Due a uno, risultato finale buono per il centrosinistra. Persa di un soffio la Liguria (se non ci fosse stato il veto contiano a Matteo Renzi oggi parleremmo di “cappotto”), stravinta come da copione l’Emilia-Romagna, è dall’Umbria che è arrivato quell’ossigeno che il Nazareno aspettava con una certa ansia. Sul piano nazionale non cambia niente, non era questa la circostanza, però agli atti resta il gran sorriso di Elly Schlein e l’assenza di commenti di rilievo della destra, sconfitta in entrambe le Regioni dove si è votato domenica e ieri, con, per di più, una prova non esattamente brillante di Fratelli d’Italia: forse non è un campanello d’allarme di prima grandezza, però è un fatto che il partito di Giorgia Meloni ha guidato due battaglie perse e una terza, la Liguria, l’ha vinta con il moderato Marco Bucci e i voti di Claudio Scajola.
L’Emilia rossa si conferma tale, hanno trovato un candidato molto forte, Michele de Pascale, uno che sembra proprio della vecchia guardia in quanto a tenuta politica, uno tosto, riformista, che dà l’impressione “antica” di conoscere le cose di cui parla, ed è la vittoria di una vecchia scuola, più bonacciniana che schleiniana. Ma al Nazareno va benissimo così, anche e soprattutto considerando la percentuale stratosferica del quaranta per cento e passa conquistato dal Partito democratico – sembra di tornare a percentuali da anni Settanta – dieci volte più del Movimento 5 stelle, sotto il cinque, un partito che a livello locale è un cespuglio nemmeno tanto rigoglioso, più piccolo di Avs, per dire.
E in Umbria il centrosinistra largo l’ha spuntata, Stefania Proietti ha strappato la regione alla destra, una destra che ha cercato di drogarsi con questo brutto personaggio del sindaco di Terni Stefano Bandecchi, che non solo ha fatto flop ma forse ha pure allontanato possibili voti moderati.
Dunque, è lecito chiedersi se questo scricchiolio del partito di Giorgia Meloni sia casuale in un tornante politico nel quale effettivamente il governo non brilla e soprattutto non riesce a fornire chiare indicazioni, specie per quel che riguarda l’economia (con il ribasso delle previsioni di crescita a un misero più 0,7), per l’immediato futuro, e azzarderemmo l’ipotesi che l’eccesso di propaganda dinanzi a risultati che non si vedono corre il rischio di generare fastidio.
Nel centrosinistra il problema si chiama Giuseppe Conte. Se si allea perde voti finendo in parte cannibalizzato dal Partito democratico: potrebbe essere un’argomentazione a favore di quelli che alla Convenzione di fine novembre chiederanno il ritorno all’antico, al vecchio adagio grillino del «né con la destra né con la sinistra». Ma è più probabile che non si tratti solo di questo. La crisi del Movimento 5 stelle presenta evidenti caratteristiche strutturali, di fondo, che mettono in dubbio il senso stesso della sua esistenza. È un momento drammatico per i post-grillini. Non c’è era bisogno dell’Umbria e dell’Emilia-Romagna per intuirlo. Ma da ieri la condizione di Giuseppe Conte è ancora più grave.