Ogni categoria di prodotto coincide in genere con un proprio lessico di riferimento, più o meno condiviso, più o meno settoriale. È un tema che spesso viene approfondito tra queste pagine, ora partendo da termini che riguardano il vino, ora il pane, ora i distillati e così via. Allo stesso modo, nascenti settori in via di espansione stanno generando nuovi linguaggi e definizioni.
In un articolo per il magazine online Punch, Rachel Sugar parla del nuovo vocabolario delle bevande analcoliche e di tutti i vocaboli che si stanno generando per descrivere sia i prodotti che la tendenza a un minor consumo di alcol. Nel farlo, l’autrice sottolinea però un aspetto, come dire, basilare: la prima definizione di cui ci sarebbe bisogno è proprio una definizione della categoria stessa. «Siamo tutti d’accordo su cosa sia una birra» scrive Sugar. «Condividiamo un’idea generale su ciò che intendiamo con “vino”. E, grazie a una severa regolamentazione, sappiamo cosa rende “Bourbon” un Bourbon. Ma la categoria delle bevande analcoliche è una frontiera in via di sviluppo». Una frontiera che per giunta, a differenza delle precedenti, non è definita per ciò che è, ma per ciò che “non è”, un po’ come i cibi senza glutine, quelli senza lattosio, senza zucchero e così via.
Ci siamo divertiti a confrontare i termini utilizzati sui mercati anglofoni con quelli utilizzati in Italia. Ecco cosa ne è uscito.
Definire gli analcolici
La prima possibilità utile ce la siamo giocata nel titolo, “analcolici”, ma niente paura, restano una serie di altri termini utili, tra anglicismi, perifrasi e piroette.
> no-alcohol/alcool/alcol. Semplice e diretto, non si nota quasi che è un anglicismo. Gli anglofoni, che sono ancora più sintetici di noi l’hanno pure abbreviato con N/A, che però forse in italiano suona un po’ troppo categorico, tipo non ammissibile, non accettabile, non applicabile, ma anche un tantino postale con quella barra, tipo c/a e c/o.
> alcohol-free. Girata in positivo, perché la libertà suona sempre meglio che un no. Tipo i negozi tax-free degli aeroporti in cui si va solo per i profumi o come quel noto brand di assorbenti. Che poi mica l’alcol era una costrizione come le tasse o il ciclo.
> zero alcol. La matematica è una scienza esatta, no? E allora non si discute.
> bevande alternative agli alcolici. Ecco una perifrasi, lunghetta, ma in effetti “alternativo” suona un po’ più figo. Succede anche con il rock che non si sa come definire. Non suona male, è un po’ come dire “è un tipo”.
> no-low (inteso come “no e low alcohol”). Questo include anche quelle bevande che contengono dell’alcol, ma poco poco. È uno di quei termini che hanno iniziato a far capolino tra le ricerche di mercato qualche anno fa.
> nolo. Suona come un quartiere gentrificato di Milano, ma è solo la versione italiana (bruttina) del termine sopra. Ma niente paura, non sarete obbligati a riconsegnare la bevanda dopo che l’avrete bevuta.
> dealcolati/dealcolizzati. I termini si trovano entrambi e ne esistono anche i corrispettivi in inglese. Fanno riferimento in maniera specifica a bevande che sono state prodotte per essere alcoliche, come il vino e in parte la birra, ma che poi sono state rilavorate tramite un procedimento tecnologico per separarne la parte alcolica. È come quando produci un paio di scarpe nuove, poi le rompi e le consumi di proposito per farle sembrare vecchie. Funziona, c’è gente che ci butta via gli stipendi. Ecco, questo nel caso dei dealcolati non dovrebbe succedere.
> mocktail. Qui si va nello specifico. Il termine è composto dalla parola mock (“imitare, fare il verso” in inglese) e cocktail e indicano, appunto, i cocktail analcolici. Non c’è niente di male a ordinarne uno, anzi, sono pure molto buoni, specialmente se creati con prodotti home made e naturali.
> soft drink. Letteralmente “bevande leggere”, un altro anglicismo e forse anche il termine più carino per indicare gli analcolici.
> proxies. “Proxy” significa “procura, delega” in inglese ed è un termine generalmente impiegato in informatica. I “wine proxies” sono una categoria di bevande analcoliche nate in Canada e poi arrivate in Europa. Vengono in genere prodotte a partire da una fermentazione (non alcolica) e attraverso varie infusioni di frutta e spezie, per raggiungere un risultato che si avvicina all’esperienza gustativa del vino, per consistenza, tannicità, aromi. Ditelo che avevate pensato fosse un nuovo tipo di orientamento sessuale.
> bevande fermentate. Il termine si spiega da sé, della categoria fanno parte kombucha e tutte quelle bevande, analcoliche o lievemente alcoliche prodotte a partire da fermentazione (per la verità pure vino, birra e sake sarebbero dei fermentati). Qui forse varrebbe la pena di soffermarsi, perché gli studi scientifici che ne rilevano i benefici per il nostro organismo ci sono.
> California sober. È uno dei termini elencati nell’articolo su Punch e significa “no alcol, sì erba”. Ci ha colpiti perché esistono diverse inquietanti alternative che con la salute hanno davvero poco a che fare, come “New York sober”, in gergo “no alcol, sì metanfetamina” o “Berlin sober”, “no alcol, sì ketamina” (che, viste le ultime derive politiche, potrebbe presto esser sostituito da “USA sober”, ma solo nell’interesse degli investitori, ehm elettori). Ecco, per smorzare un così triste sarcasmo, ci siamo divertiti a immaginare come potrebbero suonare delle alternative italiane: Veneto-sobrio (un diverso modo di tarare l’etilometro); Friuli-sobrio (diversa taratura in versione potenziata); Salvini-sobrio (tutti a casa).
> Mindful drinking. Chiudiamo in positivo, mettendo da parte l’ironia, con un’espressione che indica sì consumare bevande alcoliche, ma con misura e consapevolezza, senza aspettarsi che gli altri bevano alcolici per forza o che scolino d’un fiato il bicchiere, senza considerare l’alcol come un rito di passaggio, evitando di creare un pericolo per gli altri, scegliendo prodotti di qualità e imparando ad apprezzarli (nel rispetto di chi li produce), ma soprattutto considerare un drink una bevuta come un’altra, per stare in compagnia facendo qualcosa di piacevole, non certo per star male.