Chigi Merchant BankL’immobilismo politico e le manovre del governo sulle banche

Meloni appare imbattibile, malgrado si presenti con il carniere vuoto di riforme, con continui errori e giochi pericolosi

(Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)

Questa fase politica è veramente noiosa, ripetitiva, inconcludente. Sembra succedere poco, e quello che succede è triste o ridicolo o tutt’e due le cose insieme. Strologare di legge elettorale è da sempre il segno che si sta ciurlando nel manico alla grande, o addirittura che qualcuno già intravede la fine della legislatura, e se poi questo è accompagnato da voci di rimpasto di governo e dagli alambicchi dell’opposizione il quadro è desolatamente completo.

A più di due anni dalla vittoria della destra, non si ricordano riforme particolari che il Parlamento abbia approvato o il governo promosso. Caso mai, dietro la coltre della noia, si assiste a interventi pericolosi come quello sulle banche dove il governo asseconda l’assalto a Mediobanca e quindi a Generali con «un ritorno a regole opache» ha scritto Alessandro Penati su Domani, grazie alle quali «Palazzo Chigi diventa la nuova banca di investimento di riferimento del paese».

Altro che riforme costituzionali! Qui il piatto piange: si registra solo il primo dei quattro sì sulla separazione delle carriere dei magistrati, una riforma importante soprattutto dal punto di vista simbolico contro la quale le barricate di un pezzo della magistratura salutate con gioia da Repubblica riportano le lancette agli anni Novanta. Quanto al premierato, dimantichiamocelo: la premier ha capito che non le serve, le basterà una legge elettorale tipo quella delle Regionali che è molto “presidenziale”: potevano pensarci prima.

In tutto questo, il Pd sembra entrato nel pallone perché (più gli elettori che i dirigenti sempre fischiettanti) roso dal dubbio di non avere una coalizione decente e di non essere credibile come perno di un’alternativa di governo: un problema politico che si pone sia con qualunque sistema elettorale. Dario Franceschini, forse non volendolo, ha squarciato questo velo d’impotenza senza peraltro fornire una chiave vincente.

Sicché Giorgia Meloni oggi come oggi appare imbattibile: il quadro politico è stabile malgrado la presidente del Consiglio si presenti con il carniere vuoto di realizzazioni e con i continui errori del governo, ultimo lo scandalo della fuga del libico Al-Masri.

Le opposizioni, sempre più divise, non riescono a scalfire il consenso del governo e questo – se si consente un paragone che in queste ore viene facile – ricorda la frustrazione degli avversari di Jannik Sinner che corrono di qua e di là ma il punto non lo fanno mai.

La «rivolta sociale» disinvoltamente evocata da Maurizio Landini non c’è stata e, malgrado l’impoverimento di una parte della società, non sembra di poter scorgere all’orizzonte grandi movimenti di opposizione, mentre la sinistra va con allegria verso un referendum sul Jobs Act che la dividerà in una consultazione destinata al fallimento.

Inutile qui sottolineare più di tanto che il quadro internazionale è per la destra incredibilmente favorevole non solo sul piano strettamente politico ma anche da quello psicologico, a livello di massa, e vedremo presto se in Germania ci sarà un successo di Afd tale da spostare a destra il probabilissimo nuovo Cancelliere Friedrich Merz.

Di fronte all’urto violento del trumpismo, l’Europa di Ursula von der Leyen balbetta e si divide imitando – sarà un caso? – la dinamica della sinistra democratica. Sia l’una che l’altra hanno di fronte due strade: o continuare a cincischiare e litigare al suo interno o provare a dare risposte nuove unendosi. A una settimana dal nuovo, fragoroso insediamento alla Casa Bianca del golpista del gennaio 2021 sembra che i progressisti abbiano imboccato la prima strada. Così che è facile prevedere che, se non si svegliano, questa noia, intervallata dagli appetiti del governo come nel caso delle banche, è destinata a continuare ancora per molto.

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