«La cucina siciliana stereotipata è una cucina contadina, una cucina povera dove dominano i sapori agrodolci, le carni di agnello, dove ci sono il mare e la terra, i sapori forti. Ma questa non è l’unica cucina siciliana, è solamente la più conosciuta. C’è una cucina siciliana aristocratica e conventuale molto più elegante, più accurata. A questa ci rifacciamo, prendendo ingredienti siciliani e riproponendoli in veste diversa». Vincenzo Butticè, chef e manager del ristorante Il Moro di Monza, racconta la sua filosofia di cucina con entusiasmo e passione.
Nato ad Agrigento, profondo conoscitore e amante della sua terra, ha lasciato la Sicilia nel 1994, e ha girato tutta l’Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sardegna, in un continuo arricchimento di esperienze e di conoscenze. Nella sua carriera ha servito papi e presidenti della Repubblica, e oggi racconta la nuova veste, leggera e raffinata, con cui propone i sapori siciliani a Monza e alla Brianza.
Per vedere come si traduca in pratica questa filosofia basta scorrere il menu del Moro. «I “Paccheri di Senatore Cappelli, pistacchio di Raffadali e gamberi di Sicilia” vedono i gamberi rossi e i pistacchi, due prodotti della biodiversità siciliana, incontrare un formato di pasta simbolo della cucina italiana, in un quadro di leggerezza e freschezza» spiega Butticè.
«La caponata è un emblema della cucina regionale, ha origini probabilmente arabe, e un sapore agrodolce inconfondibile; l’abbiamo unita allo scampo siciliano, creando a crudo un cannolo con il crostaceo che abbiamo farcito di caponata, bilanciandone la dolcezza. È una preparazione che ha un riferimento storico preciso: ai tempi della dominazione spagnola la regina voleva mangiare la caponata insieme all’aragosta; e così la volle anche la regina Margherita, secoli dopo, all’inaugurazione del teatro di Agrigento».
Lo chef continua: «Il riso Carnaroli di Groppello Cairoli, un prodotto della biodiversità lombarda, abbraccia la ricetta siciliana della pasta con le sarde, incontrando le sarde, la clorofilla di finocchietto, il latte di pinoli e le uova di alici salate: ecco il nostro “Il risotto e le sarde”. C’è un elemento fusion in questi piatti che i nostri avventori apprezzano molto. E molto apprezzato è anche il modo in cui raccontiamo la gastronomia siciliana, anche grazie a un grande lavoro di ricerca. Abbiamo fatto uno studio approfondito a partire dalle opere di scrittori come Verga, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Camilleri. Abbiamo scelto passaggi che ci emozionassero e abbiamo dato vita a piatti capaci di esprimere queste emozioni. Così “Dal tonno al tonno” prende spunto da “I Malavoglia”».
Butticè si riferisce al passo in cui si legge «Invece compare Tino, seduto come un presidente, sugli scalini della chiesa, sputava sentenze: – Sentite a me; prima della rivoluzione era tutt’altra cosa. Adesso i pesci sono maliziati, ve lo dico io! – No; le acciughe sentono il grecale ventiquattr’ore prima di arrivare, riprendeva padron ’Ntoni; – è sempre stato così; l’acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno. Ora di là del Capo dei Mulini, li scopano dal mare tutti in una volta, colle reti fitte».
Uno spaccato di Sicilia, che prende vita grazie all’arte narrativa di Verga e si specchia nei sapori del piatto di Butticè. Ma non basta: «La sensualità dei ricci di mare si ispira a “La sirena”, di Tomasi di Lampedusa. Con questi piatti vogliamo raccontare una Sicilia diversa da quella contadina, una Sicilia più fine, elegante, poetica, musicale. Ogni volta che torniamo là, le idee arrivano: quando sei a contatto con la tua terra basta una passeggiata lungo il mare, al porto, o in campagna, basta far la spesa al mercato e le idee affiorano. Agrigento è meravigliosa, soprattutto in febbraio, quando fioriscono i mandorli, e i templi greci sembrano sospesi su una nuvola di bianco, dipinta sullo sfondo blu del cielo e del mare. Ecco, l’incontro tra i mandorli e il mare sta in un altro nostro piatto, “Mandorla di Raffadali e ostrica Fine de Claire”, in cui la crema di mandorle va a sostituirsi nel classico abbinamento con il burro».
Il lavoro di ricerca e di divulgazione di una nuova cucina siciliana si rivolge anche al pane, che al Moro viene fatto in casa a partire da grani siciliani, e guarda a una clientela lontana dalla Sicilia, ma che ha voglia di incontrare l’isola in una nuova veste, lontana dall’idea preconcetta di piatti «pieni di olio e aglio».
Il Moro Ristorante
Via Parravicini, 44 – Monza