Da quando l’imprenditore americano Dan Friedkin è diventato presidente della Roma si è riaperta l’infinita discussione sullo stadio che dovrà ospitare le partite dei giallorossi. Una storia che aggiunge un capitolo nuovo con cadenza regolare da quasi un decennio, senza che se ne veda la fine.
Era dicembre 2012 quando l’allora proprietario della Roma James Pallotta firmò l’accordo per la costruzione dello stadio a Tor di Valle. Sembra passata un’era geologica, il sindaco della Capitale era Gianni Alemanno. Da quel momento sono cambiate moltissime cose, c’è stata l’amministrazione di Ignazio Marino, le dimissioni, poi quella di Virginia Raggi: inizialmente contraria al progetto, poi a sostegno di una rivisitazione dell’opera.
Come se non bastasse nel 2018 è arrivata l’inchiesta “Rinascimento” che ha coinvolto politici, consulenti e imprenditori, rallentando ulteriormente la realizzazione del progetto. Ma lo scorso settembre la sindaca ha annunciato di voler «inaugurare il nuovo stadio della Roma. Il progetto sarà votato entro Natale in aula».
Insomma, il percorso che dovrebbe portare al nuovo impianto non poteva essere più travagliato, e adesso lo stesso presidente Friedkin potrebbe pensare di aggiornare il progetto: se non altro perché sono passati diversi anni e potrebbe essere necessario almeno un piccolo aggiornamento.
Così si potrebbe accumulare ulteriore ritardo sulla tabella di marcia. E nel frattempo si cambia tutto intorno: si evolve la tecnologia, invecchia il progetto di Dan Meis, cambia lo standard degli stadi nel mondo.
L’architetto che ha firmato il progetto presentato da Pallotta anni fa, Dan Meis, dice a Linkiesta che «costruire a Roma è una sfida», ma lo “Stadio Della Roma” che ha ideato è ancora un lavoro moderno, innovativo rispetto agli standard italiani e coerente con gli spazi cittadini. «L’idea era di sviluppare uno stadio in acciaio e vetro avvolto da una “cortina” galleggiante di travertino, facendo riferimento diretto al Colosseo, universalmente riconosciuto come lo stadio più famoso del mondo».
Al di là dell’estetica, ci sono nuovi parametri e nuovi standard da rispettare per costruire uno stadio davvero moderno. «Queste strutture – dice Meis – non possono più essere un semplice stadio di calcio usato solo una manciata di volte in un anno. Sono strutture che richiedono risorse significative per la costruzione e il funzionamento, e sempre più spesso sono costruiti all’interno o vicino ai centri, quindi devono connettersi con il tessuto urbano che li circonda o, come nel caso del progetto dello Stadio Della Roma, devono includere lo sviluppo del quartiere con altri servizi come ristoranti, pub, e quant’altro. Possono essere straordinari acceleratori di sviluppo e gentrificazione».
L’esempio portato da Meis è quello dello Staples Center disegnato da lui, il palazzetto di Los Angeles che ospita le partite di Lakers e Clippers in Nba, ed è un’arena per concerti e altri eventi. «La zona in cui oggi c’è lo Staples prima era relativamente abbandonata. Oggi è il cuore dello sport e dell’intrattenimento della città e ha creato milioni di metri quadrati di nuovo sviluppo grazie a uffici, ristoranti e appartamenti. Una zona attiva 365 giorni l’anno».
In Italia esempi virtuosi di questo tipo sono pochi: lo sta facendo ad esempio l’Atalanta, ragionando sui nuovi spazi adiacenti al Gewiss Stadium (stadio di proprietà del club). Ma per gli stadi comunali i problemi si moltiplicano. Lo ha spiegato Rocco Commisso, numero uno della Fiorentina arrivato da poco in Serie A, in un’intervista di settembre a Off The Pitch ha detto che «per riportare il calcio l’italiano al successo che aveva trent’anni fa c’è bisogno di infrastrutture adeguate: non siamo al passo con i tempi».
Uno dei problemi riscontrati dall’italoamericano è proprio la lentezza con cui si lavora a un’opera del genere in Italia: «Lo stadio Artemio Franchi è classificato come monumento, bisogna fare i conti con leggi e istituzioni che gestiscono il patrimonio italiano. Ho sempre detto di volere un nuovo stadio e di voler facilitare lo sviluppo del calcio italiano, ma finora ho visto progressi lentissimi. Allo stadio non c’è posto un dove cenare, non ci sono attività commerciali, non abbiamo una Hall of Fame e nemmeno un hotel. Abbiamo bisogno di strutture che possano portare persone allo stadio anche quando non c’è la partita, serve per aumentare le nostre entrate».
Commisso tocca proprio i due punti già affrontati da Meis: la priorità è creare strutture che possano contribuire alla riqualificazione dell’area; ma che siano anche multifunzionali e non giganti dormienti per buona parte della settimana.
Da questo punto di vista la Juventus sembra uno o due passi avanti rispetto alle altre società italiane. L’Allianz Stadium, inaugurato l’8 settembre 2012, è il primo stadio italiano interamente di proprietà di un club, e non è concepito solo come teatro per le partite.
«Lo stadio – fanno sapere dal club – è il cuore pulsante di un’area urbana più vasta, riqualificata negli anni. Nel 2012 viene inaugurato lo Juventus Museum, poco dopo l’attiguo centro commerciale denominato Area12, che occupa uno spazio di 34mila metri quadrati e ospita 54 attività commerciali e un ipermercato Leclerc. Nel tempo si sono aggiunti il J Medical, il Megastore, la nuova sede del club, lo Juventus Training Center, che ospita gli allenamenti della Prima Squadra, la scuola internazionale Wins, dove ha sede anche il J College destinato ai ragazzi delle giovanili, e il J|Hotel».
Un perimetro di 200mila metri quadrati, una volta in stato di abbandono, ha ripreso vita in meno di un decennio, più o meno lo stesso tempo in cui a Roma si è passati dal progetto al probabile semaforo verde per i lavori.
Poi c’è il discorso della multifunzionalità. Che nel caso dello Stadium vale per «circa 200 giorni l’anno con eventi business, conferenze, convention e che vorrebbe essere ampliato per ospitare anche intrattenimento musicale e di spettacolo». Ma deve potersi applicare anche ad altre realtà: non può e non deve essere prerogativa dei club più facoltosi.
L’Udinese di recente ha messo a nuovo il suo stadio. Il Friuli, ribattezzato Dacia Arena (solo per le partite della squadra bianconera) per motivi di sponsor, ha riaperto nel 2016 come un impianto tutto nuovo.
«Rispetto a prima è tutta un’altra storia, anche semplicemente per chi passa di lì con la macchina», dice a Linkiesta Antonio Falcone, assessore allo Sport del comune di Udine. Il vecchio Friuli era uno stadio degli anni ‘70, costruito con canoni edili e di bellezza superati. Poi ci sarebbe in programma di ampliare l’offerta commerciale all’interno dello stadio, fondamentale per assicurare una significativa crescita di redditività dell’impianto. Ma le attese per i passaggi burocratici e la pandemia del 2020 hanno rallentato ogni progetto: almeno in questo caso la realizzazione di un’area commerciale viva e attrattiva non sembra molto distante nel tempo.
Lo stadio di Udine è l’unico stadio che ospita partite di Serie A in tutto il Friuli, oltretutto si trova a pochi minuti di macchina dal centro cittadino, che non è poi tanto esteso. Ma in molte grandi città costruire uno stadio moderno è una necessità prima ancora che un valore aggiunto. In una città come Londra, con tanti stadi all’interno del perimetro urbano, avere diverse strutture giganti che funzionano solo per uno o due giorni a settimana sarebbe un costo insostenibile.
È per questo che tutti gli stadi ristrutturati da poco, dall’Emirates allo Stamford Bridge, sono stadi multifunzionali. E il White Hart Lane di Tottenham è stato rimesso a nuovo nell’ambito di una più grande riqualificazione dell’intero quartiere. I progettisti dello Studio Populous hanno inserito nell’edificio un atrio in vetro alto cinque piani, con un’area per la ristorazione, un piccolo birrificio, un grande bar di 65 metri di lunghezza e tre pub.
Populous è anche lo studio che ha presentato uno dei due progetti ancora in lizza per il nuovo stadio di Milano. Linkiesta ha provato a mettersi in contatto con gli architetti di Populous, ma hanno preferito non parlare ancora del progetto, e di come è stato concepito per aderire al contesto di Milano, se non con le parole che si possono già trovare sul loro sito: «Non è il progetto di uno stadio generico, che potrebbe essere costruito a Mosca o Manchester, è un progetto che trae ispirazione da due degli edifici più iconici della città: il Duomo e la Galleria. Situato nel quartiere dello sport e dell’intrattenimento più sostenibile d’Europa, lo stadio è una nuova icona per Milano».
Dai più moderni stadi europei ci sarebbe da mutuare anche l’aspetto della sostenibilità ambientale. L’Amsterdam Arena, stadio di casa dell’Ajax, ad esempio ha 4.200 pannelli solari sulla copertura superiore, che alimentano 148 batterie per l’accumulo di energia.
«Gli stadi storicamente non sono mai stati considerati molto “green”. Solo di recente i progettisti stanno diventando più insistenti nell’integrare misure di sostenibilità attiva come l’energia solare o eolica, la raccolta dell’acqua, l’uso di materiali più sostenibili e tecnologie per ridurre e risparmiare il consumo di energia», spiega Meis.
La Juventus ha adottato criteri di questo tipo per il suo stadio. Sia nella costruzione – «40mila metri cubi di calcestruzzo, 5mila tonnellate d’acciaio, 2mila metri quadrati di vetro e 300 tonnellate d’alluminio sono stati ricavati dalla demolizione del vecchio stadio», dice il club bianconero – sia nel risparmio energetico: a partire dalla stagione 2019/20 tutta l’energia elettrica utilizzata proviene da fonti rinnovabili, «gli apparati a tecnologia Led garantiscono alte prestazioni in termini di risparmio, efficienza luminosa, durata e sostenibilità».
Ancora una volta però l’Allianz Stadium di Torino è più l’eccezione che la regola. «Sfortunatamente, l’Italia non ha visto molti miglioramenti nelle infrastrutture degli stadi dai Mondiali del 1990. E oggi in tutto il Paese sono tutt’altro che all’avanguardia, non solo economicamente ma anche in termini di sicurezza ed esperienza dei tifosi», dice l’architetto Dan Meis.
Allora le risorse in arrivo con il Recovery and resilience fund potrebbero dare una mano anche a questo settore. L’amministrazione di Catania ha presentato all’Associazione dei comuni italiani le proposte per l’utilizzo dei fondi in un quadro di strategia unitaria con l’Ente Città Metropolitana di Catania.
Tra i progetti da realizzare in un periodo che va dai due ai cinque anni c’è l’ammodernamento dello stadio Massimino, con annessa riqualificazione della circostante area di Cibali: un intervento che prevede una spesa di circa 60 milioni di euro.
Magari una realtà di provincia, almeno calcisticamente, come Catania potrebbe ritrovarsi con uno stadio moderno nel giro di qualche anno. Sarebbe un segnale importante per tutto il Paese, come dice Dan Meis: «Il calcio è una parte fondamentale della cultura italiana. Sarà cruciale per il paese aggiornare questi luoghi se vuole rimanere rilevante a livello mondiale». Parla di calcio, ma non solo di calcio.