Il gioco delle tre carte al centrodestra riesce alla perfezione. La casistica è ormai pesante. Della finanziaria ha scritto Mario Lavia ieri su Linkiesta, sottolineando la capacità di Giorgia Meloni nell’esercitare la sua leadership su Matteo Salvini e Antonio Tajani (cosa che non riesce Elly Schlein nel suo campo). Con la sponda del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che in conferenza stampa ha spiegato che i contadini e i pescatori sono contenti della manovra economica; meno le banche. Sembrava di sentire un populista russo dell’Ottocento. Quindi, alla fine, la lotta di classe da avanspettacolo sugli extraprofitti tra il rivoluzionario capo leghista e il rappresentante del Capitale Tajani si è risolta in una burletta. È il solito gioco delle parti a uso e consumo della propaganda in cui tutto sembra precipitare e invece a cascarci è sempre l’opposizione e alcuni media.
La stessa cosa sta avvenendo a livello europeo. Sembrano todos caballeros, ma trovano l’escamotage di tenere botta, alzare i ponti levatoi, lasciando alle minoranze di rimanere tali e divisi. Con un bel cerino in mano. Ieri a Bruxelles, per esempio, Tajani ha partecipato all’assemblea dei Popolari, che è la sua famiglia politica maggioritaria, quella che comanda in Europa e guarda in cagnesco la destra dei Patrioti. I quali ieri, sempre a Bruxelles, si sono riuniti con il suo gotha di cui fanno parte Matteo Salvini, Viktor Orbán, Geert Wilders, Marine Le Pen, Santiago Abascal. Tutti a parlare male dell’Europa, della Commissione, di Ursula von der Leyen, di quanto è bravo ed eroico Salvini che l’indomani (cioè oggi) sarebbe tornato a Palermo a farsi processare. Finita la fiera dei sovranismi, sono usciti dalla sala e hanno dichiarato che voteranno Raffaele Fitto. Lui, singolarmente, non la Commissione. Il leader leghisti si è dimenticato che ha fatto tutta la campagna elettorale avvertendo Meloni: guai a fare inciuci con i socialisti. E lei ad assicurare che mai e poi mai succederà una cosa del genere.
Come è finita l’hanno vista tutti. Prima la finta di non votare l’amica Ursula, con la scusa che liberali e socialisti non la volevano al tavolo della trattativa. Poi Meloni si è messa a trattare per Fitto e la vicepresidenza esecutiva: l’inciucio e la grande coalizione sono uscite dal cilindro magico degli illusionisti. Salvini fa finta di strillare ancora, ma non parla più di inciucio e si accomoda con Meloni, Tajani e Fitto nel salotto buono dell’Amigo Hotel di Bruxelles per assicurare che non ci saranno sgambetti quando verrà votato il commissario italiano. I Patrioti, il più democristiano della compagnia lo difenderanno come un sol uomo.
Così gli eurodeputati del Partito democratico e gli stessi socialisti si troveranno a votare per l’uomo di Meloni a Bruxelles insieme ai simpaticoni dell’estrema destra e di mister Orbán, che ieri andava in giro per le sale di Bruxelles a dire che i Patrioti MakeEuropeGreatAgain, perché i popoli europei ne hanno abbastanza dei clandestini.
Mentre tutto questo accadeva nella grande commedia dell’assurdo, la premier italiana riuniva altri dieci colleghi per parlare del protocollo Albania. Era presente anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha sempre mostrato interesse per questo “esperimento”. Tra propaganda e realtà, il modello albanese interessa trasversalmente molti governi europei, anche socialisti, ed extracomunitari, come quello guidato dal laburista Keir Starmer. E questo la dice lunga della difficoltà di Elly Schlein nel prendere le misure a Meloni e di essere in sintonia con un bel pezzo del Paese sull’accoglienza e il contrasto dei migranti clandestini.
Il gioco delle tre carte o dei tanti forni accesi riesce molto bene a Meloni e al centrodestra che, di riffa o di raffa, ritrova l’unità in nome del governo e del potere. Lasciando agli altri il dolore di bruciarsi le dita nei loro accampamenti.