Sapori sardi al G7È Luigi Pomata lo chef della cena di chiusura del summit a Cagliari

Gli incontri tra le potenze economiche del mondo sono anche l'occasione per scoprire la cultura e le tradizioni gastronomiche delle città che li ospitano. Come sta succedendo a Cagliari, dove il Gruppo dei sette si è riunito per parlare di lavoro

Occhi puntati su Cagliari in questi giorni con le sette grandi potenze economiche mondiali che dialogano sui temi legati al lavoro e alle prospettive di sviluppo future. Per tutta la settimana il capoluogo sardo è stato al centro del dibattito sull’occupazione e sulle sue possibilità, nonostante gli abitanti della città abbiano sorriso sotto i baffi per la scelta di fare proprio a Cagliari un focus sul lavoro, dove tante sono le difficoltà, legate proprio alla mancanza di lavoro e agli stipendi tendenzialmente bassi rispetto al costo della vita. Vero è che in città si sta meglio che in altri luoghi della Sardegna: Cagliari è la città sarda più ricca (secondo gli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze del Mef), ma l’Isola cresce poco e in termini assoluti è al quindicesimo posto per reddito tra le regioni italiane. Quello che continua a crescere invece è il numero di bar e ristoranti. A Cagliari, nel 2016 c’erano 473 attività nel centro storico, e già lo scorso anno si era arrivati a più di cinquecento. Questo nonostante la crisi e la mancanza di personale, che comunque è un tema sentito anche da queste parti (nonostante le lamentale sul lavoro che non c’è). 

Il G7 è diventato, quindi, un’occasione per godere anche della cultura gastronomica locale, che a Cagliari si declina soprattutto in piatti poveri, con lo sguardo quasi sempre fisso sul mare. È facile, dunque, immaginare come i ministri e i loro staff politici, con tutto il seguito che ne deriva, siano riusciti a saziare pance e palati per una settimana grazie ai catering e ai vari ristoranti, che hanno ospitato in diverse ambientazioni della città il simposio delle sette grandi potenze. C’è stato, in realtà, molto mistero sulle varie destinazioni di svago, svelate magari solo dallo spiegarsi di forze dell’ordine e dai divieti di sosta e di transito sparpagliati per la città. 

La curiosità ha preso il sopravvento, ovviamente, per la cena delle cene, se così vogliamo chiamarla, quella quasi conclusiva delle giornate di lavoro. «Ho deciso di proporre un menu che fosse un viaggio attraverso la Sardegna intera» — ha raccontato Luigi Pomata, uno degli chef più rappresentativi di tutta l’Isola. Lui, conosciuto soprattutto per il modo (anzi, i modi) in cui cucina il tonno delle sue origini, quello di Carloforte e del tonno rosso di corsa, è stato scelto per la cena di gala e ha preferito non portare a tavola il mare, ma addentrarsi nel racconto di altri prodotti, magari meno noti, per disegnare un percorso che ministri & co. hanno apprezzato tanto da chiedere quasi sempre il bis: «Il cerimoniale non lo prevede, ma evidentemente è piaciuto tutto così tanto da chiudere un occhio». Si, perché in cene come queste il cerimoniale non può mancare, è l’ingrediente in più che scandisce modi e tempi, in un servizio dove nulla è lasciato al caso. E forse è anche il luogo di questa cena è stato stabilito secondo dei criteri ben strutturati. Sicuramente, tra questi, è rientrata anche la bellezza: la scelta, infatti, è caduta su Villa Ballero , a Giorgino, uno dei rioni marittimi di Cagliari, luogo denso di testimonianze della vita e della cultura della città e molto caro ai cagliaritani stessi. Qui ogni anno si ripete un rito antico, durante la festa dedicata a S. Efisio (ve l’abbiamo raccontata qui), dove avviene il cambio di abiti e di cocchio del santo in processione, da quelli di città a quelli di campagna. Il tutto in un’atmosfera che a tratti risulta essere davvero commovente, tanto è densa di riti e tradizione. 

E probabilmente è stata la stessa atmosfera vissuta anche ieri, con le tavole allestite ad arte e i movimenti perfetti dei camerieri guidati dalla regia di Luigi Pomata. Pomata che è voluto partire con un aperitivo a base di riso, uno dei prodotti principi della Sardegna e della zona dell’oristanese, ricotta e bottarga, altro elemento cardine dell’isola. Un antipasto con carasau, melanzane e pesce spada al mirto, seguito da su civraxiu, pane tipico di semola, patate e tartufo di Laconi. E a seguire la Sardegna più pura, povera e vera. Le Lorighittas, una pasta intrecciata tipica di un unico paesino in provincia di Oristano, Morgongiori, servite con verdure brasate, zafferano e Fiore Sardo. Il filetto di bue del Montiferru, con un fondo di patate di Gavoi. E le seadas, realizzate con crema agli agrumi, ricotta montata al Filu ’e Ferru (l’acquavite sarda) e gelato al miele di cardo. Anche i vini sono stati un omaggio a quest’isola che sa di maestrale e di sale: Spera di Siddura, Sincaru di Surrau, Oscarì di Sella & Mosca, Galesa di Cantine Mesa, Su ’Bri di Su Entu, Stellato di Pala e Vernaccia di Contini. Un viaggio lungo tutte le direzioni, da nord a sud, dal Vermentino al Cannonau, dalle colline della Marmilla alla granitica Gallura, dall’assolato Sulcis alle piane dell’Oristanese. 

Purtroppo ancora non abbiamo le immagini dei piatti, ma sappiamo con certezza che la serata è stata apprezzata. «Luigi Pomata è il miglior cuoco che abbiamo in Sardegna» — ha detto anche la ministra Marina Elvira Calderone a fine serata, chiamando tra i tavoli lo chef per complimentarsi insieme agli altri commensali. Un riconoscimento particolarmente gradito, soprattutto per l’immenso lavoro fatto in cucina per una cena, dove, tra gli oltre cento commensali, c’erano anche difficoltà legate a diete alimentari diverse, che dovevano pero danzare allo stesso ritmo. Il muggine servito per i pescetariani, le alternative per i partecipanti con limitazioni religiose. La stessa Calderone, ad esempio, è celiaca e per lei Pomata ha scelto comunque di rimanere in Sardegna con dei malloreddus realizzata apposta. La ministra ha gradito, e parecchio: chissà però se il suo cuore avrebbe sussultato se le fosse stato servito un piatto di zichi, un pane dalla forma circolare tipico di Bonorva, paese in provincia di Sassari che le ha dato i natali. Un pane antico e purtroppo poco conosciuto che, spezzettato con le mani e bollito in acqua salata, può essere condito e servito proprio come se fosse una pasta.

 

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