Mark, cosa ti ho fatto? Mark, perché non mi vuoi bene? Mark, dove ho sbagliato? Mark, è per quella volta che ho messo una foto d’un cane in un bar dicendo che faceva schifo che potessero entrare nei posti in cui si mangia e me l’avete cancellata da Instagram? Ho offeso qualche tuo figlio peloso?
Mark, lo so che voi fantastiliardari non volete bene a nessuno, al massimo ad altri fantastiliardari ai cui figli potete dare in spose le vostre figlie come i regnanti d’una volta, lo so che non te ne importa nulla di noi poco ricchi, lo so che sei Don Draper in quella scena in ascensore in cui dice a Michael Ginsberg «non ti penso proprio».
Mark, ti pare bello farmi cominciare il 2025 nello stesso modo in cui avevo cominciato il 2022? Il direttore di questo giornale mi fa notare che i miei sono i drammi della marmotta, e che già nel 2022 ero rimasta senza WhatsApp – ma quella volta non era colpa di nessuno.
Cioè, era colpo d’un mondo consumista e stolto in cui produrre telefoni che non si rompono mai ti fa fallire l’azienda, perché l’unico modo d’avere il bilancio in attivo è vendere telefoni che la gente sia costretta a cambiare ogni anno: la BlackBerry aveva chiuso, e a noialtre abbastanza sane di mente da non voler rinunciare alla tastiera, da non essere disponibili a prendere a ditate un vetro come i nostri telefoni fossero giocattoli Clementoni, a noialtre che piuttosto che l’iPhone la morte, a noialtre avevano detto che spiacenti, il sistema operativo BlackBerry avrebbe smesso di funzionare.
Io un sistema operativo neanche so cosa sia, ed è una delle poche ignoranze di cui mi vanto: quelli che hanno preferenze rispetto ai sistemi operativi li metto nello stesso faldone di disturbo mentale di quelli che hanno preferenze riguardo ai caratteri tipografici (o, come li chiamano a Milano, font). All’epoca ricordo che qualche anima pia fece balenare la speranza in forma di, appunto, sistema operativo: i BlackBerry con su Android, quelli ancora funzionavano.
Alcuni, miracolati dalla Basaglia, dissero che per carità, loro piuttosto che Android si arrendevano all’iPhone; io, che pur di non rinunciare alla tastiera mi farei andar bene anche il sistema operativo del DolceForno, comprai tutti i BlackBerry con Android che trovai sul mercato. Pensavo che i miei problemi fossero risolti per sempre. Illusa.
Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola ma neanche l’intelligenza artificiale, alla quale sono interessata persino meno che ai sistemi operativi, e che però ora mi rovinerà le giornate. Infatti, caro Mark, tu hai dichiarato che dal primo gennaio, cioè da dopodomani, su una serie di telefoni con Android, troppo vecchi perché su di essi funzioni l’intelligenza artificiale, WhatsApp non andrà più. Nella lista che hai diffuso di telefoni a termine non ci sono i BlackBerry, ma sono ragionevolmente certa che manchino perché, nel tuo mondo di fantastiliardari con tecnologie all’avanguardia, nessuno più possiede un BlackBerry: sarebbe ridondante elencarli quanto lo sarebbe specificare che WhatsApp non girerà sui Motorola degli anni Novanta (ai quali la batteria durava tre giorni, dei quali ho una nostalgia pazzeschissima).
Ma io, Mark, io esisto (vuoi forse invisibilizzarmi?) e ho un BlackBerry (ho anche una macchina per l’espresso della Illy; credo che non avere una Nespresso sia persino più impensabile che non avere un iPhone, e vorrei perciò rassicurarti: scrivo col computer, sono luddista ma fino a un certo punto, scrivo col computer e accendo l’aria condizionata già a maggio).
Ho un BlackBerry e sono, Mark, abbastanza dipendente da WhatsApp. Lo so che lì da voi in America non lo usa nessuno, che è una app da terzo mondo, ma io nel terzo mondo ci vivo, e quelli con cui comunico, loro senza WhatsApp sono perduti. Io meno, perché sono ancora una che telefona (lo so: che roba novecentesca).
Ma sono anche una che scrive per i giornali, e sai cos’hanno in comune tutti i direttori di giornale italiani, Mark? Hanno tutti, senza eccezione, dato la loro mail a: cani; porci; uffici stampa; newsletter che non aprono; raccolte punti di compagnie aeree nel frattempo fallite ma che continuano a inviarti gli auguri di Natale; disgraziati che cercano di piazzare un articolo mandandoti cento proposte a settimana; alberghi di città in cui non torneranno mai ma che continuano a ricoprirli di offerte scontate; servizi di spesa a domicilio che ricordano loro cinque volte al giorno che se fanno la spesa entro domani hanno cinque euro di sconto; giornali che ti notificano che hanno compilato una lista delle quarantadue commedie romantiche migliori di tutti i tempi e in quella lista non ci sono né “Susanna” né “Scandalo a Filadelfia”; eccetera.
Insomma, io come tutti mando gli articoli per mail, ed è come non mandarli, perché chi fa i giornali ha la stessa probabilità di vedere una mail in arrivo che ho io di non far marcire le verdure in frigo ordinandomi una pizza. Devo, come tutti, mandare un WhatsApp dicendo «ti ho mandato il pezzo su Bob Dylan»; se non lo faccio, il giorno dopo mi arriverà un WhatsApp che mi chiede «ma tu non dovevi mandare ieri il pezzo su Bob Dylan?»; se quel WhatsApp non mi viene consegnato e il mio interlocutore non vede la doppia spunta, egli non penserà che il mio Android (qualunque cosa esso sia) sia troppo vecchio, né che deve andare a cercare nei meandri della mail perché io non ho mai consegnato in ritardo ed è bizzarro cominci alla mia vegliarda età: penserà io sia morta. Vuoi far prendere un colpo ai miei direttori facendo pensar loro ch’io sia morta, Mark?
Ma poi, Mark, cosa me ne dovrei fare dell’intelligenza artificiale su WhatsApp? WhatsApp a me serve per mandare a S. articoli di comuni amiche dicendo «ma tu guarda cosa scrive questa cretina»; serve per mandare a V. vocali di sette minuti con resoconti pettegoli delle rispettive cene; serve perché alle otto di mattina io possa ricevere messaggi della classe dirigente di questo disgraziato paese che invece di fare il proprio dovere vuole sapere chi siano S. e V.; serve perché M. possa farmi invidia mandandomi la foto del panettone acciughe e mortadella che lei è andata a mangiare e io no; serve perché il parrucchiere nel cui negozio non prende il telefono ma c’è il wifi possa dirmi se ha posto o no per farmi la piega; serve per ricevere la geolocalizzazione dell’autista che m’aspetta sotto l’alluvione; serve perché il cantante che ascoltavo dalla mattina alla sera a dodici anni possa, ora che ne ho cinquantadue, rivelarsi una persona così adorabile da mandare ogni Natale un vocale d’auguri a una che ha visto tre volte in croce e farle ogni Natale pensare che, se questi auguri glieli avessero pronosticati a dodici anni, non ci avrebbe creduto mai ma proprio mai, e non solo perché a dodici anni c’erano i telefoni fissi e le segreterie a cassette.
Te lo giuro, Mark: sul mio telefono a volte gira carineria, a volte stupidità, a volte sarcasmo, a volte praticità. Ma intelligenza, quella proprio mai. Figuriamoci artificiale. Ti prego, Mark: continua a farmi funzionare WhatsApp. Oltretutto il gestore telefonico mi ha appena aumentato il costo degli sms e nessun fantastiliardario mi offre il figlio (peloso o meno) come marito: mica vorrai mandarmi in rovina?