RecordingIl food porn prima del food porn, ovvero i filmini famigliari amatoriali

Da che esiste la possibilità di immortalare – prima su pellicola, oggi nelle memorie stracolme dei device – ciò che accade nelle nostre vite, i momenti legati al cibo sono stati protagonisti prediletti di riprese casalinghe (tutt’altro che private)

Teglia di pizza per tutti_Fondo Giuseppe Rizza Baiardo, 1964, Siracusa @Archivio HomeMovies

Oggi lo chiamiamo food porn, live blog, condivisione coatta di contenuti a tema enogastronomico sui social – la scrivente si costituisce tra i colpevoli. Una volta il termine era diverso: curiosità, forse, entusiasmo per il mezzo tecnico che permetteva di effettuare le riprese; volontà di costruire ricordi e marcare il proprio passaggio nella storia collettiva.

Quale che sia la definizione corretta, il risultato non cambia: foto e video a tema godereccio. Perché i momenti conviviali, che siano nuovi o antichi, ci hanno sempre attirato. Non è una questione di algoritmo, né di costumi sociali dei tempi che incontrano il brain rot: di cibo, letteralmente, non si è mai sazi, scopofilia che attiva il senso della vista per umettare quello del gusto. Ma anche, una sorta di spirito di controllo: che cosa mangeranno gli altri? Come posso fare per mangiare sempre meglio?

Si crea così un cortocircuito: ciò che sarebbe dovuto rimanere privato, il rapporto di un individuo o di un gruppo con il proprio nutrimento, diventa pubblico; il particolare si fa collettivo; e la comunità stessa si stringe di più attorno all’atto del mangiare osservato per interposta rappresentazione. Per questo, alla fine, parliamo di pornografia del cibo.

Può essere una questione di estetica, come spesso accade quando apriamo quasi per sbaglio una storia Instagram e ci troviamo invasi di colori, tagli perfetti, decorazioni very cute. La trasformazione di ogni componente della vita quotidiana in esperienza impone che l’esperienza stessa, appunto, sia condivisa così da essere certificata. Vivere le cose solo per sé è un controsenso. Su questa onda cavalcano franchising, marchi, idee di ristorazione a tempo, generalmente di scarsa qualità, che puntano all’eccesso o all’effetto-wow senza sbozzare la sostanza. Condividere il proprio pasto vuole quasi significare: sì, ho mangiato, sto bene, ecco qua. Oppure: guarda che acquolina!

Equazione che non viene scardinata nemmeno da chi, con ironia consapevole, piega il codice comunicativo e lo declina attraverso foto brutte, piatti poco appetitosi, luci flashate male, cene da “sfigati” a base di stracchino e crespelle pronte del super: la famosa cosa che fa il giro, e si posiziona alla testa del cool.

C’è anche un’altra modalità, però, con cui pubblico e privato si miscelano attraverso la presenza della tavola. Ce ne danno dimostrazione gli oltre cinquecento filmati contenuti nella sezione “Cibo” di Memoryscapes – Il cinema privato online, la piattaforma digitale di accesso libero alla collezione dell’archivio di Fondazione Home Movies Archivio nazionale del film di famiglia di Bologna, dove gli estratti sono resi visibili su base geografica, cronologica e tematica. La sezione è frutto del lavoro su oltre 150 fondi filmici conservati a digitalizzati, e i girati vanno dagli anni Venti agli anni Ottanta del secolo scorso.

Dal forno alla valle, Fondo Don Vitalini, Sondrio @Archivio HomeMovies

Da Nord a Sud, da Est a Ovest, anche se a farla da padrona è, verrebbe da dire naturalmente, l’Emilia-Romagna, terra non solo della Fondazione ma anche dell’usanza al buon bere e al ben mangiare (oltre 160 entrate lungo la via Emilia e verso la foce del Po). Allora vediamo una giornata di gnocco fritto in spiaggia (fondo Franco Cigarini, Cesenatico, 1969), un Ferragosto a Rimini al girarrosto (fondo Adele Mussoni, Rimini, 1961), ma anche la “gnoccata” in piazza a Guastalla, nel reggiano (fondo Villiam Pedrazzi, Reggio Emilia, 1965), mentre sempre da Reggo Emilia fanno parte del fondo Franco Cigarini alcune sequenze girate nella bottega di un fornaio, dietro le quinte e davanti al bancone durante la vendita.

Spostandosi lungo il Paese si incontreranno invece montagne di cannoli siciliani affrontati in vere abbuffate (fondo Salvatore Stella, Trapani), latte caldo appena munto (fondo Antonio Odorizzi, Belluno, 1969), un picnic di carne in montagna tra griglia e solleone (fondo Famiglia Cassoli, San Cassiano, 1970). E poi alcune scene dall’estero, con “Grandma Makes Sausage X-Mass” per esempio, dove la madre del cineamatore compie gesti artigiani sull’altra sponda dell’Atlantico (il fondo è quello di Giuseppe Natoli, Brooklyn, 1950).

Si potrebbe continuare a lungo. Il metodo consigliato per l’esplorazione del catalogo: la passeggiata psicogeografica, che ci si voglia far consigliare dalle parole-chiave associate a ogni clip o lasciarsi guidare dall’istinto e procedere per titoli e immagini – si potrebbero così raggiungere alcuni mezzi sceneggiati come “La mangiata di Sara”, dove una bambina viene ripresa alzarsi da una tavola lautamente imbandita.

Non è un caso, al netto della “sceneggiatura” presente nel girato: non siamo nel Neorealismo, al massimo nel cinema-verità. E tutti i filmati di Memoryscapes parlano di abbondanza, mai di penuria. È, a tutti gli effetti, un documentario. Che condivide un certo spirito con i tempi in cui è stato prodotto (la maggior parte dei video risale a dopo la Seconda Guerra Mondiale): non abbiamo voglia di pensare, vogliamo mangiare una porzione di dolce in più.

Il che non dev’essere per forza visto sotto una luce negativa. Anzi, ritorna da dove siamo partiti: quando c’è cibo, c’è felicità. Non condivideremmo su Instagram il ricordo di un pasto di cui non siamo stati soddisfatti (tendenzialmente), certo. Ma anche al netto di questo nel cibo (cucinato almeno mediocremente) risiede un principio di euforia. D’altronde, è una delle componenti che ci tengono in piedi. Che sia buono, divertente, interessante almeno.

Alla Vucciria, Nicola Schicci, 8mm, 1963, @Archivio HomeMovies

La domanda allora cambia, e patisce la diacronia che distingue i due momenti storici. Se nel presente sappiamo, intuitivamente o per certezza, la motivazione dietro cui chiunque potrebbe condividere focaccia e taleggio bruciati o, dall’altro lato, una cena stellata, fare il giro inverso risulta più difficile. Ovvero: perché i momenti conviviali di Memoryscapes sono stati ripresi?

Forse perché, citando il cantante portoricano Bad Bunny, non si sono mai fatte troppe foto, e finché hai il momento, e le persone, approfittane per catturarli. Forse perché oggi la spettacolarizzazione sarà anche pubblica, e collettiva, ma una volta lo show era già solo avere per le mani la possibilità tecnica della ripresa. O forse perché, alla fine, è vero che di cibo siamo malati, ossessionati. Lungo il corso della commedia umana si inciampa più volte in un desco imbandito.

O in un paio di mani che stringono il trito di maiale nel budello per farne salsiccia. Nella preparazione di un ragù casalingo. E poi nelle retrovie dell’Hotel American di Bellaria all’inizio degli ani Sessanta, dove si assemblano le lasagne.

Qualsiasi cosa succeda, fateci essere sempre accompagnati dal cibo, e non ci sarà scusa per non ricordarsi di quel momento.

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