L’anfiteatro naturale su cui si affaccia il Santuario di San Costantino di Sedilo, paesino della provincia di Oristano, sembra fatto apposta per una battaglia. O, almeno, per rievocarne una. Dalla piccola chiesa campestre tappezzata di ex voto e cuori argentei, con vista sul lago di Omodeo, lo sguardo scende lungo il pendio erboso, supera le mura in pietra con le costruzioni destinate all’accoglienza dei pellegrini e si ferma qualche centinaio di metri dopo su un modesto promontorio naturale, Su Frontigheddu. Proprio qui bisogna immaginare un manipolo di cavalieri che, in un clima di trepidazione generale, attende il momento giusto per sferrare l’attacco. Così accade ogni anno all’Ardia, secolare corsa a cavallo che si tiene a Sedilo il 6 e 7 luglio per rievocare la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 tra Costantino e Massenzio, in seguito alla quale venne sancita la libertà di culto per i cristiani.
A galoppare vigorosamente da Su Frontigheddu al Santuario di San Costantino sono diverse decine di cavalieri (un tempo un centinaio, oggi un’ottantina: un effetto dello spopolamento dell’entroterra) guidate da sa prima pandela, un cavaliere scelto ogni anno direttamente dal parroco sulla base degli iscritti a un registro che dagli anni Cinquanta viene compilato con i nomi di chi aspira a questo ruolo: un onore che si sogna da bambini e che tocca forse una volta nella vita.
L’Ardia è la festa più sentita a Sedilo, un rito collettivo che inizia molto prima della corsa a cavallo e a cui partecipa tutta la comunità locale. Un’intera giornata è dedicata a riempire di farina di polenta le cartucce da sparare per gioco, ad esempio, mentre nelle cucine fervono i preparativi dei pirichitti, biscotti glassati a base di farina, uova e zucchero: tipici di questa zona, sono immancabili nei giorni di san Costantino.
Lungo il Cammino di Santiago di Sardegna
Che angolo di Sardegna è questo, così distante dall’immaginario fatto di mare turchese e spiagge bianche che di solito si associa a questa regione? Siamo sull’altopiano di Abbasanta, nel cuore dell’isola, nelle terre da cui passa il Cammino di Santu Jacu: uno degli itinerari su cui la Regione Sardegna sta puntando per affermarsi sempre di più come isola di cammini e camminatori. Potremmo chiamarlo il Cammino di Santiago di Sardegna, e non solo perché il santo richiamato nel nome – San Giacomo – è lo stesso.
Oggi è un progetto ancora in crescita, ma idealmente chi compie il Cammino di Santu Jacu può attraversare verticalmente l’isola da Cagliari a Porto Torres e, dopo oltre quattrocento chilometri a piedi, imbarcarsi, raggiungere la Spagna e proseguire il viaggio sui più celebri itinerari che conducono a Santiago di Compostela.
Lasciando il sogno di questo lungo pellegrinaggio a chi ha gambe e tempo per realizzarlo, il Cammino di Santu Jacu resta una scusa piacevolissima per esplorare l’entroterra sardo meno conosciuto: un entroterra profumato di macchia mediterranea e disseminato di chiese campestri e tesori archeologici, ancora animato da un senso di comunità che è difficile trovare altrove.
Parlando di tesori archeologici, proprio a Sedilo si trova il Parco archeologico di Iloi che, oltre ai resti di un villaggio prenuragico dal quale si domina la valle del fiume Tirso, include magnifiche domus de janas che formano la necropoli di Ispiluncas. Per continuare a seguire il tratto di Cammino di Santu Jacu che esplora questa porzione di entroterra, però, dobbiamo spostarci di qualche chilometro fino a Noragugume. Anche questo borgo ha la sua Ardia, corsa in onore della Beata Vergine d’Itria, e più in generale una forte tradizione equestre: diverse volte il Palio di Siena è stato vinto da fantini provenienti proprio da queste zone.
Forte e radicata è poi la tradizione dell’allevamento ovino, una consuetudine che si fa notare molto a tavola, dove della pecora – più che del maiale – non si butta via niente. Tra i piatti tipici locali ci sono pecora bollita con patate e cipolle, sa cordula (intestino di agnello o capretto) e su trattaliu (interiora di agnello, fegato, cuore e polmone allo spiedo), ma anche le varietà di pane preparate dalle donne in occasione della Settimana Santa e della Pasqua, come sos coccois cun s’ou, pane di grano duro con le uova considerato un simbolo benaugurante e di rinascita.
Dal “granaio di Sardegna” ai boschi di Badde Salighes
Ideato una quindicina di anni fa, il Cammino di Santu Jacu in Sardegna non ricalca antiche rotte di pellegrinaggio, come accade a Santiago di Compostela, ma nasce con l’esplicito intento di collegare i luoghi di devozione dedicati a San Giacomo Maggiore, protettore dai fulmini e dispensatore del viatico della buona morte. A Noragugume – che ha meno di trecento abitanti e tre chiese, tutte affacciate su piazza IV Novembre – c’è appunto anche una chiesa intitolata a San Giacomo, una ricostruzione del 1960 sorta sulle macerie di un edificio ben più antico, demolito per gravi problemi strutturali. Da qui il tracciato del Cammino di Santu Jacu procede verso nord lungo l’antica via romana della ia de Logu, con vista sulle montagne del Marghine, e raggiunge Bolotana e i suggestivi boschi di Badde Salighes.
È un tratto di cammino, questo, che racconta qualcosa del passato e del presente del territorio. Siamo nella media valle del Tirso, in una terra così fertile e ricca di sorgenti da essere stata in passato uno dei granai della Sardegna e certamente il granaio per eccellenza della provincia di Nuoro. Negli anni Settanta le spighe hanno lasciato spazio ad alcuni siti industriali petrolchimici e tessili, una tentata riconversione economica dagli esiti fallimentari in seguito alla quale si è tornati a ben più antiche e radicate attività: agricoltura e pastorizia, appunto.
Salendo di quota la fertile piana lascia spazio a colline coperte di bosco mediterraneo, e prima ancora di ulivi. Uno dei migliori prodotti della zona è infatti il pluripremiato olio extravergine di oliva Terracuza, ottenuto da una selezione accurata di cultivar autoctone Bosana e Cariasina. La stessa azienda agricola di Bolotana guidata da Giacomo Nieddu produce anche un altro extravergine pluripremiato, l’Ozzastrera: ottenuto da olive di varietà Bosana raccolte nel mese di dicembre, anni fa è stato selezionato per finire sulle tavole reali di Buckingham Palace.
Lasciandosi gli ulivi alle spalle, il Cammino di Santu Jacu entra definitivamente nel suggestivo bosco di Badde Salighes. Qui tra lecci, castagni e tassi centenari si nasconde una vera chicca: Villa Piercy. Legata alla figura del gallese Benjamin Piercy, ingegnere, imprenditore agricolo e ideatore della rete ferroviaria della Sardegna, oggi questa maestosa villa circondata da un giardino, più simile a un castello che a un cottage in stile inglese, è una casa-museo sulla storia della famiglia Piercy dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi, attraverso varie generazioni di inglesi “naturalizzati” sardi dalla vita decisamente fuori dal comune.
Da queste colline fresche e spesso piovose, per lo meno alla fine dell’estate, il Cammino di Santu Jacu scende nuovamente fino alla verdissima piana di Santa Lucia, tra pascoli che raccontano ancora una volta la predominante vocazione agropastorale di queste terre.
Rebeccu, la nuova vita del borgo fantasma
È assolutamente da non perdere la tappa a Rebeccu: minuscola frazione di Bonorva, questo borgo medievale fantasma domina la piana di Santa Lucia e ha una storia affascinante. Secondo la leggenda, in epoca medievale la figlia del feudatario, la principessa Donoria, venne cacciata dal villaggio con l’accusa di essere una strega. Allontanandosi in sella a un mulo, la donna lanciò una maledizione: Rebeccu non avrebbe mai avuto più di trenta abitazioni.
Il borgo si è in effetti spopolato nel corso dei secoli e ancora oggi è pressoché disabitato, caratteristica che gli conferisce l’innegabile fascino dei luoghi che sembrano immuni allo scorrere del tempo. A ridare valore e futuro alle poche decine case in pietra che compongono Rebeccu da pochi anni contribuiscono – oltre al Cammino di Santu Jacu, che passa proprio dal borgo – il progetto di arte e ospitalità MusaMadre e il ristorante Su Lumarzu, che prende il nome dalla fonte nuragica che si trova a poche centinaia di metri dal centro. Riaperto nel 2022 con una nuova veste, il ristorante tra i piatti imperdibili sul menu propone anche gli zichi. Tipico di Bonorva, il pane zichi una volta cotto sembra un piccolo cuscino: tondo, gonfio, leggero. Un risultato che ottiene solo chi sa padroneggiare l’arte della lievitazione, che risente anche delle temperature esterne e della stagione in corso. Spezzato grossolanamente con le mani e cotto in acqua salata, questo pane viene portato in tavola come se fosse pasta: “riccioli” teneri ma compatti, impregnati di sughi di verdure o carne.
Continuando a seguire il filo rosso della devozione a San Giacomo, il Cammino di Santu Jacu si addentra nella valle dei Nuraghi fino al borgo di Ittireddu: è l’ultima tappa della piccola porzione di cammino proposta in questo articolo, percorribile in tre giorni. Posizionato nell’antica regione di Logudoro all’ombra del Monte Lisiri, un antico vulcano spento, Ittireddu è un museo a cielo aperto: sono una quarantina i siti archeologici nel suo territorio tra necropoli, nuraghe e resti di epoca romana.
Nel paese di circa cinquecento abitanti c’è anche un museo archeologico vero e proprio, e vale la visita: fondato una quarantina di anni fa, è stato rinnovato tra il 2016 e il 2017 sotto la supervisione del sindaco archeologo Franco Campus. Il risultato è un luogo davvero capace di fare divulgazione in modo accessibile, inserendo la storia della Sardegna nella più ampia storia del Mediterraneo. Qui la graziosa chiesa campestre dedicata a San Giacomo si trova poco fuori dal paesino. Chi capita da queste parti intorno al 25 luglio potrà vedere la statua del patrono portata in processione fino al centro di Ittireddu e l’intera comunità riunita a festeggiare, come vuole la tradizione, con un immancabile pranzo a base di pecora bollita con patate e cipolle.