GovernDanceIl premio Nobel Parisi denuncia l’inadeguatezza del Pil come misura della ricchezza

In Occidente il denaro viene definito per svilirlo "sterco del Diavolo", eppure a ben vedere, è un ottimo concime.

Il Pil da molti indicato come criterio inadeguato all’attuale misurazione dello stato di salute del nostro patrimonio sociale, economico e politico è ormai cosa nota. Il neo premio Nobel Giorgio Parisi lo ha ulteriormente ed efficacemente stigmatizzato in occasione del suo intervento alla Camera qualche giorno fa. Il Pil è un criterio squisitamente quantitativo, in pieno contrasto con le necessità di politiche ESG, in particolare con quelle indirizzate allo sviluppo della sostenibilità climatica. La forza degli accadimenti quotidiani che testimoniano ormai indiscutibilmente che forse non siamo nemmeno piu’ in tempo a raddrizzare la barra sulla diminuzione della temperatura globale e altri impegni che ci eravamo presi anni fa con le risoluzioni di Kyoto e Parigi, segnalano l’imbarazzante inettitudine dei governi e delle persone cosiddette “Leader” dei popoli in questi ultimi decenni. Non gioco a far scaricabarile: la responsabilità è pur sempre individuale, dunque di tutti , ed infine anche nostra, semplici cittadini che evidentemente hanno votato quelli sbagliati e non si sono impegnati a fondo per un collettivo migliore e sostenibile. Quando gli sforzi di molti non bastano, allora il sistema ci insegna che è piu’ forte della buona volontà e dell’impegno di una sua parte, evidentemente non ancora in grado di fare la famosa ‘massa critica’ che serve per smuovere l’intero sistema in una direzione piu’ proficua. E allora mi ritrovo a pensare anche alle guerre azionarie che si stanno consumando in Italia. Restano immutate le cattive prassi di governance anche in questo ambito: si combatte al di là dei numeri, della sostenibilità aziendale, a scapito dell’interesse dei molti per il bene dei pochi. C’è chi parteggia per il management e chi per gli azionisti privati, quasi fosse un gioco da tavolo, un poker fra dilettanti un po’ grevi, che ignorano come davvero debba funzionare un’azienda quotata e votata al miglior risultato possibile. Si combatte per alienare un bene italiano a favore di qualche colosso assicurativo francese, svizzero o tedesco che sia, si combatte per affermare la propria superiorità dopo aver trascorso una lunga vita ad accumulare in qualsiasi modo denari e beni materiali. Accumuli che caratterizzano una classe di imprenditori nostrani che grazie alla loro reattività e al loro acume in tempi passati han fatto la storia del capitalismo italiano, e mi riferisco in generale a tutte le principali famiglie del nostro Paese e a quelle meno conosciute, ma pur sempre capaci di aver dato impulso alla nostra economia. Oggi però il mondo è cambiato e c’è bisogno di ben altro che di capacità di accumulo e sviluppo del fatturato, di Pil, di criteri quantitavi e slogan vuoti di contenuto. L’aspetto qualitativo diventa cruciale; ambiente, società, governance. ESG non puo’ essere soltanto un acronimo di moda; c’è bisogno di solida conoscenza dei meccanismi di capital management e di sostenibilità delle performance. Il semplice profitto non è piu’ il metro di giudizio delle imprese, a maggior ragione se per il profitto si passa sopra a tutto. I nostri giornali son spesso ricolmi di sprezzanti critiche verso gli altri Paesi, verso le incomprensibili guerre terzomondiste o verso l’incapacità successoria della Germania, verso la tiepidezza di Macron o l’inettitudine di Biden. Leggendo critiche cosi aspre nei confronti del resto del mondo, senza andarne alla radice, mi sorprende sempre come condannare “l’altro” sia lo sport più diffuso e facile, perfin banale, di molti, troppi. Eppure, a ben guardare, in diverse aree del mondo si trasforma ancora oggi la parola di Dio in arma di guerra, usandola malamente e trasformandola in sterco. In nome di Dio, che resta pur sempre un alto ideale, seppur malutilizzato e svilito dall’ignoranza di chi si crede supremamente dotto nell’interpretare la sua parola. Però qui da noi si distrugge valore per molto meno, per quel denaro, che vien ben definito “sterco del diavolo”. E anche se è solo una minoranza che crea questo danno, il sistema la tollera o non la limita in maniera decisa. Quindi alla fine, qui o là, sempre di sterco si tratta, quando l’Uomo uccide l’Uomo nel corpo o nel suo agire ideale verso un mondo piu’ equo, quando uccidiamo il futuro dei nostri figli, fregandocene dell’ESG. Indubitabilmente, come mi ha suggerito colui che mi piace pensare un amico solidale, lo sterco è un ottimo concime. Anche se a brevissimo termine e buono anche per l’erba grama.

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