Pesticidi vietati dalle regole europee esportati dalle aziende Ue nei paesi poveri del mondo. È questo il preoccupante scenario svelato dal report dell’unità investigativa di Greenpeace Uk Unearthed e della Ong svizzera Public Eye, che hanno analizzato le notifiche di esportazione che le aziende devono consegnare alle autorità per i prodotti da vendere all’estero.
Migliaia di prodotti tossici la cui vendita nel vecchio continente non è consentita dalle autorità di Bruxelles, ma che, tuttavia, vengono tranquillamente commerciati al di fuori dei confini comunitari. Il Regno Unito è il principale esportatore dell’Ue, con 32.187 tonnellate vendute nel 2018 (ultimo anno del monitoraggio), al secondo posto c’è l’Italia con 9.499 tonnellate, seguita da Germania (8.078) e Olanda (8.010).
I Paesi dell’Ue, nel totale, hanno esportato oltre 81.000 tonnellate di pesticidi contenenti sostanze chimiche vietate nei propri campi. Mentre gli Stati a cui più spesso vengono spediti questi prodotti sono il Sud Africa, l’Ucraina e il Brasile.
Per i quali, come rimporta il dossier, entra in gioco anche una correlazione tra l’importazione di cibo in Europa e le vendite dei pesticidi proibiti: «I paesi che figurano tra le principali fonti di approvvigionamento di prodotti agricoli dell’Ue – Stati Uniti, Brasile e Ucraina – sono stati anche tra le cinque principali destinazioni delle esportazioni comunitarie di sostanze chimiche vietate» si legge nel testo.
La quota di merce vietata più grande è quella del Regno Unito, pari a quasi il 40 per cento del totale. Tra i prodotti maggiormente esportati ci sono quelli a base di paraquat, un diserbante realizzato dal colosso dell’agro-industria Syngenta che, come si legge, «è così tossico che un sorso può ammazzare e secondo gli scienziati, aumenta il rischio di contrarre la malattia di Parkinson».
L’Italia è invece responsabile di una quota pari al 12 per cento del totale delle esportazioni tossiche e i paesi destinatari sono Stati Uniti, Australia, Canada, Marocco, Sud Africa, India, Giappone, Messico, Iran e Vietnam. La sostanza più venduta in termini di quantità è stato il trifluralin puro, prodotto da Finchimica.
Anche in questo frangente, si tratta di un «sospetto cancerogeno vietato in Ue già dal 2007 a causa della sua elevata tossicità per i pesci e altri organismi acquatici, nonché per la sua elevata persistenza nel suolo». Nella lista dei più venduti dalle aziende italiane spunta anche l’erbicida l’ethalfluralin, sospetto cancerogeno per gli esseri umani realizzato sempre da Finchimica e venduto principalmente in Canada e Stati Uniti.
Altre sostanze, classificate come possibili cancerogeni per gli esseri umani dall’Epa, sono finite in India, Vietnam e Marocco: si tratta del fumigante 1,3-dicloropropene e di insetticidi a base di propargite. Mentre tra le aziende coinvolte compaiono anche i colossi Bayer e Corteva, e aziende meno conosciute come l’italiana Sipcam Oxon o la britannica Inovyn. Le due multinazionali hanno notificato esportazioni per più di 4.000 tonnellate di erbicidi a base di acetochlornel 2018, la maggior parte proveniente dal Belgio e destinata all’Ucraina.
Dalle istituzioni europee è arrivato l’invito ad arginare il fenomeno il prima possibile, nel rispetto delle regole comunitarie sulle esportazioni di pesticidi vietati che, secondo il report, sono già più «rigide di quanto richiesto» dalla convenzione di Rotterdam. Il problema, però, come ha ricordato in alcune dichiarazione a luglio l’esperto delle Nazioni Unite Baskut Tuncak, è l’iter con cui le nazioni più ricche spesso creano un doppio standard che permette il commercio e l’uso di sostanze vietate in parti del mondo dove le regole sono meno stringenti, esternalizzando così gli impatti negativi sulla salute e sull’ambiente nei paesi più vulnerabili.
I vuoti normativi che consentono questa pratica sono una «concessione all’industria», visto che i produttori del comparto chimico traggono profitto «da comunità e lavoratori all’estero che si ammalano, mentre importano prodotti più economici attraverso le catene globali di fornitura e alimentano insostenibili modelli di consumo e produzione», ha ribadito Baskut Tuncak, parlando di uno «sfruttamento» in piena regola delle popolazioni meno sviluppate.
La soluzione, continua il report, non è quindi nell’inasprimento della sanzione, in quanto «un divieto di esportazione dall’Ue non porterà automaticamente i paesi terzi a smettere di usare tali pesticidi, perché potrebbero importarli altrove». Mentre «convincerli a non usare tali pesticidi sarebbe più efficace» ed entrerebbe in toto negli «sforzi di diplomazia verde» pianificati dall’Ue per «realizzare sistemi alimentari più sostenibili a livello globale», conclude il dossier.