In questi giorni si è fatta chiarezza: Facebook è sì un Social, ma soprattutto è un’azienda che fa profitti con la vendita pubblicitaria e dei dati digitali degli utenti. Speriamo che il dibattito scatenatosi post Cambridge Analytica, con la messa in discussione dei modelli di business basati su false e positive percezioni, non sia un fuoco di paglia.
Facebook è sì un Social, ma soprattutto è un’azienda che fa profitti con la vendita pubblicitaria e dei dati digitali degli utenti …ci stiamo giocando la possibilità – e la capacità – del singolo utente (cliente?) di negoziare la propria posizione nei confronti delle aziende pubblicitarie
Il tema non è proprio proprio secondario: ci stiamo giocando la possibilità – e la capacità – del singolo utente (cliente?) di negoziare la propria posizione nei confronti delle aziende pubblicitarie e quindi dei social media, possibilità che, perdonatemi è oggi pari a zero. Banale? Provocatorio? Può essere, ma almeno parliamone.
E allora torna il mio mondo per sostenere che la verità è che oggi stiamo, tutti, navigando un po’ a vista su questi temi, sia in ambito di analisi filosofica-sociologica che economica. La complessità liquida è oggi la normalità. Per carità, mille le ragioni. Però tutto questo non fa che aumentare in me la consapevolezza della necessità imperante di aver sempre buone bussole a cui guardare. E allora penso alla storia della Cooperazione, al suo esserci, da protagonista, soprattutto in epoche di transizione sociale.
Guardo a Giuseppe Guerini Presidente di Federsolidarietà e a Vanni Rinaldi responsabile innovazione di Legacoop. Stesso ambito, sguardi diversi, che però su questi temi, arrivano a conclusioni se non uguali, molto simili. Non volendo rifiutare la tecnologia – #deletefb come scrive Rinaldi – e neppure cedere al laissez-faire, il modello cooperativo trova una rinnovata identità. “Dobbiamo immaginare una capacità di mediazione sul mercato tra noi e i grandi network digitali che tenda ad equilibrare l’evidente asimmetria”, invoca Rinaldi dalle pagine del Sole 24 Ore richiamando un “antico ma sempre moderno strumento che su tutti i mercati del mondo consente a oltre 1 miliardo di persone di coniugare un ideale di giustizia distributiva, che tiene insieme equità ed efficienza, ma nella prospettiva generale della tutela degli interessi del contraente più debole: la piattaforma cooperativa”.
“Dobbiamo immaginare una capacità di mediazione sul mercato tra noi e i grandi network digitali che tenda ad equilibrare l’evidente asimmetria”… “antico ma sempre moderno strumento che su tutti i mercati del mondo consente a oltre 1 miliardo di persone di coniugare un ideale di giustizia distributiva, che tiene insieme equità ed efficienza, ma nella prospettiva generale della tutela degli interessi del contraente più debole: la piattaforma cooperativa”. Vanni Rinaldi
Arriva alla stessa conclusione Guerini. Analizzando la situazione Foodora, si chiede in un articolo pubblicato su Vita.it: “Si può utilizzare la tecnologia per una reale e autentica sharing economy di natura mutualistica? Il movimento del Platform Cooperativism si sta sviluppando intorno a questa idea. Mutualizzare le piattaforme”. Il che “significa ribaltare lo schema: in una piattaforma cooperativa, i rider diventano soci, acquistano la piattaforma, dirigono gli sviluppatori, e governano, con voto democratico pro capite, sia il management sia gli algoritmi che servono ad ottimizzare la gestione. Non sarebbero più sostituibili, perché la crescita professionale individuale – come gestori della piattaforma – li renderebbe unici e vitali per l’organizzazione stessa. Per il principio di autoconservazione, una piattaforma cooperativa non punterebbe sull’asta al ribasso per le prestazioni dei porta-pizze”. Questo diventa “un cambio di paradigma, un ribaltamento dell’approccio al lavoro” con una serie di vantaggi in termini contrattualistici e superando gli scogli della conflittualità.
“Si può utilizzare la tecnologia per una reale e autentica sharing economy di natura mutualistica? Il movimento del Platform Cooperativism si sta sviluppando intorno a questa idea. Mutualizzare le piattaforme”…“significa ribaltare lo schema: in una piattaforma cooperativa, i rider diventano soci, acquistano la piattaforma, dirigono gli sviluppatori, e governano, con voto democratico pro capite, sia il management sia gli algoritmi che servono ad ottimizzare la gestione. Non sarebbero più sostituibili, perché la crescita professionale individuale – come gestori della piattaforma – li renderebbe unici e vitali per l’organizzazione stessa. Giuseppe Guerini
Quindi? Quindi tecnologia e cooperazione non sono ossimori, anzi. Perché le idee (quelle buone) non invecchiano, ma anzi possono diventare business model per il domani.
Bene. Non sono l’unico a sostenere che la cooperazione ancora oggi rappresenti una risposta alle più moderne esigenze della iper-velocità digitale. Sono passati anni, decenni, in casi come la mia Bcc anche più di un secolo, ma la cooperazione non è invecchiata. Sono cambiate le regole, il contesto e i players, ma oggi può ancora essere un modello, un baluardo del singolo nei confronti di chi, quel singolo, non lo prende minimamente in considerazione.
Dici poco?