House of StrasbourgVon der Leyen guiderà la Commissione più a destra della storia europea

Il voto del Parlamento europeo sulla fiducia al nuovo esecutivo comunitario ha messo a nudo le fratture all’interno della maggioranza centrista. E i numeri dell’Ursula bis sono i peggiori degli ultimi trent’anni

LaPresse

Non c’erano grandi dubbi che il Parlamento europeo avrebbe approvato la seconda Commissione guidata Ursula von der Leyen. Ma del voto di mercoledì 27 novembre a Strasburgo è interessante esaminare i numeri, perché danno un’idea degli equilibri (e disequilibri) politici in Aula e restituiscono un’immagine vera della debolezza della maggioranza centrista in questa decima legislatura, iniziata in maniera piuttosto burrascosa.

Il via libera al nuovo esecutivo comunitario è arrivato con trecentosettanta voti a favore, duecentottandadue contrari e trentasei astensioni (i votanti erano seicentottantotto). Si tratta del risultato più deludente nel voto d’investitura di qualunque Collegio da quando, nel lontano 1993 (per effetto del trattato di Maastricht), l’Eurocamera ha ottenuto il potere di «confermare» le nomine fatte dagli Stati membri e dal presidente della Commissione. Il sostegno più trasversale a Strasburgo è arrivato nel 1999 per la Commissione Prodi, in favore della quale si è espresso l’86,6 per cento dei deputati (cinquecentodieci su cinquecentottantanove votanti).

Non solo. Il voto di ieri ha anche segnato la prima volta nella storia in cui la percentuale di «sì» per l’intera Commissione è stata più bassa di quella per il suo (o la sua) presidente – anche se, giova ricordarlo, le regole d’ingaggio sono diverse: per «eleggere» il capo dell’esecutivo comunitario serve la maggioranza assoluta dei membri dell’emiciclo (che votano a scrutinio segreto) a prescindere dalle assenze, mentre per approvare l’intero Collegio basta la maggioranza semplice dei voti espressi (palesi) al netto delle astensioni. 

Lo scorso luglio, von der Leyen aveva convinto quattrocentouno deputati (cioè il 55,77 per cento), mentre la sua squadra di commissari ha ottenuto il disco verde da trecentosettanta parlamentari (il 53,77 per cento dei seicentottantotto voti validi). È un risultato peggiore di quello che la stessa popolare tedesca aveva raggiunto cinque anni fa: nel luglio 2019 l’allora semisconosciuta von der Leyen fu «eletta» con l’appoggio del 51,27 per cento dell’Aula (trecentottantatré eurodeputati), e quattro mesi dopo il suo primo Collegio ricevette il via libera con il 65,20 per cento dei voti espressi (quattrocentosessantuno «sì»). 

A livello di comportamento di voto non ci sono state grosse sorprese. Le defezioni di alcune delegazioni nazionali erano state annunciate nei giorni scorsi, altre erano comunque previste. Tra i Popolari (Ppe) si sono sfilati votando in dissenso rispetto al gruppo venticinque deputati tra cui gli spagnoli e gli sloveni; altri venticinque tra i Socialisti (S&D), e tra di loro i francesi, i tedeschi e due italiani (Cecilia Strada e Marco Tarquinio). I liberali (Renew) hanno votato tutti a favore, al netto delle astensioni, mentre Verdi (Greens/Efa) e Conservatori (Ecr) si sono spaccati (con la pattuglia dei ventiquattro meloniani a sostenere il Collegio). A opporsi integralmente alla squadra di commissari sono stati, infine, i gruppi dell’estrema destra – Patrioti (PfE) e sovranisti (Esn) – e la sinistra radicale (The Left). 

Il von der Leyen bis, che entrerà dunque in carica il prossimo primo dicembre, è peraltro l’esecutivo Ue più a destra di sempre: quattordici commissari appartenenti al Ppe (inclusa la presidente), cinque liberali, quattro socialisti, tre indipendenti e uno proveniente dalle fila dell’Ecr. Il commento a caldo della presidente («Questo voto dimostra che il centro tiene», ha dichiarato ai giornalisti in una conferenza stampa congiunta con la presidente dell’Aula Roberta Metsola) richiama l’osservazione fatta martedì dal capo-padrone del Ppe, Manfred Weber, per il quale si starebbe creando nell’emiciclo un «grande centro costruttivo» che va «dai Verdi all’Ecr, verso una parte ragionevole delle forze conservatrici» e che servirà a «dare stabilità» ai lavori del Parlamento. 

Per il leader bavarese, il vero vincitore del braccio di ferro politico che sta all’origine della nascita di questa Commissione, le condizioni per collaborare con la maggioranza centrista che ha tradizionalmente governato l’Europa sono l’europeismo, il sostegno all’Ucraina e il rispetto per lo Stato di diritto: il che rende impossibile una «cooperazione strutturale» con le forze dell’estrema destra ma che apre la porta ai «pezzi sani» dei Conservatori, come appunto i Fratelli d’Italia (ma non, ad esempio, i polacchi del PiS). In effetti, più che aprirla l’ha spalancata, la porta, visto che a Raffaele Fitto è stata assegnata una vicepresidenza esecutiva nel prossimo esecutivo comunitario. Una mossa che, dopo aver mandato in tilt il processo delle audizioni parlamentari dei commissari designati, ha provocato la gran parte delle defezioni di ieri tra gli eurodeputati di centro-sinistra.

Il prezzo dell’incoronazione definitiva di von der Leyen è stato probabilmente (lo vedremo nell’avanzare della legislatura) quello della fiducia reciproca tra le forze politiche che hanno composto fin qui la cosiddetta maggioranza europeista – Popolari, Socialisti e liberali, con l’appoggio esterno degli ambientalisti – a causa del flirt del Ppe di Weber con i partiti alla propria destra.  Nel suo intervento in Aula, il capogruppo popolare ha cercato di essere conciliante con gli altri partner della coalizione, additando l’ultradestra di AfD (che in Germania sfiderà l’Unione cristiano-democratica di Cdu e Csu, di cui lui stesso fa parte, nelle elezioni anticipate del febbraio 2025) come il vero nemico dell’Europa, quell’Europa che i Conservatori vorrebbero invece «rafforzare».

Socialdemocratici e liberali aspettano le prossime mosse della Commissione per far sentire il loro peso, anche se traspare sempre più la debolezza dei primi e dei secondi, per quanto entrambi i gruppi sostengano di non aver consegnato un assegno in bianco a von der Leyen per governare con le destre radicali. «Non accetteremo il doppio gioco», ha scandito la capogruppo S&D Iratxe García Pérez, poiché «non si può costruire l’Europa con chi la vuole distruggere». Valérie Hayer, dai banchi di Renew, ha sottolineato che nell’emiciclo «ci sono due maggioranze possibili» ma che quella ribattezzata «Venezuela» (Ppe, Ecr, PfE ed Esn) e che ha già preso corpo in Aula «è contro natura».

La presidente della Commissione ha promesso che «lavorerà sempre dal centro», annunciando alcune priorità legislative del suo prossimo mandato – una «bussola della competitività» sulla scia del rapporto Draghi, la difesa europea e il sostegno all’Ucraina, ad esempio – e provando a rabbonire gli spiriti bollenti degli alleati progressisti rassicurandoli sul futuro del Green deal (che non verrà smantellato, o almeno non del tutto, anche se cambierà pelle in un «Patto verde industriale»), ma la coalizione su cui dovrà fare affidamento nei prossimi cinque anni sembra già zoppicare ancora prima di partire.

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