il suo scopo è quello di distruggere tutto quello che non risponde al nome di Hamas, di indottrinare i bambini per mandarli a morire. In questa fase del conflitto non abbiamo scelte e per il futuro dovremmo costruire un percorso di coesistenza pacifica che richiede molto lavoro ma con la consapevolezza che l’Europa è parte di questo conflitto, la cattiva politica degli Stati Uniti è parte di questo conflitto, le superpotenze sono parte di questo conflitto. Abbiamo la responsabilità di mettere le cose in chiaro e di trovare la politica giusta che ci faccia uscire da questa trappola.

 

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