Strani giorniLa fase 2 di chi ignora com’è fatta l’Italia del 2020

Al Bello/Getty Images/AFP

Diverse solo le criticità che presenta la cosiddetta fase 2, presentata ieri dal presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. Una conferenza stampa che lascia l’amaro in bocca per diverse ragioni. Non sono di quelli che credeva che il 4 maggio si sarebbe ripreso con la vita di sempre. A leggere quanto finora è stato scritto e proposto dai giornali – al netto dei sensazionalismi su code in autostrada per andare al mare e esodi di centinaia di migliaia di persone al sud che non si sono mai verificati – parrebbe che l’emergenza durerà per tutto l’anno in corso e fino a quando non ci sarà un vaccino. Personalmente, ed è la ragione della mia personale amarezza, mi sembra di trovarmi di fronte a scelte poco razionali, pensate più per prendere tempo e identificare con facilità i trasgressori delle norme a cui saremo sottoposti che non a facilitare le nostre esistenze, già messe a dura prova sotto il profilo psicologico, umano e affettivo.

Sono almeno tre i piani su cui vorrei soffermarmi. E riguardano la lettura della nostra società che arriva da parte della classe dirigente, e dei comitati scientifici a cui si sono affidati i nostri governanti. Una società che, forse, sarebbe giustificabile – ma mai accettabile – in una distopia sul modello de Il racconto dell’ancella, o in una serie tv ambientata in epoche che non hanno mai fatto i conti con la rivoluzione dei costumi e con il mutamento sociale. Ma che non fa i conti con la realtà italiana del 2020. Le tre dimensioni a cui faccio riferimento sono quella sessuale, quella familiare non conforme e la dimensione relazionale di supporto. In tre parole più semplici: sesso, sentimenti e amicizie sono state dimenticate. E sembra di trovarsi di fronte ad un gigantesco rimosso.

Forse il più grande assente della fase 2 è proprio il sesso. E attenzione, non sto alludendo a facili ironie – sì, lo abbiamo pensato tutti/e: non si tromba manco a questo giro – ma alla totale mancanza di comunicazione su questo versante. Eppure la sessualità è un capitolo importante della vita umana. Tocca relazioni, bisogni affettivi e non solo, interazione sociale. Rimuovere la questione significa lasciare il campo a un indistinto che può essere pericoloso, per gli effetti che può produrre, per le conseguenze che può portarsi dietro, per la reazione del potere. Una rimozione che, personalmente, giudico pruriginosa, moralistica e ascientifica. Ovviamente non sto auspicando che lo Stato si infili nella mia camera da letto per darmi disposizioni o divieti. Parlo di fare informazione. Come è avvenuto, ad esempio, a New York, dove il sito ufficiale della città ha delineato linee guida che danno consigli, che spiegano come evitare il contagio o come evitare gravidanze, in un momento siffatto. Senza moralismi, divieti o minacce. Sto parlando, insomma, di responsabilità. Senza dover poi arrivare, proprio per mancanza della stessa, a misure che potrebbero essere invasive in un secondo momento.

Il secondo elemento critico è quello delle relazioni affettive o familiari non riconosciute o non regolarizzate. Sergio Lo Giudice, come riporta il sito Gaypost.it, ha proposto un’ampia casistica di situazioni che rischiano di finire sotto il mirino delle sanzioni, se non della solitudine. «Le coppie lesbiche o gay separate senza il doppio riconoscimento genitoriale già da settimane sfidano decreti e ordinanze per vedere i propri figli, portarseli a casa, svolgere il loro ruolo di genitori» ricorda l’ex senatore del Pd. «Poi ci sono i nonni e gli zii di questi stessi bambini, riconosciuti attraverso un’adozione particolare che riguarda solo il nuovo (per la legge) genitore, ma non il suo asse familiare». Per non parlare di quelle coppie non regolarizzate che da troppo tempo non si vedono e che hanno mantenuto in piedi il loro legame su comunicazione a distanza e per cui non è così semplice pensare di passare il resto delle misure speciali insieme, ricongiungendosi.

Il terzo ambito è quello delle situazioni amicali che, in molti casi, sopperiscono ai bisogni affettivi e di mutuo soccorso più elementari. Gia qualcuno sta facendo facili ironie sui social, parlando di “diritto di andare a trovare gli amici”, riducendo il tutto a mero capriccio. Impianto retorico non nuovo, che consegna all’emergenza la gestione di scelte che potevano essere organizzate in modo diverso. Fatto sta che per molta gente la rete familiare non è una garanzia. E che poter andare a trovare un fratello o una zia non sarebbe di nessun conforto e di nessun aiuto effettivo. Contrariamente, poter avere accanto – anche potendo andare a trovarla – una persona amica potrebbe fare la differenza in molti casi. Non parlo solo di situazioni estreme (famiglie violente o congiunti decaduti), ma di lontananza effettiva. Persone che hanno i familiari fuori regione potrebbero avere conforto e aiuto da quella rete di amici che in altri tempi fungeva da rete di supporto.

Il governo sembra non aver mai preso in considerazione questo ventaglio di possibilità. La stessa ministra Bonetti, ministra per la Famiglia, sembra più preoccupata a garantire ai cittadini la possibilità di andare a messa. Giusto per capire di cosa stiamo parlando. Laddove sarebbe bastato, magari, fornire indirizzi alternativi a quelli dei congiunti – se il discorso, come leggo sulla mia bolla, è quello di garantire una dei contatti – che permettesse a genitori sociali, amici e persone che vivono legami non ufficializzati di poter gestire il diritto all’affettività e la possibilità al mutuo supporto. Perché siamo sempre lì: la salute non è qualcosa che va preservata nell’unica prospettiva di evitare il contatto con il virus, ma deve tener conto di una serie di fattori che coinvolgono gli aspetti psicologici e relazionali.

Conosco anche le obiezioni, che passano tutte dall’evergreen “se tutti facessero così”. Presupposto argomentativo fallace, visto che – come già detto in passato – non tutti farebbero così. Così come non tutti usano i coltelli come armi e così come non tutti si mettono in macchina ubriachi e per non parlare del fatto che chi vuole trasgredire, lo farà anche con le restrizioni. Lo Stato deve poter contare sul senso civico dei suoi cittadini, sempre che non si sia disposti a credere di vivere in un consesso di selvaggi. E dovrebbe valer, ancora, il principio per cui scaricare le responsabilità politiche sui comportamenti individuali rischia di divenire un comodo escamotage per chi magari dovrà poi rispondere di una gestione eventualmente poco accorta dell’emergenza.

Il problema, insomma, è ancora di libertà individuali e di idea che abbiamo di società. Non si tratta di disobbedire a misure con le quali saremo costretti a fare i conti. Si tratta di capirne la ratio e l’efficacia. Sulla seconda, valuteremo al momento debito – anche se mi risulta poco credibile pensare che il virus mi preserverà se vado a trovare mia nonna, mentre mi ucciderà senza pietà se prenderò un caffè con il mio più caro amico – mentre sulla prima sorgono diversi dubbi. Di certo, trovarsi a dover fare i conti con un impianto così familista e tardonovecentesco nonostante la pletora di scienziati convocati per costruire il rilancio del Paese, è qualcosa che getta ombre sulla capacità della nostra classe dirigente di saper leggere la società del qui ed ora. Non che se ci fossero stati gli altri – Lega e Fdi, per capirci – le cose sarebbero andate meglio. Anzi. Ma da chi si definisce progressista e dalla parte del popolo ci si aspettava qualcosa di più.