RuwikiL’enciclopedia digitale di Putin che alimenta verità parallele

Un articolo pubblicato su Foreign Policy mostra come negli ultimi vent’anni il Cremlino abbia condotto operazioni di revisionismo storico sul web (e non solo) al fine di legittimare le proprie mire imperialiste

AP/Lapresse

Riscrivere la Storia è una delle grandi passioni di Vladimir Putin. Al pari di altri dittatori del recente passato, come Adolf Hitler, Benito Mussolini e Iosif Stalin, il leader russo ha preso alla lettera il pericoloso adagio “la storia la fanno i vincitori” per modificare la realtà a suo piacimento e giustificare la propria politica imperialista. Una propaganda autoritaria di lungo corso, che ha trovato in Ruwiki, la Wikipedia del Cremlino, uno dei suoi esiti più pericolosi.

Il lancio su larga scala di questa enciclopedia digitale russificata è avvenuto lo scorso gennaio. Dopo circa sei mesi di test condotti da studiosi vicini al Cremlino, Ruwiki ha raggiunto i browser di milioni di utenti in Russia, propalando contenuti in sintonia con le prospettive e le narrazioni di Putin. Il sito è una vera e propria summa delle verità alternative di Mosca, volto a legittimare – tra le altre cose – l’invasione militare dell’Ucraina.

Su Ruwiki è possibile trovare contenuti falsi, quali la negazione dell’Holodomor, la carestia avvenuta sotto Stalin che ha provocato la morte di otto milioni di persone, oppure la non appartenenza delle regioni Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhya allo Stato ucraino. Funziona in maniera simile a Wikipedia, ma rispetto a questa prevede che ogni pubblicazione sia vagliata da una piccola cerchia di esperti, che sono espressione della volontà del governo centrale.

È probabilmente questa la ragione per cui il Cremlino ha deciso di creare un dominio alternativo a quello di Wikipedia in lingua russa. Fin dalla sua nascita nel 2001, l’enciclopedia digitale in versione cirillica è stata una delle principali fonti di disinformazione per Mosca. Nel 2014, ad esempio, sono comparse pagine che sminuivano il ruolo di Mosca nella guerra d’aggressione a Kyjiv e ritraevano Donetsk come una repubblica separatista popolare.

Il passaggio alla nuova piattaforma, meglio controllata dagli adepti di Putin rispetto alla Wikipedia russa, ha permesso al Cremlino di raccontare la propria verità senza scocciature esterne. Tagliando i ponti con la Wikimedia Foundation, la società proprietaria dell’enciclopedia digitale in cirillico, il governo di Mosca ha potuto condurre la propria opera di disinformazione collettiva in maniera libera e pervasiva. Oggi Ruwiki contiene fino a due milioni di articoli in russo e in altre dodici lingue regionali parlate in Russia.

Una simile macchina dell’oscurità risulta estremamente funzionale a un regime che intende da un lato nascondere i propri crimini agli occhi dei suoi cittadini e dall’altro monitorare l’opinione pubblica. La legge sull’Internet sovrano in Russia, introdotta nel 2019, va nella direzione di un autoritarismo digitale che ostacola e sanziona i contenuti che propongono una versione alternativa a quella del potere centrale.

«Ruwiki è un esempio perfetto di splinternet, cioè la frammentazione dell’internet globale in spazi più piccoli, divergenti e disconnessi», spiega Olga Boichak su Foreign Policy. Un fenomeno che «spesso è il risultato di politiche governative mirate che limitano l’accesso a determinati siti e servizi nel tentativo di limitare la libertà di parola». Queste misure sono intraprese da regimi autoritari con il pretesto della sovranità digitale – come la Repubblica islamica dell’Iran con il National Information Network e la Turchia con i nuovi emendamenti alla Press Law del 2022 – al fine di garantire il controllo dello Stato sulle sue infrastrutture di comunicazione e digitali.

Ma la propaganda del Cremlino non si limita a Ruwiki. In questi anni il revisionismo storico voluto da Putin ha portato alla redazione di libri di storia intonati alla sua retorica imperialista. A settembre circa un milione e mezzo di alunni in Russia e nei territori ucraini occupati ha iniziato a studiare su testi che giustificano l’«operazione militare speciale» (che è in realtà un’invasione) e l’occupazione dell’Ucraina.

Il nuovo libro di testo, “Storia della Russia: dal 1945 all’inizio del XXI secolo”, ha l’ovvio scopo di diffondere nelle scuole la versione del Cremlino in merito all’invasione dell’Ucraina. Dell’Ucraina, in particolare, si dice che abbia avuto un ruolo centrale nella storia della Russia, mentre si ritiene totalmente impensabile un suo allineamento all’Europa.  

«Piuttosto che far luce sulla storia, il nuovo libro la cancella, e in nessun altro luogo più che quando parla dell’Ucraina», scrive Alexey Kovalev su Foreign Policy. Quando descrive la presunta proprietà «storica» della Russia della penisola di Crimea in Ucraina, ad esempio, il libro afferma che i russi etnici costituiscono la «maggioranza assoluta» della popolazione della Crimea. Ma i russi divennero l’etnia dominante in Crimea solo attraverso una politica di colonizzazione e pulizia etnica, soprattutto dopo il 1944, quando Stalin ordinò la deportazione della popolazione indigena tatara di Crimea, accusandola falsamente di collaborare con i nazisti.

Una falsificazione della storia disarmante, insomma. In questo senso, il rischio che nuove generazioni di russi e ucraini crescano senza un vero confronto con la verità è più che presente. Dal 2022 la Russia ha eliminato centosettantadue biblioteche e quasi due milioni di libri, stando all’Ukranian Book Institute. Numeri impressionanti che rivelano, una volta di più, l’urgenza di preservare e tramandare ai posteri la memoria storica e culturale ucraina. 

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