Dacia Maraini È un istinto umano antichissimo trovare un capro espiatorio, anche per la pandemia

La prima risposta alla domanda «Come scriveremo del covid-19?» è arrivata da “Trio” in cui la scrittrice racconta, tra le altre cose, il ruolo fondamentale dell’evoluzione della medicina e il peso delle credenze non scientifiche

Nelle ultime settimane sono cominciati ad arrivare in libreria i libri che trattano di coronavirus, non più solo dal lato scientifico, ma da quello personale. In diversi stanno tentando la via del reportage, ma non così Dacia Maraini che ha riadattato un vecchio testo pensato durante la stesura di Marianna Ucria e ha pubblicato “Trio” (curiosamente anche la “Storia della Colonna infame” doveva essere all’inizio contenuta nei “Promessi Sposi”. Forse le storie di epidemie tendono a prendere una direzione a sé proprio come le epidemie).

Come ha raccontato Nadia Terranova proprio qui su Linkiesta, “Trio” è una prima risposta alla domanda “come scriveremo del virus?”. Nelle settimane di quarantena osservavamo con sconforto le classifiche di vendita prive delle ultime uscite e con i pochi tentativi “attuali” che facevano fatica, mentre “L’amore ai tempi del colera” o “La peste” di Camus conquistavano la vetta. Come se perfino nella fase più dura il bisogno di sublimare la sofferenza in altre epoche fosse necessario per farsi forza.

In “Trio”, lei racconta come fino a non molti anni fa la cura delle epidemie fosse strettamente legata, e anche terribilmente legata, al pensiero magico. La medicina si è evoluta molto, ma le credenze non scientifiche giocano ancora un ruolo importante.
Penso che mentre la tecnologia è avanzata in maniera impressionante, la psicologia umana sia rimasta arcaica. Il pensiero magico si tinge di nuovi colori, ma pesca sempre nel disordine e nell’oscurità della psiche.

Addirittura in molti paesi, compresa l’Italia, sono state abbattute le antenne telefoniche considerate responsabili della diffusione della malattia.
Lo so, quando si prende quella strada, tutto diventa possibile, anche proporre di iniettare in vena il disinfettante per vincere la malattia.

Non è scomparso neanche il bisogno di addossare le colpe a qualcuno. Lei ha scritto degli untori, noi abbiamo dato le colpe alla Cina, poi ai runner, poi alle piazze degli aperitivi, ai politici, perfino agli scienziati.
È un istinto umano antichissimo: quello di trovare un responsabile per poterlo aggredire. Nell’antichità c’erano gli dei, c’erano gli spiriti dei boschi, le anime delle montagne, i geni nascosti dell’acqua che venivano presi di mira e insultati. Oggi ci sono le multinazionali, i governi nemici, gli zingari, gli omosessuali, le donne – chi più ne ha più ne metta – a cui indirizzare le colpe di una pandemia.

Negli ultimi giorni anche l’annosa polemica contro i migranti approfitta del covid-19.
Appunto, ogni persona può diventare il pretesto per inveire, insultare, picchiare. L’irrazionalità più idiota diventa forte nei momenti di crisi, di incertezza e di paura.

Secondo diversi esperti, l’epidemia s’è sviluppata perché l’uomo ha distrutto numerosi ecosistemi. Lei vede anche una colpa morale, verrebbe da dire “di specie”, in quanto è capitato?
Certo una responsabilità dell’insieme del genere umano esiste. Abbiamo riempito il mare di plastica, abbiamo bruciato le foreste, abbiamo avvelenato i fiumi, abbiamo fatto sciogliere i ghiacciai… ne subiamo le conseguenze.

Agata e Annuzza si salvano anche grazie alla tempestività delle loro decisioni. Capiscono subito che devono allontanarsi dal contagio, prima delle decisioni del potere dell’epoca. Le pare che almeno del potere della nostra epoca possiamo fidarci di più?
Certo, perché ne sappiamo di più e la scienza è meno brancolante nel buio. Ciononostante oggi assistiamo alla triste scena dei virologi che litigano fra di loro per le diverse interpretazioni della pandemia. Basterebbe dire onestamente che se ne sa poco e che non si possono fare sicure previsioni per il futuro

La tempestività di Agata e Annuzza dipende anche dal fatto che allora le epidemie erano nel novero delle possibilità, potevano accadere. A noi sembra tuttora incredibile sia accaduto e stia accadendo…
Sì, siamo stati presi di sorpresa. Nessuno si aspettava un simile stravolgimento. Il virus è entrato in punta di piedi, non ci faceva paura, pensavamo che fosse poco meno che una influenza. Solo dopo che si è diffuso in tutto il mondo con la velocità di un lampo, dopo che ha provocato migliaia di morti, abbiamo cominciato a prendere precauzioni.

Per molti commentatori si possono leggere perfino delle relazioni tra leader politici e numeri del contagio. Trump, Bolsonaro, Boris Johnson sarebbero più colpevoli di altri.
Beh, i fatti dimostrano che sottostimando la pandemia e lasciando che tutto vada come al solito, si finisce in un baratro di contagiati e di morti.

Lei ha scritto: «Il timore del contagio diventa una ossessione». Anche questo è ancora attuale. Le corse all’accaparramento, l’eccessiva disinfezione delle confezioni sono stati esempi evidenti di ossessione.
La cosa è acuita dal fatto che, come ho già detto, sappiamo poco di questo insidioso virus: quanto è contagioso, come si contagia? Quanto dura l’incubazione? Si sviluppano gli anticorpi dopo essere guariti? E quanto sono nocivi gli asintomatici?

Lei, personalmente, s’è accorta che i timori la spingevano verso comportamenti nuovi che non credeva le appartenessero?
Niente di irrazionale. Di fronte a un pericolo reale si prendono accorgimenti. Io mi sono attenuta a quello che dicevano le autorità sanitarie: isolamento per il primo tempo, poi mascherina, guanti e distanza, quindi mascherina e distanza.

Come per la sicurezza, le nostre ossessioni sono frutto del fatto che improvvisamente ci è sembrato mancare il controllo. Adesso le nostre menti si sforzano di riacquisire questo controllo, ma non le pare sia una lotta senza possibilità di vittoria?
Niente è impossibile. Se cominciamo col dire che non c’è niente da fare, non ci sarà in effetti niente da fare.

In queste settimane ci sembra difficile immaginare il futuro. È come se la vita fosse ripresa, ma, a ben vedere, non ci credessimo tutti fino in fondo.
L’incertezza è dovuta alla scarsa conoscenza del nuovo virus, ripeto. Molti, anche esperti, pensavano che fosse morto o stesse morendo e invece la cronaca ci dice che sta tornando in vita e con molta vitalità. Questo ci mette in allarme e non sappiamo cosa fare. Ma guai ad arrendersi.

Tra le conseguenze non immediate dell’epidemia, c’è che la condizione di molte donne costrette in convivenze difficili o addirittura violente e quella di molte donne lavoratrici con figli sono peggiorate drasticamente durante la pandemia. Cosa si può fare?
Convincere le donne a denunciare, anche quando temono per la famiglia e si sentono in colpa coi figli. La cronaca ci dice che il posto più pericoloso per le donne è la famiglia. Al primo segnale di violenza per alcol o droga, al primo segno di intolleranza brutale, bisogna andarsene e denunciare. Ma molte donne spesso non sanno dove andare, non hanno una famiglia di origine che le accolga, hanno paura per i figli, non si fidano delle leggi e quindi resistono. E spesso finiscono uccise.

Agata e Annuzza sono riuscite a costruirsi uno spazio per le proprie letture e la propria amicizia. Molti, durante la pandemia, hanno invece lamentato una difficoltà a concentrarsi. Lei come lo spiega?
Le persone abituate a esprimersi solo con l’azione e il movimento, certo stanno malissimo una volta costrette all’inazione. Ma invece di imparare umilmente a riflettere, cominciano a smaniare e non riescono più a fare niente.

Spera potremmo ricavarne una lezione?
Certo. Dovremmo imparare che stare un poco fermi e dedicare del tempo alla meditazione fa bene al cervello e allo spirito.