Alla vigilia del vertice di Londra del 3 e 4 dicembre, l’ombrello geopolitico della Nato vacilla. La spallata la dà il presidente francese Emmanuel Macron, che rilancia la proposta di un esercito europeo alternativo al sistema difensivo transatlantico. La Germania nicchia, l’Italia non si schiera. Le divergenze strategiche sono profonde e riguardano il disimpegno militare degli Stati Uniti, il ruolo dell’Europa, il rapporto con Mosca, la posizione ambigua della Turchia di Erdogan, membro chiave dell’Alleanza Atlantica.
Morire per Ankara? Che fine farebbe l’articolo 5 dell’Alleanza Atlantica se la Siria attaccasse la Turchia, in risposta all’offensiva delle truppe di Erdogan, di cui Vladimir Putin si è fatto garante strategico e militare? Lo strappo è tanto più inquietante in quanto la Turchia fa parte della Nato e il suo esercito è il secondo per consistenza dopo quello degli Stati Uniti. L’azione congiunta di Putin e di Erdogan, il battitore libero della Nato, apre una serie di fronti conflittuali non solo in Medio Oriente, luogo naturale per la politica “neo-ottomana” di Ankara, ma anche nei confronti dell’Europa, con il continuo ricatto dei profughi.
Che la politica aggressiva di Erdogan metta in discussione la partecipazione della Turchia alla Nato se ne sono accorti da tempo i comandi militari transatlantici. Ora, a poche settimane dal summit dell’Alleanza di dicembre a Londra, il presidente francese Emmanuel Macron in una lunga intervista all’Economist sferra un attacco frontale alla Nato e lancia la proposta di costituzione di un esercito europeo. “Stiamo vivendo la morte cerebrale della Nato: non c’è alcun coordinamento del processo decisionale strategico tra gli Stati Uniti e i suoi alleati. C’è un’azione aggressiva non coordinata da parte di un altro alleato della Nato, la Turchia, in un’area in cui sono in gioco i nostri interessi”.
È fuor di dubbio l’interesse nazionale francese in questa proposta, con la chiara prospettiva di una Francia rimasta all’interno dell’Ue, dopo l’uscita del Regno Unito, l’unica potenza nucleare e membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Un’Europa autonoma a guida francese: è questo l’obiettivo di Macron che rischia di aprire la frattura con la Germania, per nulla intenzionata – come da lunga tradizione – a rompere il ponte con gli Stati Uniti e a indebolire la Nato. Una proposta in linea con le posizioni storiche francesi, a partire da De Gaulle, che nel 1966 in nome della Grandeur francese e sulle ali dell’acquisita force de frappe traghettò il suo paese fuori dall’Alleanza Atlantica. Dalla Grandeur di De Gaulle a quella di Macron: con l’uscita del Regno Unito e le mani legate di Berlino sull’atomica, a guidare effettivamente la politica estera e di difesa europea resterà la Francia, l’unica potenza europea vincitrice della seconda guerra mondiale. Magari con una compartecipazione al comando della Germania, mantenendo così la diarchia franco-tedesca, ma questa volta con Parigi nel ruolo principale.
Secca la reazione di Angela Merkel e del segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg. Fedele al suo tradizionale atlantismo, la Germania per il momento non sembra disposta a seguire l’Eliseo in un progetto di Difesa europea come alternativa alla Nato. E la divergenza strategica fra Parigi e Berlino resta profonda. C’è disaccordo sul ruolo futuro degli Stati Uniti in Europa, sull’entità delle risorse destinate alla difesa e alla sicurezza, così come sul rapporto con la Russia. In ballo c’è anche la richiesta della Germania di accedere a un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, richiesta tiepidamente sostenuta da Macron nel trattato di cooperazione franco-tedesca di Aquisgrana, firmato il 22 gennaio scorso, che prevede fra l’altro la creazione di un consiglio di difesa comune, l’accordo su politiche di difesa, maggiore integrazione economica e a livello intergovernativo.
L’Italia, media potenza con impotenza geopolitica globale, eterno pendolo in oscillazione costante fra posizioni atlantiste ed europeiste, per il momento non si schiera e cerca così di proteggere il fatturato della propria industria bellica. Opache parole di circostanza sulla necessità di “riannodare le fila del dialogo transatlantico” e sulla convinzione che “la Nato per noi resta un pilastro indiscusso della politica internazionale”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, con l’attuale esecutivo preoccupato soprattutto di non perdere i pochi contratti oggi in essere per la fornitura di tecnologia militare con paesi terzi, come dimostra il recente inserimento nel decreto fiscale della norma sul “government to government”, già prevista dall’industria bellica nazionale di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti.
Gli Usa, dal canto loro, si defilano sempre di più dal capezzale della Nato, definita “obsoleta” da Trump già nel 2016. Le divergenze fra l’Europa e gli Stati Uniti non si riferiscono solo ad aspetti materiali di comandi delle forze e di entità di bilanci militari, ma investono anche concezioni strategiche di lunga durata. Fedele al suo sovranismo a stelle e strisce, il presidente statunitense cede il terreno anche sullo scacchiere europeo e nega l’ombrello di Washington sul Vecchio Continente. Di fronte a sfide geopolitiche sempre più complesse, l’Unione Europea si scopre vulnerabile a Est, proprio nel momento in cui viene a mancare il paracadute americano in un mondo in pieno disordine. Ancora una volta per Macron, il disimpegno degli Stati Uniti che “ci voltano le spalle sulla scena internazionale costringe gli europei a rivalutare la realtà dell’Alleanza Atlantica oggi”. Di fronte a “un presidente americano che non condivide l’idea di un progetto europeo” è necessario, secondo l’inquilino dell’Eliseo, “prendere coscienza di questa realtà” e “ritrovare la sovranità militare europea, aprendo un dialogo strategico con la Russia”.
È evidente come il ritiro americano dal Nord della Siria, concordato con il presidente turco Erdogan, ma non con gli altri alleati Nato, ha avuto due effetti devastanti: ha permesso alla Russia di Putin di diventare il vero arbitro della partita che si gioca sull’intero scacchiere mediorientale e ha aperto una profonda frattura all’interno dell’Alleanza Atlantica. La crisi turco-siriana ha dato il colpo di grazia alla credibilità dell’intero sistema difensivo transatlantico, con i leader europei in ordine sparso, attenti a non alzare troppo i toni con Erdogan sotto la minaccia di milioni di immigrati verso l’Europa.
Il 3 e 4 dicembre a Londra si porrà quindi con forza la questione del ruolo che l’Unione Europea intende giocare in tema di sicurezza e di difesa nel Vecchio Continente, con le suggestioni isolazioniste di un presidente americano all’angolo per l’impeachment legato al caso Ucraina e un Regno Unito appiattito su posizioni atlantiste in politica estera. Che gli europei comincino a dedicare più risorse alla propria sicurezza e, sulla base di questo maggiore impegno, pretendere un ruolo più rilevante nell’Alleanza è un’esigenza segnalata da più parti, sulle due sponde del sistema difensivo. Altra cosa è una rivisitazione in chiave attuale degli anatemi di De Gaulle e la pretesa che sia la Francia a giocare la carta dell’unica potenza continentale, coerente, se non egemone, con la disponibilità del suo arsenale nucleare.
Per il momento la crisi attuale rende l’Atlantico più largo e offusca la consapevolezza che la Nato sia destinata, almeno nel medio periodo, a restare l’unica organizzazione politico-militare in grado di garantire la sicurezza e la difesa europea.
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