Da un lato l’obbedienza responsabile, dall’altro il rispetto dei propri dati. In Germania fa discutere, forse più che in Italia, l’ipotesi di introdurre una app di contact tracing, forse la chiave per accompagnare in sicurezza la fase di riapertura.
Uno scetticismo figlio di una mentalità riservata, certo. Ma anche l’eredità storica – così sostiene Sebastian Siegloch, professore di economia dell’Università di Mannheim, che sul tema ha condotto una ricerca specifica – del periodo comunista nella Germana orientale.
I tedeschi risentono della pervasività della Stasi e, prima ancora, del controllo totalitario nazista. «Mostrano poco entusiasmo alla prospettiva di dover condividere i propri dati». Riluttanza che, in un momento critico del contenimento del coronavirus, richiede particolare attenzione da parte della classe politica.
I temi da considerare sono diversi. Da un lato, la questione – che è stata sollevata anche in Italia – sull’immagazzinamento dei dati: centralizzato o periferico? Dopo un lungo dibattito, il governo federale, orientato all’inizio per la prima soluzione, ha dovuto cedere venerdì 25 aprile alla pressione degli attivisti, preoccupati per la gestione dei dati personali, e ai consigli della Commissione Europea.
Alziamo le mani, ha concluso il ministro federale della Sanità Jens Spahn: i dati degli utenti della app saranno custoditi nei loro stessi smartphone e non su un server esterno. Questo per evitare abusi da parte delle autorità.
Nella sua dichiarazione, però, il ministro ha fatto bene intendere che mantenere «la fiducia dei cittadini» è una questione strategica: il successo della app si basa proprio «sul fatto che venga utilizzata da una grande porzione della società». Imporre scelte impopolari sarebbe solo controproducente.
Chi vorrà, aggiungono, può comunque scegliere di donare i suoi dati sensibili e in forma anonima al Koch Institut, l’organizzazione che previene e controlla le malattie infettive in Germania. A cosa si riferisce? Proprio alla app “Datenspenden”, elaborata dall’istituto che raccoglie, su permesso dell’utente (per questo è considerata una donazione) tutti i dati custoditi da app di fitness come Fitbit, Garmin e Polar, compresi gli smartwatch.
Ma la diatriba non finisce qui: in una lettera riservata al ministro della Sanità, pubblicata dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, i distretti regionali hanno voluto dire la loro sullo sviluppo della tecnologia. Per loro l’immagazzinamento è un «fatto secondario». Quello che chiedono è che la app prenda più dati possibile e che forniscano la più alta precisione. Dettagli sulle persone incontrate, sul quando e sul dove. Come esempio scrivono: «Il signor Maier alle 15:30 di giovedì in via Berlino ha incontrato il signor Mueller, contagiato».
Tutte ipotesi che per i crittologi consultati dal governo appaiono irricevibili. Per le amministrazioni locali, che si occupano della gestione diretta della pandemia, sono invece cruciali: «Vogliamo un accesso semplice, completo e libero ai dati generati dalle app». Sarebbe più pratico: chiunque abbia avuto un contatto con un contagiato riceverà un avviso di quarantena. «È una questione di vita e morte».
E la privacy? Per loro non è in discussione: nessun signor Maier saprà di aver ricevuto il virus del signor Mueller. Né saprà quando e dove è avvenuto il contagio. Le autorità, che invece hanno il compito di organizzare una risposta al focolaio, sì. Sapranno, cioè, che Maier è stato in contatto con Mueller. La app sarà collegata al ministero della Sanità e conoscerà i nomi reali. Un’intrusione che, ricordano, sarebbe anche permessa dalla legge in circostanze specifiche (e sembra che alcuni articoli siano stati scritti con incredibile preveggenza).
Ma, a quanto pare, non si farà niente di tutto questo. I cittadini non gradirebbero e, soprattutto, non collaborerebbero. Anche l’ipotesi di chiedere alla Cancelliera, Angela Merkel, di imporre ai tedeschi di scaricare la app cade nel vuoto: e chi non ha il cellulare come fa? Avrebbe allora più diritti degli altri?
Come si vede, l’equilibrio è complesso. Secondo Siegloch, «una precondizione della app è che sia sicura e anonima e avanzatissima a livello tecnologico». Su questo ultimo aspetto, aggiunge, «non sono ottimista».
E a ragione. Nonostante sia tra i più avanzati al mondo, la Germania appare ancora indietro per quanto riguarda la Digitalisierung, la digitalizzazione. Le infrastrutture sono obsolete, disomogenee per potenza e qualità del segnale. Il 4G ha scarsa copertura (sì, il 4. Non il 5, per cui si parla del 2025 ma è già utopico). Il Paese, in generale, è al 58esimo posto per le connessioni mobili a banda larga.
Tutto questo incide molto anche nelle discussioni sul contact tracing digitale, limitando le capacità tecniche di manovra. Come ha spiegato il Koch Institut, per essere efficace la app deve «registrare la vicinanza e la durata del contatto tra persone per due settimane». In più dovrà essere scaricata dal 60% della popolazione.
E allora, anche se i tedeschi alla fine sceglieranno l’obbedienza responsabile e sacrificheranno, almeno in parte la privacy (come sembra che faranno), l’affidabilità tecnica della strumentazione sarà un argomento (persuasivo o meno) importante.