Forza CanberraLa gran battaglia australiana sulla circolazione delle notizie sui social network

La rappresaglia di Facebook nei confronti delle Autorità australiane per far saltare le norme che obbligano le piattaforme digitali a pagare i contenuti alle aziende editoriali che li producono

Olivier Douliery/AFB

Facebook è pronta a bloccare la condivisione di notizie locali e internazionali se verrà approvato il “codice di condotta vincolante” sostenuto dal Governo di Canberra e dall’Autorità per la concorrenza australiana.

Il codice prevede il pagamento dei contenuti agli organi di stampa da parte di tutte quelle piattaforme digitali che diffondono e condividono news online (Facebook o Instagram). Ma il gigante fondato da Zuckerberg non ci sta e inizia una contesa con l’Australia e con tutti gli editori che sostengono questa misura restrittiva.

«L’Australia sta elaborando un nuovo regolamento che fraintende le dinamiche di Internet e che danneggerà proprio quei media che il governo sta cercando di proteggere, – ha dichiarato, con un post, l’amministratore delegato di Facebook Australia e Nuova Zelanda Will Easton – supponendo che questa bozza di codice diventi legge, smetteremo, nostro malgrado, di consentire agli editori e alle persone in Australia di condividere notizie locali e internazionali su Facebook e Instagram. Ma questa non è la nostra prima scelta, è l’ultima. È l’unico modo per proteggersi da un risultato che sfida la logica e che danneggerà e non aiuterà, la vitalità a lungo termine del settore delle notizie e dei media australiani», ha aggiunto Easton.

Dal canto suo, Rod Sims, presidente della Commissione australiana per la concorrenza e i consumatori, ha spiegato che l’ultima minaccia di Facebook è inopportuna: «La bozza del codice di contrattazione dei media mira a garantire che le aziende giornalistiche australiane, compresi i media indipendenti, nazionali e regionali, possano ottenere un posto più equo al tavolo per negoziati con Facebook e Google».

Il “codice di condotta vincolante” è una misura elaborata dalla ACCC (Australian Competition and Consumer Commission) e fortemente voluta dalle principali società di media australiane come News Corp Australia, Nine Entertainment e Guardian Australia, uno strumento, che se approvato, sarebbe in grado di compensare le perdite di introiti pubblicitari causati dai colossi del web.

Già il 31 luglio era stato presentato un progetto di “codice di condotta vincolante”, che includeva anche la previsione della trasparenza degli algoritmi utilizzati per stabilire l’ordine dei contenuti e multe di milioni di euro in caso di mancato rispetto delle norme.

Il codice può essere un’arma a doppio taglio: limita lo strapotere delle piattaforme del web, ma d’altro canto, attraverso il blocco delle notizie favorisce lo sviluppo delle teorie del complotto, così come il dilagare della disinformazione, perché i media più affidabili non troverebbero più spazio, mentre i contenuti nativi di dubbia affidabilità avrebbero ancora più risalto. Facebook sta già affermando che agirà in modo simile se altri paesi adotteranno queste misure.

I social network, da un punto di vista giuridico, si basano su contenuti caricati dagli utenti e non hanno responsabilità editoriale. Eppure in un recente procedimento giudiziario negli Stati Uniti l’avvocato difensore di Facebook ha sostenuto che il suo cliente ha il diritto di decidere cosa pubblicare, in quanto publisher, ovvero editore.

A livello europeo, invece, l’unico riferimento normativo è la direttiva sul commercio elettronico (2000/31/CE) che individua tre tipologie di provider (hosting, caching e mere conduit) e prevede un regime di safe harbour con riferimento alla responsabilità di tali soggetti.

In sostanza, le piattaforme che si sono sviluppate in rete negli ultimi anni detengono un potere economico senza uguali, che si traduce per ciò stesso in potere politico, che rischia, in quanto tale, di incidere anche sui meccanismi di formazione del consenso, come recenti vicende hanno ampiamente dimostrato: parliamo del caso Cambridge Analytica, che combinava l’estrazione di informazioni utili e l’analisi dei dati con la comunicazione strategica a fini elettorali, o come IDEIA Big Data, una società internazionale di ricerca politica e marketing che rispecchia da vicino le tattiche e i metodi della stessa Cambridge Analytica.

Ogni piattaforma, infatti, ha le proprie policy in base alle quali regola la pubblicazione dei contenuti e valuta la loro rimozione in caso di violazioni di copyright, discorsi d’odio, contenuti violenti o sessuali o, ancora, disinformazione. Questo comporta un elevato grado di discrezionalità in capo a soggetti privati che sono in grado di condizionare la fruizione dei contenuti da parte di un numero elevatissimo di utenti.

Per ora l’avvio del “codice di condotta vincolante” è subordinato all’approvazione del Parlamento australiano, ma resta aperta la questione relativa alla discrezionalità del singolo utente o editore: cosa succede se a pubblicare la notizia o un articolo di giornale è l’utente Facebook o Instagram? Rimane da capire, e non a caso si tratta del punto più spinoso della questione, se nel corso della procedura di approvazione verrà disciplinata la responsabilità oggettiva dei social o se ci sarà un accrescimento di quella soggettiva, e quali sistemi, infondo, verranno messi in atto per l’individuazione e la rimozione dei post vietati dal suddetto codice.