Dopo vent’anni, e anche di più, si torna a parlare di ideologie, di appartenenze politiche: di destra e di sinistra. Così, almeno, ha fatto Ezio Mauro nel suo editoriale, collocando nel settore “di destra” atteggiamenti e campagne portate avanti dal Fatto Quotidiano, pur senza mai nominarlo. Ma ha ancora senso parlare di destra e sinistra? E che significa farlo con temi delicati e ancora roventi come la giustizia? A poco, spiega a Linkiesta Rino Formica, politico del dissolto partito socialista e più volte ministro della Repubblica. Oppure a molto, ma dipende dai punti di vista.
Ezio Mauro parla di atteggiamenti “di destra” che sono entrati nella sinistra, e che ora devono essere abbandonati. Lei è d’accordo?
Io comincerei dicendo che questa è una materia che può toccare l’universo del pensiero, e ci andrei cauto. È tutto così opinabile e scivoloso. Anche in questi casi, dove l’attribuzione della qualifica – o della squalifica – di “destra” o “sinistra”, che viene compiuta nel dibattito politico corrente, negli ultimi vent’anni ha raggiunto livelli di confusione e superficialità tali che i due termini sono, adesso, del tutto identificabili e interscambiabili, e non fa meraviglia.
No, non la fa. Ma allora come si può definirli?
A questo punto, è difficile anche parlarne, e diventa una discussione oziosa per logoramento. Destra e sinistra: ognuno dovrebbe spiegare che cosa intende, per destra e sinistra, e dare la sua interpretazione personalizzata. Ma sa, siamo 60 milioni, in Italia, e si immagini lei quante idee di cosa siano destra e sinistra ci sono.
Lo immagino. Ma nello specifico, che dice dell’idea che ne dà Mauro?
È altra, allora, la questione che riguarda più che la destra e la sinistra, il mutamento di fronte, e dei temi. Parlare di destra e sinistra sarebbe semplice ed efficace, se fossero ancora valide. Ma qui bisogna vedere se qualcuno ha cambiato o no opinione. Nel caso di Mauro, lui ha le sue idee di destra e sinistra, le può anche cambiare, e nessuno glielo può impedire.
Ci mancherebbe.
Però, quando si parla di giustizia, si apre una questione vecchia e antica. Il nocciolo, qual è? Che per un lungo periodo, da almeno un ventennio, si è affermato un principio: che il giudice, il magistrato, non deve solo applicare la legge, ma anche interpretarla in senso evolutivo, e comunque secondo il suo libero arbitrio. E questo, finché veniva applicato in senso unico, andava bene – a una parte, e meno a un’altra. E adesso, invece, che viene applicata a tutti, quelli che lodavano questa elasticità da parte del giudice, anzi la ritenevano salvifica, sono in difficoltà. Non è una questione di destra o sinistra, allora. Si parla di garantisti e giustizialisti, di innocentisti e colpevolisti, e tra i due fronti c’è una forte differenza.
Ma non è un caso se i due fronti hanno coinciso con le due parti, cioè con destra e sinistra.
No, ma non è il punto se sia un caso o meno. Questa situazione è la conseguenza di uno strumento usato in modo sbagliato e a sproposito, e lo strumento è pensare che la politica debba essere liberata dalle ideologie. Un errore. Prima le ideologie erano le armature con cui si andava in battaglia, le armi che rendevano innocenti le proprie colpe. Poi ebbero una degenerazione, e allora è stato deciso: vanno abolite. Ma come si è potuto fare? Era come dire che: l’aria è inquinata, e allora va abolita l’aria. È normale che poi si muoia per asfissia.
Ma non sono scomparse del tutto, se ne parla ancora, cambiano.
Perché esistano, serve un terreno fertile. Vede, le idee non nascono per germinazione spontanea, nessuna. Non la destra e la sinistra, né il giustizialismo e il garantismo. Serve una predisposizione del terreno. Ora serve che la politica ritorni nel mercato della politica. Altrimenti parlare di destra e sinistra si riduce a una schermaglia oziosa, non potendo spiegare in altri modi quelli che sono rovesciamenti di di linea, o di fronte e di comportamenti.
Chiaro: ma il berlusconismo è un’ideologia, no?
No, è un’altra cosa, e si concretizza nella tolleranza per i vizi storici degli italiani. E anche questa esaltazione dei vizi comuni – non necessariamente mortali, ma anche solo veniali – non può assurgere ad avere un ruolo di governo.
Né ideologie né berlusconismo. Ma quindi cosa ci resta?
Non dobbiamo fare altro che constatare che attorno abbiamo solo rovine: le fine di ciclo sono spesso state affrontate in modo superficiale in Italia. Allora serve riflettere, e farsi domande. E magari capire, o cercare di capire, quale fu lo spessore della crisi all’inizio degli anni ’90.
E come fu?
Una liquefazione di tutto ciò che era stato fino a quel momento, il passato che scivolava via. Continuare con le stesse categorie è come un allenatore che si fissa con un sistema di gioco anche quando i giocatori sono cambiati. Non si può fare una squadra con undici portieri, no?
No, non si può.
Ecco. Eppure si parla di destra e sinistra, quando in questi vent’anni sono stati usati strumenti e disvalori più adatti a una guerra civile che a una guerra democratica. E ora, vediamo che l‘uso di comportamenti e schematismi ideologici serve solo a regolare ultimi conti personali.
In che senso?
Non è casuale che siano i più anziani, ora, i più disinvolti nel cambio di fronte. Ognuno ha storie di passioni, di scontri culturali – e anche editoriali – di vecchia, vecchissima data.
E allora cosa sta succedendo, davvero, intorno a Napolitano?
No, io non personalizzerei queste cose. Di fronte a questo scontro e a questa crisi, parlerei più di istituzioni: non contano le persone, sono le istituzioni che si salvano, o che “ruinano”.
Allora, cosa sta succedendo intorno al Quirinale?
Spesso capita che le istituzioni, nella storia, siano entrate in crisi. E Napolitano, che è nelle istituzioni – con tutta la sua cultura, le sue visioni, la sua storia – cerchi o meno un modo per salvarle. E io penso che lo cerchi. Ma le istituzioni entrano in crisi quando hanno perso l’animo popolare.
Cioè?
Quando il popolo non le sente più come valori, come organismi sacri. E questo è normale, quando la desacralizzazione degli ultimi vent’anni ha toccato tutto, perfino la Chiesa. Si figuri allora le istituzioni della Repubblica.
E di chi è la colpa di questa desacralizzazione?
La colpa? Della sbornia della fine degli anni ’80 e dell’inizio degli anni ’90. Ognuno, prima di dire se quello è o non è di destra o di sinistra, si faccia un esame di coscienza, e si chieda: dov’ero io, cosa facevo, tra il ’90 e il ’94? Le cose che dicevo, si sono rivelate giuste o sbagliate?
Ma perché?
Solo un esame di coscienza può restituire l’istituzione al popolo (senza, si aprono le strade a movimenti plebeo-insurrezionalisti, o aristocratico-dittatoriali). E soprattutto, si rende, una volta per tutte, questo dibattito trasparente, e non si parla più di destra e sinistra in modo ozioso. Perché vede, il punto è qui: adesso sembra che nessuno, in quegli anni, stesse con Di Pietro. Ma Di Pietro, stando a come si stava allora, oggi dovrebbe essere il capo assoluto di tutto, oppure del tutto espulso dal sistema politico.
Direi che è a metà.
Sì, sta a metà, ma perché stanno a metà tutti, vede? Questo è il problema. Uno dei tanti mali dell’arci-italiano: confida nel fatto che tutti dimenticano. E la mancanza di memoria provoca questi dibattiti surreali, tra destra e sinistra, tra Scalfari, De Benedetti, Zagrebelsky ed Ezio Mauro, quando il problema è un altro. E ci si confonde. Ma non solo.
Prego.
L’Italia è l’unico paese, direi civile, che abbia avuto due carte costituzionali e nessuna delle quali sottoposta al giudizio popolare. Anche qui: nel passaggio dalla prima bozza, alla stesura finale, è stato eliminata la possibilità, prevista per ogni cittadino, di sollevare questioni di costituzionalità. Si è ridotta, e ora lo può fare solo un magistrato, e solo per via incidentale, cioè se la questione si pone all’interno di un procedimento. Da qui nasce il potere, previsto e ratificato dalla Carta, dello strapotere giudiziario. Ed era normale che i partiti avessero paura del popolo, che avevano visto in piazza Venezia e poi in piazzale Loreto. Ma sbagliavano.
Cosa dovevano fare?
Il popolo va istruito, deve andare a scuola. Non va lasciato ignorante. Altrimenti la democrazia rimane limitata al solo rito elettorale, che risulta sempre più scarno, vuoto. Il controllo democratico deve essere esercitato tutti i giorni, e da tutti, anche sollevando questioni di costituzionalità.