Nessun ristoroCronaca rassegnata di tre mostre chiuse prima di cominciare

A differenza di altre città, Torino non ha rimandato a tempi migliori le sue manifestazioni, come Artissima. Dopo spese e sacrifici le esposizioni erano pronte, ma grazie alla lungimiranza del governo, che chiude mostre e gallerie, dureranno poche ore

frame tratto dal sito di Artissima

Non che non ci abbiano provato a insistere fino all’ultimo, mettendoci un insano ottimismo che dalle nostre parti suona esotico. Mentre Art Basel e Miami, Frieze London, Miart a Milano e Tefaf a Maastricht annullavano gli eventi fieristici programmati, Artissima ha prima cavalcato l’onda dell’estate promettendo di esserci, poi ha spostato alcune sezioni in remoto e per ultimo ha occupato i tre spazi della Fondazione Torino Musei – Gam, Palazzo Madama e MAO – puntando a salvare le proposte delle gallerie e allungando i tempi dell’esposizione fino a dicembre.

Se non si possono fare fiere per via degli assembramenti in poco tempo si potranno però fare le mostre. D’altra parte chi conosce la direttrice Ilaria Bonacossa ne apprezzerà la tenacia, una che prima di mollare ci vuole davvero una sciagura.

Che infatti è arrivata puntale, in questo sfigatissimo 2020. Si sono fatti un mazzo così per preparare a tempo record un bel prodotto, culturale e per il mercato, ed ecco l’ordinanza più illuminata nella storia del mondo: chiudere i musei (e le sale gioco, giustamente equiparate dal premier Conte).

E così per la prima volta nella mia lunga storia da cronista mi trovo a dover raccontare tre mostre che da oggi saranno chiuse, e chissà ancora per quanto, in lockdown obbligato nonostante i musei siano tra i luoghi più sicuri e controllati.

Ne parlo con Marco Guglielminotti Trivel, direttore del MAO, Museo d’Arte Orientale, un signore molto distinto e garbato, uno che l’aplomb sabaudo ce l’ha nel dna.

Eppure è visibilmente adirato, mi spiega che dopo la lunga chiusura primaverile hanno speso soldi e competenze per mettere tutto a norma, revisionando gli impianti sala per sala.

Ha in mano un foglietto in cui è scritto come si controlla la qualità dell’aria, ribadisce la sicurezza del palazzo dove si parla poco, a bassa voce e non si possono toccare le opere. Forse si rischia di più sul pianerottolo di casa, ma al di là della battuta ironica c’è il rischio, e stavolta più concreto dello scorso marzo, che molti musei non riaprano più, non riuscendo a sopportare altre perdite economiche gravissime.

È comunque insensato che nelle zone rosse, che Torino, Milano si preparano ad affrontare da oggi, giovedì 5 novembre, si chiudano i musei e restino aperti i parrucchieri. Senza nulla togliere all’indispensabile ruolo degli acconciatori nel Paese della ricrescita infelice, forbici e rasoi ci sembrano meno propensi a rispettare il distanziamento sociale rispetto a dipinti, foto e installazioni.

Con questa visita dedicata alla stampa si chiude dunque l’attività dei musei torinesi proprio nel mese dell’arte contemporanea. Appena in tempo di fare un salto al Castello di Rivoli dove (non) si apre la mostra di Anne Inhof, performer tedesca che ha vinto il Leone d’oro alla Biennale del 2017 e neanche la collettiva Espressioni, che presenta tra l’altro un’opera del Caravaggio. Inutile ingolosire il pubblico: musei off limits in tutta Italia.

Fino a quando? «Fino a quando lo dirò io», borbotta Conte sullo stile di Giucas Casella. Appuntamento ipotetico il 3 dicembre, ma vi fidereste? Sono persone di parola quelle che dicevano «da escludere un lockdown totale, non ce lo potremmo permettere»?

Bel vantaggio questa tessera da giornalista nel taschino, essere ammesso nei musei all’ultimo giorno utile. Un privilegio che mi provoca fastidio e depressione.

Fastidio perché le mostre le vuoi raccontare al pubblico per incuriosire, depressione perché questo mi pare l’ennesimo colpo inferto alla cultura italiana, con il placet del ministro Franceschini, sostenitore della linea dura, e in particolare a Torino, già vessata da cinque anni di drammatica amministrazione grillina.

Poi qualcuno mi dirà che le priorità sono altre e non ha torto, ma oltre all’emergenza sanitaria esiste quella economica e sociale.

Da stamattina, intanto, la città è nuovamente silenziosa e cupa, ma forse meno rassegnata. Dicono che qui ce ne accorgiamo di meno, abituati come siamo al profilo basso. Luogo comune, ho parlato con tanta gente nei negozi, per strada, al bar e l’impressione è che stavolta non ci saranno sconti, la linea di credito è davvero finita.

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