Il panel “C’era una volta l’America”, che ha chiuso la prima giornata de Linkiesta Festival 2024, è cominciato con un bilancio a mente fredda dopo la sconfitta di Kamala Harris alle elezioni del 5 novembre. Sul palco Christian Rocca, direttore editoriale de Linkiesta, e Francesco Costa, vicedirettore del Post, che ad agosto erano assieme a Chicago durante la convention del Partito democratico.
«Harris è stata candidata per quindici settimane. È stata la campagna elettorale più breve della storia. La curva dei sondaggi è culminata dopo la convention, e forse pensavano che il lavoro fosse già fatto. Erano convinti che una campagna elettorale ormai persa fosse in una fase di ripresa. In realtà, i democratici stavano ripetendo alcuni errori della campagna del 2016 nel dirsi “siamo migliori degli altri”. Raccontavano la situazione come se stessero vincendo, e invece stavano perdendo», racconta Costa. Secondo Rocca, «a Chicago c’era un certo tipo di entusiasmo e l’attentato a Trump sembrava avvenuto quindici anni prima».
Il direttore de Linkiesta ha poi ricordato che, nonostante la sconfitta, Harris «ha preso dieci milioni di voti in più rispetto a Obama nel 2012. È vero che è aumentata la popolazione e la percentuale di votanti, ma resta il fatto che – nei numeri – ha convinto più gente di Obama». Le elezioni in un Paese come gli Usa, infatti, raccontano centinaia di storie e scenari differenti.
«Difficile pensare che la responsabile della sconfitta sia innanzitutto Kamala Harris. Se si fa il confronto con le elezioni del 2020, quella di Biden, Harris in almeno quattro o cinque degli Stati in bilico ha preso più voti di Biden: se l’è giocata abbastanza, i sondaggi avevano ragione a definirla una campagna in bilico», dice Costa. Il problema (per Harris) è stato ciò che è avvenuto fuori dagli Stati in bilico, come la California, il New Jersey o New York: «Il voto di quest’anno è stato, per certi versi, più un referendum sui democratici come partito».
Il dibattito si è poi concentrato sui due candidati alla vicepresidenza. Il dem Tim Walz, dice Rocca, «sembrava efficace e molto popolare, usava metafore legate al football e aveva questo aspetto da zio simpatico, anche se in realtà è più giovane di Harris». Il discorso del governatore del Minnesota alla convention di Chicago, però, ha spento gli entusiasmi: «Non funzionava, ce ne siamo accorti subito», continua il direttore de Linkiesta.
Walz, secondo Costa, «ha mostrato di essere un performer con pochi cavalli di battaglia. Di politica estera non si era mai occupato, e anche lì si è vista la sua fragilità. Vance, invece, ha avuto un approccio diverso, diceva cose con una certa complessità, anche se conservatrici e per certi versi eversive».
Archiviate le elezioni, l’attenzione si è spostata sulle nomine di Donald Trump: «Il Senato deve ratificare queste nomine, qualcuno lo boccia sempre. Trump esercita il suo potere attraverso l’umiliazione costante e la sottomissione, come la foto di Kennedy che mangia McDonald’s. Il criterio della scelta, forse, è stata la nomina di persone molto controllabili. A Trump serve qualcuno che non abbia alleati da nessuna parte, qualcuno in disparte e che non può tradirlo», dice il vicedirettore del Post, che ha pubblicato tre libri sull’America con Mondadori, (l’ultimo è “Frontiera”).
Il direttore de Linkiesta Christian Rocca si è poi soffermato su Tulsi Gabbard, l’ex democratica nominata direttrice dell’Intelligence nazionale: «È un misto tra Toninelli e Di Battista (ride, ndr). Se ci fosse Toninelli mi sentirei più sicuro. Lei è una che pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto un video per dire a Zelensky di abbracciare lo spirito della aloha delle Hawaii». Ma la nomina più assurda e impattante è probabilmente quella di Robert Kennedy Jr., noto no-vax, alla Sanità.
Il figlio di Bobby Kennedy e nipote dell’ex presidente statunitense Jfk, spiega Costa, «fu il protagonista di molte class action, un avvocato che si interessò di molte cause ambientaliste. Pian piano divenne il paladino dei consumatori, ma cominciò a deragliare, spostandosi ai margini del partito democratico. Il motivo? Le sue campagne divennero complottiste. I vaccini divennero il suo cavallo di battaglia. È stato il vero leader del movimento no-vax in Italia, partecipando a un comizio all’Arco della Pace a Milano. E anche sulla politica estera si è avvicinato all’ala più conservatrice. E queste sono le cose paradossalmente più normali della vita di Kennedy. Quelle meno normali? Ha detto di avere un verme lunghissimo nel cervello e di essere stato operato per questo motivo; ha mangiato un cane arrosto durante una vacanza in Asia; ha inscenato un attacco di un orso che ha poi abbandonato a Central Park». E non solo: «Ha avuto un malore perché si era fissato col tonno, mangiava solo quello, e oggi ha una malattia provocata da quel regime alimentare», aggiunge Rocca.
Ultimo, ma non meno importante, Elon Musk, a capo del dipartimento per l’Efficienza governativa: «Harris ha raccolto 1,5 miliardi di dollari, non si sono mai visti numeri così. Musk ha speso quarantaquattro miliardi per il capriccio di comprarsi Twitter, e non gli serviva a niente. Musk per un capriccio può spendere quelle cifre. L’uomo più ricco del mondo che investe così tanto su un candidato è una cosa senza precedenti», dice Costa.
Il loro rapporto, però, potrebbe scricchiolare: «Musk vuole fare il presidente ombra. Non è nato americano, e il modo per avvicinarsi di più alla Casa Bianca è stato diventare il braccio destro di un presidente facile da manipolare. Musk ha tanti interessi con il governo federale, tra la Nasa, le auto elettriche e le materie prime. È molto esposto. Andranno d’accordo? Questa è la grande variabile. Trump non sopporterebbe essere descritto come una persona manovrata da qualcuno».