Comunque vada sarà un insuccesso. In queste ore nel Movimento 5 stelle c’è persino chi teme che questa specie di referendum sul “che fare” che si celebrerà alla cosiddetta Convenzione del prossimo weekend possa non vedere una grande partecipazione: lontani i tempi della piattaforma Rousseau, questa “piattaforma Conte” potrebbe fare cilecca, per la gioia di Beppe Grillo.
Ma quel che più conta è la sostanza politica della vicenda. Il dilemma amletico è noto: se stare nel campo progressista (la dizione “centrosinistra” non garba tanto da queste parti); oppure fare come dice Marco Travaglio, cioè viaggiare nell’iperuranico “né di qua né di là” per arrivare caso mai a un contratto di governo con il Partito democratico e gli altri. Insomma, o linea Conte o linea Grillo.
Se passasse la seconda si andrebbe a un’implosione che farebbe cadere la testa dell’avvocato, e perciò appare impossibile. Scommettiamo dunque sulla prima scelta: il Movimento 5 stelle opta di stare tra i progressisti. Ma in quale condizione? Da quando Conte sognava il sorpasso di Elly Schlein è cambiato tutto.
I risultati delle tre recenti elezioni regionali inchiodano il partito di Conte a percentuali del quattro, cinque per cento. Realisticamente, se si votasse oggi per le politiche, il rapporto tra dem e Movimento 5 stelle sarebbe di venticinque a dieci, se non peggio. Sono rapporti di forza che dicono una cosa semplice, che il partito dell’avvocato di Volturara Appula è diventato un cespuglio all’ombra del Nazareno: è anche una bella immagine, dal sapore biblico. Non se ne dovrebbe adontare.
Questo significa che per esempio certi impeti polemici sarebbero poco compatibili nei confronti di un alleato strategico che è anche quello chiamato dai rapporti di forza a dirigere la baracca. O pretendere di porre veti, di dettar legge: si è visto che capolavoro in Liguria. E neanche spostandosi più “a sinistra”, per esempio sulle questioni internazionali e il pacifismo, Conte potrebbe sperare di trovare ossigeno perché quell’area è in parte presidiata dal Partito democratico e in parte da quell’Alleanza Verdi-Sinistra che sta dimostrando una sua tenuta e che già ora ha un consenso non molto inferiore a quello dei post-grillini.
L’avvocato-senza-scrupoli per questo non rinuncia a corteggiare il rossobrunismo più hard. Alla Convenzione interverrà anche Sahra Wagenknecht, fondatrice e leader di Bsw, Bundnis Sahra Wagenknecht, una leader populista nota per le sue tesi “pacifiste” e contro la Resistenza ucraina. In effetti, è la linea di Conte.
Stare con i progressisti, dunque, per tenere accesa una fiammella: meglio un cespuglio che niente. Magari con la faccia nuova e aggressiva di Chiara Appendino, una “unitaria” ma fino a un certo punto, a sostituire un Conte diventato improvvisamente “vecchio”, un non vincente.
Ma c’è poi una ragione più di fondo che va nella direzione dell’esaurimento della spinta propulsiva del Movimento. E cioè che stanno emergendo diversi segnali di una parabola dell’antipolitica. Sempre alle Regionali in Emilia-Romagna e Umbria sono andati male, oltre i contiani, anche la Lega e un tipo come Stefano Bandecchi, probabilmente perché, pur con tutti i problemi, il sistema politico in qualche modo si è riorganizzato e stabilizzato attorno a questo bipolarismo dominato da Partito democratico e Fratelli d’Italia, con buona pace delle forme più clamorose di populismo inteso come contestazione del sistema di cui il Movimento 5 stelle è stato in questi anni la punta di lancia. Una punta che si è spezzata probabilmente per sempre. Grillo ha detto che «Conte non ammette che è finita, è come l’ultimo giapponese». E tra i due non si sa chi sia il vero giapponese. Probabilmente entrambi.