Se permettete partiamo dal 1999, che è un altro secolo ma forse anche un altro pianeta. Ai Grammy del 1999 le candidature a disco dell’anno erano tutte per cantanti femmine, e poiché era un altro tutto – secolo, pianeta, ordine mondiale – le donne candidate potevano avere il sospetto di aver fatto davvero dei gran dischi, invece che la certezza che qualcuno avesse detto «per carità candidiamo una donna sennò chi le sente».
“Ray of light” non vinse come miglior album, sebbene sia il miglior disco che Madonna abbia mai fatto – sì, vi sento: vi sento, coetanee che protestate che nessun album di Madonna vale quanto “True blue”, e ci sono due ragioni per cui non dovreste fare quest’obiezione.
La prima ve la dico dopo, ma la seconda ragione è che “Ray of light” è un disco così stratosferico che ce ne accorgemmo sebbene fosse uscito quando avevamo ventisei anni, ovvero molto dopo l’età in cui si smette di accorgersi dei dischi (sto parlando del secolo scorso, non di ora che i quaranta sono i nuovi quindici – ma anche a questo arriviamo dopo).
Vinse “The miseducation of Lauryn Hill”, che se ci prendessimo il disturbo di risentirlo sarebbe ancora pazzesco, e come miglior canzone vinse quella di “Titanic” e insomma a volte il presentismo è così pervasivo che è inutile protestare. Madonna vinse nella sottocategoria del miglior disco pop vocal, che non so cosa voglia dire e neppure importa. Perché quel che importa, come a ogni premiazione, sono i vestiti.
Quel che importa è che la quarantenne Madonna sale sul palco e fa quella cosa che lì per lì sembra facile e poi i decenni passano e si scopre che le altre non la sanno fare: stare sullo scivolosissimo confine tra l’essere una signora e l’essere una baraccona. Essere abbastanza travestita da non smettere un istante d’essere massima icona gay, ed essere abbastanza ben vestita da farci sospirare invidia.
A parte le volte in cui opta per il travestimento tout court (la sposa che canta “Like a virgin”, Maria Antonietta che canta “Vogue”, Marilyn Monroe che canta “Material girl”), Madonna ha sempre saputo fare quella roba lì, probabilmente perché tra i suoi molti talenti spicca quello di sapere che i vestiti sono un linguaggio.
Cosa ci dice, Beyoncé conciata com’era conciata ieri sera? Beyoncé quarantatreenne, ventidue anni dopo il suo disco di forse maggior successo, addobbata come una tamarra che sia uscita da una settimana da un reality di mogli arricchite senz’aver avuto il tempo e i mezzi culturali per imparare a vestirsi, cosa ci dice?
«Tutto il denaro del mondo può comprarmi aerei privati e brillocchi e magioni ma non uno straccio di gusto»? «Vivo nel secolo in cui il pubblico si inibisce se ti percepisce migliore e quindi mi concio da tamarra esattamente come farebbe la mia ascoltatrice tipo coi miei mezzi a disposizione»? Cosa ci dice?
Quello che ha detto a me è: corri a rivedere tutte le esibizioni televisive di Madonna in tutte le serate di premi degli ultimi quarant’anni – e di ciò mi rammarico, perché c’è un altro problema, plasticamente rappresentato proprio da quel Grammy del 1999, quello consegnato a Madonna da Jerry Seinfeld e Jennifer Lopez, due che in quegli anni erano al picco della loro fama ma non è che il picco sia in questi ventisei anni granché calato, essendo venuta meno la produzione di quel bene di prima necessità che è lo star system.
Se permettete cominciamo dal liceo, quando io ascoltavo tantissimo i Doors, la radio ogni tanto passava gli Eagles, dal bagno di mia madre ogni tanto si sentiva Battisti. Ma erano la ciliegina: la torta era il presente. Erano gli anni Ottanta: eravamo pieni di musica vivente. Adesso, a Sanremo ci sono i Duran Duran che ascoltavo alle medie, e il superospite che i migliori inviati si accingono a santificare è Jovanotti, per cui i migliori inviati (a volte gli stessi) inorridivano al Sanremo dell’89, e i social sono pieni di dibattiti sull’annuncio d’un prossimo disco politico di una che pure ascoltavo alle medie (sempre Madonna), e per quanto i miei coetanei siano determinati ad ascoltare la roba nuova che piace ai figli non c’è una canzone una che sia moschicida quanto lo era “Like a prayer”. Da quando andavo a scuola io son passati quarant’anni: è come se in quegli anni il talk of the town fosse stata la musica di quarant’anni prima, ovvero il Quartetto Cetra.
Se permettete cominciamo dalla settimana scorsa, da un articolo in cui raccontavo d’un cinquantenne che sul Washington Post si struggeva perché i R.E.M. non tornano a cantare. È stato un articolo istruttivo: ho scoperto che i miei amici sono assai più stupidi del previsto. Ci fosse stato uno che abbia capito il punto del mio pezzo: ho passato giorni a ricevere rimostranze divise nei due faldoni «i R.E.M. per la nostra generazione sono stati fondamentali non ti permettereeee» e «come hai potuto paragonare i R.E.M. ai Beatles non ti permettereeee».
Il punto, lo esplicito perché ho evidentemente sopravvalutato il mio lettorato, non è quanto valgano i R.E.M. e quanto i Beatles. Certo, mi fa un po’ ridere che un mio coetaneo ritenga formativi i R.E.M.: Michael Jackson è stato formativo, gli Spandau Ballet sono stati formativi, Claudio Baglioni è stato formativo – i R.E.M. sono arrivati che era già tutto formato.
Il punto è che un adulto ridotto a dire «i R.E.M. sì che sapevano fare canzoni» o «Madonna sì che sapeva vestirsi» è un adulto sconfitto. Il pop è delle diciassettenni, e questa è la ragione per cui non si dovrebbe difendere la reputazione del gruppo che andava quando secoli fa eravamo giovani, o bisticciare su quale sia il più bel disco di Madonna: perché siamo il corrispondente dell’adulto riluttante che nel secolo scorso comprava la decappottabile e scappava con la segretaria.
Certo, non si può neanche essere Azealia Banks, che l’internet mi dice essere una rapper trentatreenne la quale domenica sera, con trentacinque anni di ritardo, ha scoperto che nel video di “Like a prayer” c’erano dei crocifissi in fiamme (inserite qui il vostro «eh ma non era nata, come fa a saperlo»), e se n’è indignata perché chiaramente Madonna è del Ku Klux Klan (la fantasia di qualsivoglia autore, nell’inventare una trentenne che nun sape mai nu cazz’, è in questo secolo sconfitta dalla realtà).
Qualcosina del passato bisogna sapere, per non fare la fine di Azealia, ma il pop è delle diciassettenni, che ieri osservavo piangere sui social perché avrebbe proprio dovuto vincere Billie Eilish, che non so chi sia ma posso sempre scoprirlo tra trentacinque anni. È il suo anno, spiegavano, un po’ come il 2019 sarebbe dovuto essere quello di Ariana, anche lei derubata. Erano dispiaciute della vittoria di Beyoncé perché hanno l’età per avere dei poster in cameretta, mica perché ventisei anni fa, quando il pop aveva un presente, Madonna divinissima aveva preso per il culo William Orbit, e l’altra sera, ora che il pop ha solo un passato, Beyoncé tamarrissima ha ringraziato dio. Ora che il pop ha solo un passato, e la memoria non ha un futuro.