«E chi non ama faticare scopre la bici elettrica», titolava nel luglio 1998 un box sul quotidiano La Stampa presentando ai lettori quello che all’epoca veniva definito un «mezzo singolare nato per “aiutare” il ciclista». Va detto che il trafiletto faceva parte dello Speciale Motori e, a parte la «soddisfazione ecologica» e la possibilità di fare attività fisica «senza grandi sforzi», si evidenziavano soprattutto i vantaggi rispetto al ciclomotore: stesse potenzialità d’uso, meno vincoli burocratici (ovvero: niente targa, bollo, assicurazione e obbligo di casco).
Sono passati quasi trent’anni e, con le e-bike che oggi rappresentano circa il venticinque per cento delle vendite totali di bici in Italia, possiamo dire che l’innovazione ha effettivamente trovato un suo mercato. Sarà il tempo a dire se lo stesso accadrà a una novità ben più recente, ma concettualmente simile: gli sci elettrici.
Come funzionano gli sci elettrici
La tecnologia, chiamata E-Skimo, è stata ideata e presentata per la prima volta da E-Outdoor, azienda svizzera con la mission di rendere gli sport invernali più sostenibili e accessibili. L’ispirazione per questa innovazione è arrivata proprio dalle e-bike. Come la bici elettrica può contare sulla spinta di un motore alimentato da batteria per assistere la pedalata, così gli e-ski sono dotati di un sistema di cingoli avanzato e di un pacco batteria leggero che sostengono il movimento dello scialpinista, riducendo lo sforzo e rendendo la salita più efficiente.
Chi pratica scialpinismo si sposta e sale di quota sulla neve utilizzando le pelli. Queste lunghe strisce in lana mohair e/o materiale sintetico hanno un lato adesivo che va fissato alla soletta dello sci e garantiscono la trazione e l’aderenza necessarie a muoversi in salita senza scivolare all’indietro. Quando è il momento di scendere, le pelli si tolgono e si rimettono nello zaino, pronte a essere riutilizzate.
E-Skimo apparentemente si applica e si rimuove rapidamente in modo simile a quanto accade con le pelli, ma a differenza di queste ultime «è dotato di un sistema di attivazione automatica smart alimentato da sensori avanzati e di una piattaforma inerziale a sei assi», si legge sul sito dell’azienda svizzera. La tecnologia «attiva in modo intuitivo i motori durante la salita, dandoti la spinta di cui hai bisogno quando conta di più».
Secondo E-Outdoor, la tecnologia permetterebbe di salire fino all’ottanta per cento più velocemente, con il trenta per cento in meno di sforzo muscolare e aumentando fino a quattro volte il dislivello coperto in un’ora. La sensoristica avanzata rileva il movimento e fa sì che i motori si arrestino automaticamente se, ad esempio, lo scialpinista cade o si ferma. Così come nelle bici elettriche il motore si attiva solo quando l’utente pedala, anche in questo caso non dobbiamo immaginare degli sci cingolati che avanzano indipendentemente dal movimento dello scialpinista. La batteria al litio da duecentoventi wattora con una sola ricarica dovrebbe garantire circa tre ore di utilizzo, ma la durata effettiva potrebbe variare in base a condizioni della neve e altri fattori.
Gli sci elettrici sono il futuro?
Al momento E-Outdoor non prevede di vendere il dispositivo direttamente ai consumatori, ma ha scelto invece di lavorare in partnership con realtà del settore interessate a integrare la tecnologia in alcuni dei propri prodotti. A novembre 2024 l’azienda svizzera ha annunciato la collaborazione in corso con lo Ski Excellence Center del gruppo Tecnica che, fondato nel 1960, è un punto di riferimento nel campo delle attrezzature sportive e include marchi come Nordica e Blizzard. La collaborazione, ha fatto sapere E-Outdoor, «è stata dedicata allo sviluppo del primo sci progettato specificamente per integrare il dispositivo E-Skimo».
Sentiremo ancora parlare degli sci elettrici, insomma, ma è presto per dire se la «sciata assistita» riuscirà davvero a trovare un mercato. A beneficiarne sarebbero soprattutto gli scialpinisti con minore capacità fisica, che vogliono contenere la fatica della salita o che, per qualunque ragione, non vogliono o non possono allenarsi. È una prospettiva interessante che però, come è facile immaginare, ha suscitato molte perplessità. Come accaduto di recente con l’idea dei “pantaloni da trekking potenziati” immaginati dal brand Arc’teryx e dalla startup Skip, molte critiche sembrano muovere da una premessa comune: la montagna va conquistata e deve necessariamente richiedere fatica. A tutti, senza sconti.
È un’idea che affonda forse le sue radici in un certo modo di intendere l’alpinismo e più in generale la frequentazione dell’alta quota, che viene ammantata di eroismo, purismo e nobiltà. «La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo. Se praticata in un certo modo è una scuola indubbiamente dura, a volte anche crudele, però sincera come non accade sempre nel quotidiano», ha detto l’alpinista Walter Bonatti, ed è una delle sue frasi più celebri e citate.
In tanti vivono la montagna con un approccio che pare mutuato da questa visione: una palestra di vita in cui mettere alla prova sé stessi e i propri limiti e in cui gli obiettivi – la soddisfazione di raggiungere la vetta, il piacere della discesa su un pendio immacolato dopo una salita con le pelli – non possono non costare fatica, determinazione, pazienza, rispetto, sacrificio. Fa parte del gioco, ma è evidentemente un prezzo che non tutti possono o sono interessanti a pagare.
È una visione condivisibile, ma non è l’unica né, credo, si può avere la presunzione di imporla a chiunque. Nei vari modi di approcciare la montagna, c’è anche chi la frequenta saltuariamente “solo” per il desiderio di passare del tempo all’aria aperta, di godere di un bel paesaggio o magari di fare occasionalmente un’attività fisica diversa dal solito. Non credo che un approccio tolga qualcosa all’altro, detto che alla base dovrebbe comunque esserci sempre un’adeguata consapevolezza: bisogna sapere in che ambiente ci si trova e come frequentarlo riducendo i rischi e nel rispetto dell’ecosistema.
Analogamente, non credo che fare scialpinismo con gli sci elettrici toglierà valore, piacere o soddisfazione a chi sceglierà di continuare a fare scialpinismo sostenuto solo dalle proprie gambe. Lo dice anche l’attivista e scialpinista Giovanni Ludovico Montagnani, intervistato sul tema degli sci elettrici da L’AltraMontagna: «Prendere una scorciatoia che riguarda solo noi non toglie niente agli altri».
Sicurezza e rischio valanghe: gli aspetti da considerare
Altre perplessità legate all’eventuale avvento degli e-ski riguardano la sicurezza. Nella primavera 2023, in un post su Facebook, il Soccorso Alpino e Speleologico Lombardia – CNSAS scriveva che «la montagna è di tutti, anche se non è per tutti: se un tempo ci si avvicinava con rispetto, accompagnati dagli esperti, dalle guide alpine o attraverso il Cai, un passo alla volta, adesso sembra esserci la tendenza a considerare tutto facile e immediato, magari perché si vede la foto di una bella escursione dell’amico sui social e si vuole ripetere l’esperienza, senza che però ci siano i presupposti per affrontarla in sicurezza».
Seguono i dati sugli interventi nel territorio gestito dalla XIX Delegazione Lariana, che evidenziano un aumento costante dal 2018 (335 interventi in un anno) al 2022 (433). «Molti (interventi, ndr) sono dovuti alla mancata conoscenza dei posti, a una percezione delle proprie capacità non corretta e alla scarsa attenzione verso le indicazioni di base per organizzare un percorso».
Dato che viene svolto soprattutto fuoripista, lo scialpinismo espone chi lo pratica al pericolo di valanghe. Si tratta anche per questo di una disciplina alla quale ci si dovrebbe approcciare dopo un corso, in compagnia di una guida esperta o comunque dopo aver acquisito le competenze salvavita necessarie, che vanno dalla comprensione del terreno alpino alla capacità di valutazione del rischio.
L’avvento degli sci elettrici aumenterebbe il numero di scialpinisti impreparati e, quindi, di incidenti? È possibile. È un fenomeno studiato in sociologia: quando cresce il numero di persone che pratica un’attività, cresce anche la probabilità che vi siano partecipanti con livelli di competenze e attenzione diversi, dunque anche molto bassi. Questo tendenzialmente comporta un aumento del numero assoluto di incidenti, ma non necessariamente un aumento relativo percentuale.
Se in un dato sport con cento praticanti abbiamo un’incidenza di incidenti del cinque per cento, passando da cento a mille praticanti non è detto che questa percentuale cambi, anche se il numero assoluto di incidenti più alto potrebbe dare un’impressione errata. Nel caso dello scialpinismo resta comunque molto difficile fare previsioni su questo fronte, perché ci sono tante variabili complesse in gioco.
Prima di tutto, si tratta di uno sport che ha un rischio intrinseco più alto di altri. In secondo luogo, l’incidente in valanga non equivale a un infortunio individuale, ma può potenzialmente coinvolgere un numero maggiore di persone (specialmente se immaginiamo una massificazione della disciplina e, quindi, un aumento delle persone presenti sul pendio al momento del distacco).
In terzo luogo, è difficile prevedere quanto un’innovazione come l’e-ski potrebbe effettivamente aumentare il numero di scialpinisti alle prime armi, almeno sul breve periodo. Va anche detto, però, che conosciamo bene i rischi dello scialpinismo e che abbiamo numerosi strumenti e canali efficaci (online e offline) per fare sensibilizzazione e informazione, anche rivolgendoci in modo specifico ai neofiti.
Sci elettrici e impatto ambientale
C’è un ultimo fattore entrato nel dibattito intorno agli sci elettrici, evidenziato da chi è aperto alla possibilità di questa innovazione: l’impatto ambientale. È sempre Montagnani a sottolinearlo nella sua intervista: lo scialpinismo, con gli e-ski o con le pelli, si pratica indipendentemente dalle infrastrutture di risalita, come funivie e seggiovie. Una maggiore accessibilità allo scialpinismo potrebbe quindi rappresentare un disincentivo a nuovi progetti di ampliamento dei comprensori sciistici, il cui costo economico e ambientale è notoriamente elevato.
La prospettiva è attraente, ma ancora poco concreta: probabilmente si tratterebbe di un reale disincentivo solo a fronte di grandi numeri che, oggi, non ci sono. Sebbene l’interesse nei confronti dello scialpinismo sia più che triplicato in Italia dal 2010 al 2023, il tradizionale sci alpino – cioè lo sci da discesa che si pratica sulle piste con gli impianti di risalita – continua a essere la disciplina prevalente, coprendo il sessanta per cento della quota di mercato nazionale.
È possibile che lo scialpinismo continui a crescere negli anni, e ciò potrebbe avvenire in modo più significativo se questo sport verrà percepito e raccontato come una possibilità per garantire un futuro diverso alla pratica sciistica. Con la crisi climatica si sta alzando la quota della neve naturale, mentre l’innevamento artificiale delle piste potrebbe diventare sempre più difficile per via delle frequenti crisi idriche: a fronte di questa situazione, allora, lo scialpinismo potrebbe confermarsi un modo più sostenibile per continuare a sciare andando a cercare la neve anche al di sopra degli impianti o al di là delle piste.